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La condizione precaria del free speech, della libertà di pensiero-parola-espressione, nel nostro amato Occidente

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Quella che segue è la trascrizione non integrale (non rivista dall’autore) del saluto che Daniele Capezzone ha portato ieri sera, 6 aprile, a Rimini alla Gran Loggia 2018, l’appuntamento annuale del Grande Oriente d’Italia. Capezzone ha ricevuto dal Grande Oriente d’Italia la decorazione dell’Ordine di Galileo Galilei, la maggiore onorificenza che la Massoneria italiana conceda ai non massoni, in nome della libertà e del libero pensiero.

Sono grato, emozionato e commosso per un onore che non merito (…).

Sono molto lieto – da profano, ma da sincero amico – di ragionare qui su alcuni temi che mi stanno a cuore, su una preoccupazione che avverto vivissima, e di cui altrove, in Italia, non saprei bene dove parlare.

Mi riferisco alla condizione precaria, nel nostro Occidente, del libero pensiero, della libertà di parola e di espressione, del free speech. Perfino nei Paesi che tanti di noi amano e ammirano come autentici modelli.

Secondo una recente ricerca dell’Adam Smith Institute, nel 90 per cento delle università inglesi sono avvenuti negli ultimi anni episodi piccoli e grandi di censura. I libri economici di testo hanno un ferreo orientamento antiliberale: prontissimi a enumerare presunti “fallimenti del mercato”, assolutamente restii a indicare reali “fallimenti dello stato”.

A Oxford, un annetto fa, vi fu un tentativo di rimuovere la statua di Cecil Rhodes, in quanto “imperialista e colonialista”.

È sempre più costante la pratica dei “safe spaces”, cioè di spazi concessi ad associazioni universitarie che sono così autorizzate a escludere e precludere opinioni diverse dalle loro: tenendo fisicamente fuori libri, giornali, interlocutori “sgraditi”.

Sempre più regolarmente, insegnanti e “lecturers” hanno l’obbligo di dare il cosiddetto “trigger warning” all’inizio di una lezione, nel caso in cui stiano per affrontare temi potenzialmente sensibili (religione, sesso, gender, ecc), in modo da consentire agli studenti che lo vogliano (ad esempio a quelli di religione islamica) di lasciare l’aula.

È via via più diffusa la figura (Orwell non avrebbe saputo immaginare di meglio, cioè di peggio…) del “diversity officer”, e cioè di un funzionario che, seguendo le lezioni e magari anche le conversazioni, ha il compito di cogliere espressioni sgradite, sgradevoli, offensive, e di segnalarle in privato al “colpevole”, prospettandogli il rischio di essere sanzionato se l’episodio dovesse ripetersi.

Opinioni non conformiste (o semplicemente non conformi al politicamente corretto) sono classificate come “hate speech”.

Hanno ragione (da Niall Ferguson a Roger Scruton) quelli che si stanno ribellando a questa deriva: un approccio (teoricamente a fin di bene) nato per non discriminare sta inesorabilmente trasformandosi in un mostro, in una religione senza dottrina ma ancora più dogmatica e intollerante, in un meccanismo di intimidazione contro i portatori di idee non omologate.

Sommate queste tendenze (destinate a manifestarsi presto anche in Italia, e qui – ahinoi – senza gli anticorpi liberali propri del mondo anglosassone) all’inevitabile trasformazione in corso dell’”ogm umano”, di come pensiamo e di come viviamo, di come siamo. I neuropsichiatri ci informano che la soglia media di attenzione di donne e uomini sta scendendo verso i 9 secondi: più o meno come quella di un pesce rosso. Il tempo medio che gli utenti Internet dedicano alla lettura di un qualunque contenuto online arriva a 15 secondi: titolo, sottotitolo, mi piace o vaffanculo, e me ne vado…

Comprendete che, davanti a questa mutazione antropologica, occorrono più che mai luoghi (voi siete uno di questi) che facciano due cose. Da un lato, all’interno, custodire una sapienza antica, un metodo diverso, tempi adeguati per la ricerca e l’approfondimento. Dall’altro, all’esterno, fare i conti con la nuova realtà, elaborare codici e linguaggi che permettano di entrare in comunicazione con tante persone oggi non più raggiungibili con gli strumenti del passato, della tradizione, della parola scritta.

È un’impresa ardua, enorme, difficilissima anche emotivamente, non solo intellettualmente.

Lo dico senza pessimismo. Anzi, con l’ottimismo di chi continua a credere, nonostante tutto, che la razionalità possa prevalere sulla superstizione, il dubbio sul dogma, il rispetto sull’intolleranza, la libertà sulla tirannia. Grazie.