Giuditta's Files

Il caso delle liste elettorali: un problemone politico (e due “problemini” giuridici)

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Qui ad Atlantico non frequentiamo le buie e lugubri stanze della lagna e dell’indignazione. Ci sono più congeniali per un verso il realismo di chi sa come vadano davvero le cose della politica (in quanto prodotto dell’uomo, del fattore umano: non certo musica di Bach suonata da angeli violoncellisti) e per altro verso il sorriso e la positività di chi vuole costruire, seminare, far circolare idee. Ciò detto, è purtroppo evidente che il processo di compilazione delle liste elettorali (ahinoi senza eccezioni, a destra e a manca) stia stabilendo un nuovo “record” di squallore. Individuate, escluse o messe in condizione di autoescludersi molte persone di qualità; capi e sottocapi impegnati pressoché esclusivamente a salvare familiari e famigli, in funzione della pura (e presunta: occhio alle sorprese, tra qualche mese!) fedeltà personale; più il consueto folklore di amichette e amichetti, sodali e dipendenti, a volte con relativo spostamento di onerosi stipendi – prima sostenuti da settore privato, case editrici, imprese di famiglia – sulle spalle del contribuente.

Intendiamoci bene, non è la prima volta. E chi è senza peccato scagli la prima pietra. Lo ripeto ancora: qui non si tirano sassi, si cerca di ragionare. E vengono fuori un problemone politico e un paio di “problemini” giuridici. Cominciamo dalla politica. Già il livello di ”sputtanamento” è quello che è. Già c’è la percezione diffusa di una politica come “cartello” chiuso e oligopolistico, che esclude outsider e nuovi competitori. Se addirittura si peggiorano le cose dando l’idea che quel cartello, perfino al proprio interno, sceglie senza ritegno le sue risorse peggiori, poi non ci si deve sorprendere se i dati di astensione sono destinati ad impennarsi, insieme a una pericolosa campagna di rifiuto e delegittimazione complessiva di partiti, Parlamento, istituzioni. Si offre generosamente altra benzina ai piromani.
Ma mi pare – traguardando il 4 marzo – che l’obiettivo dei maggiori “player” elettorali sia tanto chiaro quanto sbagliato, a meno di auspicabili sorprese e imprevisti: incontrarsi dopo il voto, alle spalle degli elettori, per larghi (e inevitabilmente fragili) governi di unità nazionale. Per farlo, occorre non avere troppo disturbo: servono dunque gruppi parlamentari silenziosi e obbedienti. Occhio, però: i numeri potrebbero non bastare…

Vengo ora ai due “problemini” giuridici.

Il primo. Sono sempre stato contrario all’attuazione costituzionale dell’articolo 49, e quindi all’idea di leggi troppo penetranti rispetto alla vita interna dei partiti, a una logica di statalizzazione illiberale delle forze politiche. E continuo a ritenere sbagliate risposte di ulteriore interventismo normativo. Però il problema c’è. Come può muoversi – oggi, in assenza di primarie o di competizioni di qualunque tipo – il rappresentante di una minoranza interna a un partito? Non gestisce le risorse, può impunemente  essere escluso dalle candidature apprendendolo dalle agenzie di stampa, non ha strumenti o luoghi di vera discussione. Cosa gli resta? Votare …con i piedi, cioè andarsene, alimentando e replicando la logica perversa di scissioni e nuovi partiti più o meno personali.

Il secondo “problemino”. Leggo e sento che, per posizioni elettorali in liste bloccate, molte forze politiche chiedono/pretendono (pena la non candidatura) un obolo preventivo di 30-40-50 mila euro. Come si configura giuridicamente questa “dazione” e la relativa “richiesta”? Siamo sicuri che sia  sano subordinare a questo (o anche a questo) l’inserimento in lista o la cancellazione di un candidato?   Qualcuno ci ha riflettuto? Tra l’altro, si tratta degli stessi partiti e degli stessi parlamentari (non chi scrive) che hanno approvato pochi mesi fa il nuovo reato detto “traffico di influenze”…Sarà bene che compilatori di liste e “esattori” di partito lo ricordino.