Nel clima di autocensura scientifica e mediatica che ha accompagnato fino a poche settimane fa la ricerca delle origini del SARS-Cov2, il coronavirus di Wuhan, dobbiamo a un piccolo gruppo di investigatori del web il complesso mosaico di informazioni alternative alla versione ufficiale che ha permesso di riaccendere i fari sul Wuhan Institute of Virology (WIV). Una ventina di ragazzi di nazionalità diverse da un anno e mezzo raccolgono, decifrano, condividono e commentano in rete un’imponente mole di documenti altrimenti destinati all’oblio e all’indifferenza, contribuendo in maniera decisiva al dibattito scientifico sulla possibile fuga del virus da un laboratorio cinese. Riuniti sotto l’acronimo DRASTIC (Decentralized Radical Autonomous Search Team Investigating COVID-19), a loro ha dedicato recentemente un esteso reportage la rivista Newsweek. È grazie a questo paziente lavoro di ricerca e al conseguente spazio di dibattito pubblico che ne è scaturito che oggi disponiamo, per esempio, di notizie fondamentali riguardanti il precursore più immediato del SARS-CoV2, quel RaTG13 la cui esistenza la dott.ssa Shi Zhengli ha occultato durante sette anni (ne abbiamo scritto nella ricostruzione pubblicata lo scorso 3 giugno).
In particolare le indagini di DRASTIC hanno permesso di collegare direttamente il virus RaTG13 alle morti di tre uomini che avevano lavorato nella miniera di Mojiang (2012) e di smentire le parole di Peter Daszak (stretto collaboratore e finanziatore del WIV), secondo cui i cinesi non avevano mai compiuto esperimenti su quell’agente patogeno e altri simili dal 2013 allo scoppio della pandemia. Due passaggi fondamentali nella catena che dai campioni di coronavirus dei pipistrelli ha portato al SARS-Cov2.
Gradualmente al gruppo di volenterosi detectives si sono aggiunte le competenze di specialisti e ricercatori: tra loro il canadese Yuri Deigin e l’italiana Rossana Segreto, autori di un importante studio in cui formulano un’ipotesi concreta sull’origine da laboratorio del SARS-CoV2 come risultato della combinazione di un virus simile al RaTG13 con la sequenza RBD di un coronavirus isolato nei pangolini. Specializzatasi in biologia e biotecnologia presso l’Università di Torino, Rossana Segreto ha svolto la sua attività di ricerca tra la Norvegia e l’Università di Innsbruck, occupandosi specialmente di filogenesi molecolare e manipolazione genetica dei funghi. Ha accettato di rispondere alle domande di Atlantico Quotidiano.
ENZO REALE: Dott.ssa Segreto, in un recente articolo pubblicato sulla rivista americana Newsweek Lei è indicata come un punto di riferimento del gruppo di detectives scientifici conosciuto come DRASTIC. Nicholson Baker, del New York Magazine, l’ha addirittura definita “la sua eroina”. Ci racconta come è nata la Sua collaborazione con i ragazzi di DRASTIC e in che cosa è consistita esattamente?
ROSSANA SEGRETO: Il commento di Nicholson Baker è stato estremamente gentile. In realtà considero lui un eroe perché, grazie al suo articolo, finalmente la Lab Leak Hypothesis ha iniziato ad essere discussa sulle principali piattaforme mediatiche, almeno negli Usa, passando dalla categoria di cospirazione a ipotesi plausibile. Il mio primo contatto in DRASTIC è stato Yuri Deigin. Abbiamo iniziato un intenso scambio di emails con le analisi genetiche del virus e l’ho invitato come coautore del mio studio, la cui stesura iniziale risale all’aprile 2020. Poco dopo ho iniziato a usare Twitter e sono entrata in contatto con gli altri membri del gruppo. Alcuni di loro mi conoscevano già perché avevano letto i miei commenti sul blog del virologo Vincent Racaniello, in cui per prima avevo proposto il collegamento tra RaTG13 e BtCoV4991, dopo aver scoperto casualmente che erano identici a livello nucleotidico.
ER: Quando ha cominciato a nutrire i primi dubbi rispetto alla versione ufficiale fornita dal governo cinese sull’origine del SARS-CoV2 e perché?
RS: Cominciai a seguire le notizie relative al SARS-CoV2 dall’inizio della pandemia, perché rimasi molto colpita dalle immagini degli ospedali cinesi e dal potenziale distruttivo di un virus totalmente nuovo per gli esseri umani. Scaricai la sua sequenza genomica da GenBank appena disponibile e mi misi alla ricerca dei virus più simili. In quel momento il virus RaTG13 non era ancora noto e non faceva parte di GenBank, per cui mi sorprese molto trovarmelo davanti, alcuni giorni dopo, nel ripetere la ricerca. Pensai che si trattasse di una coincidenza incredibile che il RaTG13 fosse stato identificato proprio da un gruppo di ricercatori di Wuhan specializzati in manipolazioni genetiche di coronavirus di pipistrelli. Iniziai a usare quasi tutto il mio tempo libero per leggere articoli sui coronavirus finché scoprii il blog del virologo Racaniello. Non ero assolutamente d’accordo con le sue conclusioni secondo cui il virus era sicuramente naturale e iniziai a postare sul suo sito una serie di critiche.
