C’è qualcosa che credo di sapere di Corrado Sforza Fogliani, la gigantesca figura che ci ha lasciato nelle scorse ore. E, come capita per gli aspetti che poi tendono a rimanere meno osservati, si tratta di ciò che aveva scritto lui stesso, sintetizzando la propria biografia culturale nel profilo di quel Twitter che tanto amava (e che non a caso, da un mese, non era più aggiornato): “Liberale di natura, libertario per forza di cose”.
L’insofferenza per la pretesa pubblica
Ecco il punto: un solido e limpido liberale classico, formatosi sulla lettura di Luigi Einaudi (e com’era orgoglioso del suo primo incontro, da giovanissimo, con quel punto di riferimento), che via via si era incamminato verso sponde “per forza di cose” più libertarie, spinto da un’insofferenza sempre meno comprimibile per la pretesa pubblica – europea, nazionale, locale – di dirigere, ingabbiare, statalizzare e parastatalizzare.
E questo connotato lo si ritrova in ogni ambito al quale si dedicasse: grande avvocato, banchiere, padre nobile di Confedilizia, mecenate, uomo di cultura profonda e originale, cultore delle lettere classiche, giornalista e saggista.
Era orgoglioso dell’assenza di sostegni pubblici per le sue iniziative (e giustamente sottolineava semmai il carattere fatalmente meno libero di ciò che dal denaro pubblico dipendeva); difensore delle banche popolari e di territorio in nome del desiderio di dare più forza al tessuto produttivo locale e – insieme – di far vivere la concorrenza anche nel settore bancario.
Autonomia e non-dipendenza
Fiero sostenitore, nei lunghi anni in cui ha guidato Confedilizia (e oggi Giorgio Spaziani Testa fa mirabilmente vivere quella lezione, rinnovandola e arricchendola ogni giorno), della “proprietà come presidio di libertà”.
Sforza Fogliani credeva a quello che diceva, e lo metteva in pratica. Non piangeva sulle malefatte pubbliche: le combatteva. Non si lagnava delle timidezze di troppe organizzazioni private: proponeva con energia un modello alternativo, fatto di autonomia e non-dipendenza dallo stato.
Raccontava spesso dello stupore di ministri e potenti pro tempore quando le organizzazioni da lui guidate non chiedevano niente allo stato, se non di arretrare, di limitarsi, di pesare meno, di scansarsi.
Il centrodestra e i media
Ed era per tutti questi motivi giustamente esigente. Esigente verso troppi pretesi e autonominati liberali. Esigente verso il centrodestra, specie se responsabile (era accaduto nella sua Piacenza) di prove di governo a suo avviso deboli, rinunciatarie, non sufficientemente caratterizzate da discontinuità rispetto al regime di sinistra.
Esigente verso la stampa e i media, che adorava per il ruolo che avrebbero dovuto ricoprire e che invece spesso detestava (e giustamente) per una certa attitudine al conformismo e alla censura: e non a caso amava – per quanto possibile – il colloquio diretto sui canali social, saltando l’intermediazione.
La lezione umana
Resta infine una lezione umana indimenticabile. Un sorriso autenticamente cordiale, una gentilezza profonda (non solo una cortesia esteriore), mescolate a un’intransigenza assoluta sui principi e sul fare bene le cose.
Cedendo a un piccolo ricordo personale, non dimenticherò le testimonianze commosse, in una splendida serata a Piacenza, di tanti avvocati che avevano collaborato con lui – alcuni dei quali, adesso, a loro volta grandi di età o addirittura anziani – che mi raccontavano del mix di ammirazione e timore con cui gli sottoponevano le bozze degli atti da rivedere, correggere, approvare.
Si può e si deve ambire al meglio, all’eccellenza: non accontentarsi di ciò che capita. Vale nella professione, e vale rispetto alle proprie convinzioni. E un liberale non è uno che parla del Pil del quarto trimestre, non è un arido contabile. O è un freedom fighter, o non è. Corrado Sforza Fogliani lo è stato in ogni attimo della sua vita: lo rimpiangeremo e non lo dimenticheremo.