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Day by Day: il Cristo portacroce di Vasari a Roma e le foto di McCurry a Campobasso

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Tutto parte dal libro di Isaac Newton, “Opticks, or a Treatise of the Reflections, Refractions, Inflections and Colours of Light”, del 1706, proveniente dalla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, nel quale il fisico inglese descrive in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate. Simbolo della fragilità, della caducità delle ambizioni umane, della vita stessa, fin dal Cinquecento, le bolle di sapone hanno affascinato generazioni di artisti per quei giochi di colore che si muovono sulle superfici saponose, per la loro lucentezza, per la loro leggerezza. La Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, dal 16 marzo al 9 giugno, affronterà per la prima volta in una mostra dedicata, questa tematica tradizionalmente correlata al genere artistico della natura morta e della vanitas. L’esposizione, dal titolo Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra Vanitas, arte e scienza, curata da Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria e Michele Emmer, già professore ordinario di Matematica all’Università Sapienza di Roma, si presenta come un’iniziativa interdisciplinare che, parallelamente al percorso storico artistico, racconta la nascita dell’interesse scientifico, fisico e matematico delle lamine saponate, modelli di una geometria delle forme molto stabili. Il percorso presenterà una sessantina di 60 opere, coprendo un lungo arco di tempo che va dal Cinquecento alla contemporaneità, con autori quali Guido Reni, Fra Galgario, Jan Bruegel il Giovane, Gerrit Dou, Karel Dujardin, concesse in prestito dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali, tra cui la Galleria degli Uffizi di Firenze, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, il Metropolitan Museum of Art di New York, senza dimenticare le opere allegoriche legate al tema della Vanitas. La prima sezione racconterà la nascita di questa iconografia, sottolineando l’influenza che i lavori di Hendrick Goltzius hanno avuto nell’arte olandese del XVI e XVII secolo. La rassegna continuerà proponendo una panoramica esaustiva del tema, per arrivare fino al Novecento con lavori di artisti quali Man Ray, Max Beckmann, Giulio Paolini, fino a giungere alla sua trattazione nell’ambito dell’architettura contemporanea, con la maquette del Water Cube, la piscina olimpionica di Pechino progettata dallo studio australiano PTW Architects, con il quale hanno collaborato China State Construction Engineering Corp e Arup Ltd. La mostra presenterà, inoltre, una sezione dedicata a stampe e incisioni, fotografie, nonché locandine e manifesti pubblicitari. Importanti in questo senso le affiche provenienti dalla Collezione Salce di Treviso, che illustrano la grande fortuna di questo soggetto a scopi pubblicitari per la vendita di prodotti legati soprattutto alla cura della persona, a partire dal celebre esempio del manifesto del sapone Pears, rielaborato a partire dal dipinto Soap Bubbles, del pittore e illustratore britannico John Everett Millais (1829-1896).

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A Roma le Gallerie Nazionali di Arte Antica presentano per la prima volta al pubblico, fino al 30 giugno, nella sede di Galleria Corsini, un capolavoro recentemente riscoperto di Giorgio Vasari: il Cristo Portacroce, realizzato per il banchiere e collezionista Bindo Altoviti nel 1553. Il dipinto costituisce uno dei vertici della produzione dell’artista aretino e uno degli ultimi dipinti realizzati a Roma prima della sua partenza per Firenze. Il ritrovamento si deve a Carlo Falciani, esperto studioso di pittura vasariana, che lo ha riconosciuto nel quadro registrato da Vasari nel proprio libro delle Ricordanze, indicandone la data e il nome del prestigioso destinatario. Il dipinto testimonia un momento assai importante dell’attività romana di Vasari, allora al servizio di papa Giulio III e della sua cerchia. Riportata nel suo contesto, l’opera si rivela un caso esemplare per capire le pratiche di lavoro di Giorgio Vasari e i caratteri peculiari della sua ‘maniera’. In occasione della mostra è previsto un ciclo di conferenze sull’opera esposta e la figura dell’artista. La mostra e il catalogo, editore Officina Libraria a cura dello stesso Falciani e di Barbara Agosti, sono realizzati grazie alla collaborazione e al supporto della Benappi Fine Art. Il dipinto è stato restaurato presso lo studio “Daniele Rossi” di Firenze.

