Atlantico serve anche a provare a raccontare (tentare: senza supponenza) qualche verità scomoda. Chi scrive, nelle ultime settimane, ha percepito interesse estero sulle elezioni italiane non tanto dalle cancellerie straniere, non tanto dai media internazionali, ma essenzialmente (e direi: comprensibilmente) dagli acquirenti dei nostri titoli del debito pubblico.
Un po’ tutti questi attori, e la cosa è perfettamente razionale dal loro punto di vista, auspicano la riuscita del “piatto” che i maggiori chef di centrodestra e centrosinistra (con l’assistenza minore di qualche aiuto-cuoco centrista, da un lato e dall’altro) stanno cucinando: un governo di larghe intese (ma di numeri non larghi…), che garantisca il calendario delle aste dei titoli, e che gestisca ordinatamente il declino italiano, in sostanziale adesione alle indicazioni del pilota automatico di Bruxelles.
È bene familiarizzare con questo scenario deludente, e tuttavia funzionale anche ad alcune esigenze domestiche: le esigenze di mera sopravvivenza renziana, e altre esigenze berlusconiane (trascuro le miserabili esigenze – un pugno di sottosegretariati – dei cespugli centristi).
Il progetto che Berlino e Parigi (specie Parigi) hanno in serbo per noi è fin troppo chiaro. Coinvolgerci nelle foto di gruppo della nuova governance europea, ma in realtà trattarci come un soggetto gregario e sostanzialmente irrilevante. Rilevante solo per qualche residuo asset da recuperare a prezzi di saldi da fine stagione.
Di fatto, un paziente italiano ospedalizzato, anestetizzato, direi sedato. Nel frattempo, gli “amici” franco-tedeschi si occuperanno di far visita alla casa del degente: “prendendosi cura” di mobili, quadri, argenteria, della macchina ferma in garage…
Ogni volta che sentite qualcuno dire (versione 1) che occorre stare collegati al motore franco-tedesco, oppure (versione 2) che occorre supportare la Francia come contrappeso rispetto alla Germania, oppure (versione 3) che il nuovo governo deve avere l’avallo di Bruxelles, sappiate che la sostanza è esattamente questa.
Intendiamoci bene, a scanso di equivoci. Qui non si vagheggiano salti nel buio, avventure, o prospettive di confuso antagonismo. Semmai, una determinata e attrezzatissima campagna di rinegoziazione in Europa: consapevoli delle nostre debolezze (debito pubblico, che non è certo colpa dell’Europa) ma anche del nostro interesse nazionale. Nel libro “Brexit. La Sfida”, scritto insieme a Federico Punzi, è illustrato in dettaglio un pacchetto di politiche, azioni e opzioni per procedere in questa direzione. La sensazione – però – è che il cedimento italiano sia dato per scontato: sia fuori che dentro i confini nazionali.