ER: Da lì alla notorietà il passo fu breve…
RS: Sul sito di Racaniello era disponibile il link del preprint del famoso articolo di Andersen “The Proximal Origin of SARS-CoV-2”. Scoprii allora casualmente che il RaTG13 aveva probabilmente un altro nome, BtCoV4991, e postai questa osservazione su quella pagina. Ebbi la fortuna che moltissime altre persone la videro e iniziarono a chiedere a Nature di chiarire la faccenda, visto che aveva pubblicato l’articolo che per primo descriveva il RaTG13 (Zhou et al., 2020). Dopo 9 mesi fu finalmente aggiunto un addendum a quello studio, che specificava che in effetti si trattava dello stesso campione. Questo è molto preoccupante perché non è scientificamente corretto cambiare il nome di un campione e non citare dove è stato descritto per la prima volta. Inoltre, la miniera dove era stato identificato era legata alla morte di tre minatori nel 2012, con sintomi molto simili al Covid-19. Due aspetti scoperti da un altro membro del mio gruppo, The Seeker, che ha fatto luce su questa storia.
ER: Potrebbe spiegare brevemente, se esiste, la differenza fra esperimenti di gain-of-function e virus geneticamente modificato?
RS: La definizione di gain-of-function (GoF) è piuttosto complessa, non del tutto chiara ed oggetto di molte discussioni. Non tutte le manipolazioni genetiche sono considerate gain-of-function, ma solo quelle il cui risultato è un aumento in trasmissibilità e virulenza. Lo scambio di spikes nei coronavirus non è considerato formalmente gain-of-function, anche se non è sempre possibile prevedere con i modelli disponibili se il prodotto della manipolazione possa essere un virus più pericoloso dell’originale.
ER: Insieme a Yuri Deigin, Lei ha pubblicato lo scorso novembre su ByoEssays uno studio sulla struttura genetica del SARS-CoV2. Può riassumere per i nostri lettori gli elementi principali che farebbero propendere per un’origine artificiale del virus?
RS: La nostra analisi si proponeva di argomentare una possibile origine di laboratorio del SARS-CoV2, che era stata dismessa all’inizio della pandemia come cospirazione. Sulla base delle analisi genetiche che abbiamo condotto sul virus siamo arrivati alla conclusione che le sue due caratteristiche più peculiari potrebbero essere il risultato di tecniche quali passaggi cellulari o esperimenti in animali modello e/o mutagenesi diretta. Mi riferisco al sito di clivaggio della furina, assente nel gruppo a cui il SARS-CoV2 appartiene (sarbecovirus) e caratteristica chiave per la trasmissibilità agli esseri umani, e al dominio per il legame al recettore cellulare ACE2 (RBD) che presentava la massima affinità con quello umano. Abbiamo criticato punto per punto l’articolo di Kristian Andersen che è stato ampiamente citato come migliore dimostrazione dell’origine naturale del SARS-CoV2, sostenendo che nessuno degli argomenti esposti era valido. Nel nostro secondo articolo pubblicato in Environmental Chemistry Letters, abbiamo approfondito l’analisi genomica del virus e provato che molte altre caratteristiche dello stesso sono più coerenti con un’origine artificiale piuttosto che naturale.
ER: Nel vostro studio arrivate a formulare un’ipotesi concreta sulla genesi del SARS-CoV2: una combinazione tra il coronavirus RaTG13 (quello trovato nelle grotte di Mojiang) e il recettore RDB tipico dell’agente patogeno che infetta i pangolini. Come siete giunti a questa conclusione? Crede che l’insistenza iniziale del governo cinese nell’indicare il pangolino come ospite intermedio potrebbe essere una prova a contrario dell’attendibilità della vostra tesi?
RS: Il SARS-CoV2 è chimerico, la maggior parte del suo genoma è molto simile al RaTG13, ad eccezione del RBD che richiama una sequenza trovata in un paio di campioni di coronavirus isolati dal pangolino. Se la ricombinazione dei due virus può teoricamente avvenire in natura, è ancora più semplice realizzarla in laboratorio con le tecniche di mutagenesi attualmente disponibili. I pangolini sono animali molto rari e solitari, caratteristiche non ottimali per permettere la ricombinazione dei due virus nell’ambiente. Successive analisi hanno inoltre dimostrato che le sequenze del coronavirus del pangolino citate da Andersen non sono affidabili, come abbiamo descritto nel nostro terzo studio recentemente pubblicato da BioEssays, per problemi di sequenziamento e possibile contaminazione. Non escludiamo che le sequenze siano il risultato di passaggi cellulari per aumentare l’affinità con il recettore umano ACE2.