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Dall’8 febbraio al 15 aprile, il Marca – Museo delle Arti di Catanzaro, diretto da Rocco Guglielmo, celebrerà Cesare Berlingeri, uno degli artisti calabresi più apprezzati e conosciuti del panorama delle arti visive nazionali e internazionali. La mostra, dal titolo Forme nel tempo, curata da Maurizio Vanni e organizzata dalla Fondazione Rocco Guglielmo e dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, in collaborazione con l’associazione Spirale d’idee e l’Archivio Cesare Berlingeri, presenterà 50 opere, tra cui alcune realizzate per l’occasione, in grado di ripercorrere il percorso creativo di Berlingeri dagli anni ottanta fino a oggi. Il percorso espositivo, che coinvolgerà i tre piani del museo calabrese, si aprirà con alcune delle sue installazioni più significative, quindi prosegue con un dialogo tra le opere storiche della collezione del Marca e quelle prodotte per questo appuntamento da Berlingeri. Per il curatore, Vanni, “Berlingeri non cerca un omaggio al passato e non vuole certo sfidare i grandi nomi che l’hanno preceduto. Piuttosto è come se volesse completare lo spazio con un colloquio con il tempo, con forme che cercano una connessione con l’essenza delle opere presenti, attraverso un ‘effimero sospeso’ che permette al visitatore di vivere la collezione attraverso ottiche inedite”. La retrospettiva propone inoltre un ampio confronto tra le opere recenti e i lavori storici di Berlingeri, come quelli caratterizzate dal colore blu oltremare degli anni ottanta, che hanno contraddistinto il suo cammino artistico internazionale e che sono stati esposti, tra gli altri, in alcuni dei musei più importanti del Brasile come al Mam – Museo di Arte Moderna di Salvador de Bahia e di Rio de Janeiro, e al Mac – Museo di Arte Contemporanea di Goiânia. “I lavori di Berlingeri”, sottolinea Vanni, “hanno il potere di rimettere in discussione la realtà, lo spazio e il tempo e di ridefinire il tutto, individuando elementi di senso nuovi destinati a modificare teorie e pensieri codificati. Berlingeri non lavora partendo dall’idea di qualcosa che è già successo, ma quasi come in un rito propiziatorio si proietta su ciò che deve ancora accadere. Ne scaturisce un’evoluzione artistica costante dove nulla è mai uguale a se stesso e anche se lo fosse la nostra intelligenza emotiva non lo riconoscerebbe a distanza di tempo perché essa stessa è trasformata. Tutto risponde a un’effimera matrice che si sintetizza in una o più azioni, piegature, avvolgimenti, istallazioni più cerebrali che fisiche, legate a forme che esaltano maggiormente la concezione ciclica del tempo che non lo spazio”.

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Intesa Sanpaolo e l’Istituto Italiano di Cultura a New York presentano la mostra “Spatial Explorations: Lucio Fontana and the Avant-garde in Milan in the 50s and 60s”, una selezione di opere dalla collezione di Intesa Sanpaolo sull’arte italiana del XX secolo. L’esposizione, inaugurata all’Istituto Italiano di Cultura a New York alla presenza dell’ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti Armando Varricchio, del console generale d’Italia a New York Francesco Genuardi, di Michele Coppola, direttore arte, cultura e beni storici Intesa Sanpaolo e di Giorgio Van Straten, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, si svolge in concomitanza con la retrospettiva del Met Breuer “Lucio Fontana: On the Threshold”, a cui la banca ha prestato due delle principali opere dell’artista: “Concetto spaziale: la Luna a Venezia” del 1961, e “Concetto spaziale: attese” del 1967. Curata da Francesco Tedeschi, “Spatial Explorations” accoglie quattro importanti opere di Fontana dalla collezione di Intesa Sanpaolo, interrogandosi sul rapporto tra spazio e pittura nell’arte italiana, a Milano, degli anni Cinquanta e Sessanta. Accanto a questi capolavori, la mostra offre ai visitatori anche la possibilità di vedere alcune tra le principali opere della collezione della banca, che conta più di 3 mila testimonianze dell’arte del Novecento.

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Le immagini di Steve McCurry visibili a Campobasso. Cento celebri scatti, più dieci inediti. Immagini di grande impatto emotivo che immortalano il talento e la profondità in ogni particolare, la poesia e la guerra insieme, gli sguardi di disperazione, le lacrime, i sorrisi dei bambini. È “Icons”, in scena al palazzo Gil fino al 28 aprile, mostra concepita da McCurry e dalla curatrice Biba Giacchetti come un concentrato di tutto il suo percorso di fotografo e umanista, promossa dalla Regione Molise e Fondazione Molise Cultura. L’esposizione, particolarmente attesa dopo la partecipazione di McCurry alla kermesse “Art Festival Poietika” nello scorso settembre, consente al visitatore di attraversare le frontiere e conoscere da vicino un mondo complesso, in profonda trasformazione. “Steve McCurry”, spiega la curatrice della mostra, Giacchetti, “è uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea ed è un punto di riferimento per un larghissimo pubblico, soprattutto di giovani, che nelle sue fotografie riconoscono un modo di guardare il nostro tempo e, in un certo senso, si riconoscono. Molte delle sue immagini sono diventate delle vere e proprie icone, conosciute in tutto il mondo, a partire dalla ragazza afghana pubblicata dal National Geographic“. Per Antonella Presutti, presidente della Fondazione Molise Cultura, “è una emozione profonda e indescrivibile ospitare nel palazzo Gil di Campobasso la mostra Icons, che ci consente di superare le frontiere e di attraversare mondi sempre meno remoti e più minacciati dalla modernità. Lo sguardo penetrante ed umanissimo di McCurry con il quale coglie le espressioni dei volti, le lacrime, i sorrisi, le contraddizioni della società dell’abbondanza e della privazione, i pescatori, gli uccelli, i giochi dei bambini, riconducono a quell’humanitas, intesa nel significato classico del termine, che è anzitutto vicinanza e compartecipazione ai drammi e alle gioie degli altri individui”.

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