ER: La dott.ssa Li-Meng Yan afferma che il SARS-CoV2 è il risultato di una sperimentazione a cui ha partecipato l’Esercito Popolare di Liberazione. Il nuovo coronavirus sarebbe un’arma biologica dotata di tre caratteristiche essenziali per compiere la sua funzione: il contagio diretto tra umani, un’elevata resistenza alle condizioni medioambientali, la possibilità di trasmissione attraverso pazienti asintomatici. Lei ritiene verosimile uno scenario di questo genere?
RS: Ritengo più verosimile che il SARS-CoV2 sia un possibile vaccino vivo attenuato sfuggito durante le fasi di sperimentazione e sviluppo. Abbiamo trovato diversi segni di attenuazione nel suo genoma che potrebbero essere compatibili con questa ipotesi. Lo sviluppo di un vaccino universale per betacoronavirus era un campo di ricerca molto attivo negli ultimi anni.
ER: Un recente video diffuso da Sky News mostra gabbie di pipistrelli all’interno del Wuhan Institute of Virology nel 2017. Secondo la Sua esperienza, è una pratica normale quella di accumulare animali vivi nei laboratori? In che misura questa usanza aumenta i rischi di un possibile contagio all’interno dei centri di ricerca?
RS: Molti centri di ricerca usano animali vivi e di sicuro il rischio di possibile contagio è aumentato perché i ricercatori possono ferirsi durante le manipolazioni degli animali ed essere esposti ai virus. Daszak, che è uno stretto collaboratore del WIV e ha sempre definito il lab leak una cospirazione, aveva negato che l’Istituto facesse esperimenti sui pipistrelli vivi, cosa dimostratasi falsa grazie alle ricerche di DRASTIC.
ER: Qual è la Sua opinione sul lavoro e la credibilità della dott.ssa Shi Zhengli? Secondo Lei perché ha occultato durante anni l’esistenza del RaTG13 e di altri possibili precursori del SARS-Cov2?
RS: Penso che Shi Zhengli sia una ricercatrice molto capace ed è possibile che il SARS-CoV2 sia sfuggito da un altro laboratorio e non dal suo. Se il RaTG13 era sotto sperimentazione, non è una pratica anomala non rendere noti i dettagli prima della pubblicazione dei risultati. Quello che non ho trovato corretto, come abbiamo sottolineato anche nel nostro ultimo articolo, è la mancanza di trasparenza riguardo il cambiamento di nome del RaTG13 e l’anno di sequenziamento completo (rivelato da un altro membro di DRASTIC, Francisco De Asis), oltre al fatto di non aver fornito informazioni sul sito di clivaggio della furina nella sua pubblicazione su Nature (Zhou et. al., 2020).
ER: Zoonosi naturale, contagio accidentale da animali vivi in laboratorio, gain-of-function, arma biologica. Allo stato attuale delle conoscenze, qual è secondo Lei l’ipotesi più probabile sulla diffusione del SARS-CoV2? E la meno verosimile?
RS: Posso ipotizzare che il SARS-CoV2 sia un tipo di vaccino sfuggito prima di essere completamente sviluppato o un virus ottenuto con passaggi cellulari per essere usato su animali di laboratorio per lo sviluppo di vaccini. Considero molto improbabile che sia un’arma biologica, perché non molto letale e perché è stato molto semplice sviluppare vaccini effettivi in poco tempo, a differenza della SARS e della MERS, che erano decisamente più patogenici. Considero un’origine zoonotica possibile, ma molto improbabile.
ER: A cosa attribuisce il rifiuto della comunità scientifica internazionale di prendere in considerazione l’ipotesi dell’incidente di laboratorio? Chi ha paura di cosa?
RS: Sicuramente l’articolo di Lancet che ha etichettato come cospirazione una possibile origine di laboratorio e che è stato firmato da esperti mondiali e l’articolo di Andersen hanno avuto un forte impatto sull’opinione scientifica e mediatica all’inizio della pandemia. Posso immaginare che per alcuni scienziati abbiano giocato un ruolo certi conflitti di interesse e la paura di perdere fondi per la ricerca o di compromettere le loro carriere accademiche, in caso avessero espresso un’opinione contraria. Io stessa sono stata aspramente criticata da una collega di fomentare movimenti contro i vaccini e di far perdere fiducia nelle istituzioni, ma non mi sono fatta intimidire da queste critiche perché penso sia fondamentale capire da dove il virus si sia originato, onde evitare che possa succedere di nuovo fra qualche anno.
ER: Crede che si riuscirà prima o poi a scoprire la verità o è già troppo tardi per trovare prove di un’eventuale fuga da laboratorio?
RS: Sarà molto difficile sapere da quale laboratorio il SARS-CoV2 sia fuoriuscito, sempre che sia successo, ma credo che possa accadere come per la pandemia del 1977, che solo dopo molti anni venne riconosciuta di origine non naturale.
ER: C’è qualcosa che non Le ho chiesto e che vorrebbe aggiungere in quanto specialmente rilevante?
RS: Sì, che il ramo della virologia che riguarda la manipolazione genetica di patogeni a rischio di sviluppare pandemie necessita urgentemente regole che limitino gli esperimenti solo a quelli strettamente indispensabili, e che la sicurezza dei laboratori deve essere garantita e verificata da organismi internazionali.