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ITALYGATE/13 – La versione di Mifsud contraddice quella del premier Conte e dell’intelligence italiana

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Non è solo la versione di Roh contro quella della Link Campus, ma la versione di Mifsud contro quella di Conte e dei servizi italiani.
Perché le procure italiane non hanno mai indagato sulla sua sparizione?

“Dopo il mio scambio di opinioni con il procuratore Durham, ora gli americani sanno tutto”, dice all’agenzia Adnkronos l’avvocato di Mifsud, Stephan Roh, che negli ultimi giorni è tornato a parlare con gli organi di stampa italiani.

Forse è proprio questo il dato non messo abbastanza in luce negli articoli di questi giorni: gli americani sanno già tutto, hanno il quadro completo, tanto che l’inchiesta è diventata “penale”. L’Attorney General William Barr e il procuratore Durham conoscevano la versione di Mifsud ancor prima di incontrare a Roma i vertici dei nostri servizi segreti. Il “nastro di Mifsud” non spunta oggi. Roh conferma all’Adnkronos di aver consegnato la registrazione audio al procuratore Durham il 26 luglio scorso (quindi due mesi prima della sua visita a Roma), come già a luglio avevamo riportato su Atlantico. E aggiunge di averla consegnata il 30 luglio al Senato Usa e il primo agosto alla Camera dei Rappresentanti, in particolare al deputato repubblicano David Nunes. Oltre che con Durham, Roh riferisce di aver parlato anche con diversi “congressmen” Usa.

Ecco cosa scrivevamo nel luglio scorso:

Mifsud, confida l’avvocato Roh a The Hill, era “un collaboratore di lunga data dell’intelligence occidentale”, non russa, e gli fu precisamente richiesto dai suoi contatti alla Link University e al London Center of International Law Practice (LCILP), due centri accademici legati ad ambienti diplomatici e di intelligence occidentali, di incontrare Papadopoulos a Roma (…). L’idea di presentare il giovane consigliere di Trump ai russi, ha raccontato ancora l’avvocato Roh a The Hill, non arrivò da Papadopoulos o dalla Russia, ma dai contatti dello stesso Mifsud alla Link e al LCILP. Pochi giorni dopo l’incontro di marzo a Roma, Mifsud ha ricevuto istruzioni dai suoi superiori della Link di “mettere in contatto Papadopoulos con i russi”, incluso il direttore di un think tank, Ivan Timofeev, e una donna che gli fu chiesto di presentare a Papadopoulos come nipote di Putin. Mifsud sapeva che la donna non era la nipote del presidente russo, ma una studentessa frequentata sia alla Link che al LCILP, e ha pensato che fosse in corso un tentativo per capire se Papadopoulos fosse un “agente provocatore” alla ricerca di contatti stranieri. È evidente, ha concluso Roh parlando a The Hill, che “non fu solo un’operazione di sorveglianza, ma una più sofisticata operazione di intelligence”, nella quale Mifsud si è trovato coinvolto.

Questa, dunque, la versione del professore maltese fornita già a fine luglio scorso, tramite una registrazione audio e il suo avvocato, al procuratore Durham e al Congresso Usa. E l’avvocato Roh già in quei giorni a Washington raccontava a John Solomon di The Hill tutto ciò che è uscito in Italia in questi giorni. Ma è di un certo rilievo che ribadisca e dettagli la stessa versione proprio oggi, dopo le visite di Barr e Durham a Roma tra agosto e settembre, le smentite dei nostri servizi, l’audizione del premier Conte al Copasir del 23 ottobre, e dopo che l’indagine Usa si è trasformata a pieno titolo in “inchiesta penale”. All’Adnkronos ha confermato che Mifsud non è un “agente russo”, come lo ha definito l’ex direttore dell’FBI James Comey e come più velatamente lascia intendere il procuratore Mueller nel suo rapporto, citando solo i contatti russi del professore, ma un “serviceman” dei servizi di intelligence occidentali. “Era impegnato in missioni“, sostiene Roh. L’avvocato svizzero cita esplicitamente l’MI6 britannico, al quale Mifsud era direttamente legato, afferma, attraverso il London Centre of International Law Practice (LCILP), un centro che sembra essere “semplicemente una copertura per operazioni di intelligence” e i cui direttori lavoravano con il Dipartimento di Stato Usa ed esortarono Papadopoulos a recarsi a Roma per incontrare il professore maltese.

Ma oltre a quanto raccontato nell’audio, Mifsud avrebbe rivelato anche altre cose, a registratore spento, di cui il suo legale avrebbe parlato con Durham e con il Congresso Usa. Ed è proprio questo che farebbe “fibrillare” la nostra intelligence.

Che furono i servizi italiani a suggerire al fondatore della Link, l’ex ministro dell’interno italiano Vincenzo Scotti, di “farlo sparire” per qualche tempo, Roh lo aveva dichiarato al Foglio già nell’aprile scorso. Ma il legale lo ribadisce oggi, fornendo ulteriori dettagli. Mifsud “non si è nascosto di sua iniziativa, ma gli è stato imposto di nascondersi”. Dopo che il suo nome divenne di dominio pubblico in relazione al ruolo emerso nel Russiagate, il 31 ottobre 2017, nella sede della Link, Mifsud rilasciò un’intervista a Repubblica, dicendosi totalmente estraneo a qualsiasi operazione russa ai danni di Hillary Clinton, della quale si disse, anzi, un sostenitore. Per poi sparire nel nulla. Secondo la ricostruzione di Roh all’Adnkronos, lo stesso giorno il professore venne quasi prelevato di peso e spedito in un paesino delle Marche, Matelica, dove “si è nascosto fino a fine dicembre 2017”. A sincerarsi della sua partenza, mentre Mifsud veniva fatto salire su un’auto, “il numero 2 dei servizi segreti italiani”, mentre a La Verità il legale racconta: “Mifsud mi ha confermato diverse volte che uno dei capi di un’agenzia italiana di servizi segreti contattò Scotti nel periodo in cui scoppiò lo scandalo e si raccomandò che Mifsud sparisse”.

Roh parla di legami di Mifsud con l’MI6 britannico attraverso il LCILP, ma c’è una contraddizione nel suo racconto: se legato agli inglesi, allora perché il “numero 2 dei servizi italiani” avrebbe dovuto assicurarsi di “farlo sparire” e tenerlo nascosto per qualche tempo?

Se confermate, si tratterebbe di circostanze molto gravi: un cittadino di fatto costretto a sparire e tenuto in una località segreta per almeno due mesi contro la sua volontà. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche sarebbe addirittura morto. Perché nessuna procura italiana ha aperto un fascicolo sulla scomparsa “forzata” di Mifsud, nonostante su di lui pende anche una condanna in contumacia della Corte dei Conti di Palermo per una somma di 49 mila euro? Non si è mossa la Procura di Roma, né quella di Perugia, alla quale un anno fa, nel novembre 2018, Giulio Occhionero segnalava la sparizione di Mifsud, testimone chiave del Russiagate, e chiedeva perché la Procura di Roma non stesse indagando.

Nell’ultimo periodo, riferisce oggi il suo legale, Mifsud si sarebbe mosso con una certa libertà, con “una carta di identità italiana a nome Joseph Di Gabriele” che dice di aver visto con i suoi occhi. Di un certo Joseph Di Gabriele parlò Nunes già nel maggio scorso, come abbiamo riportato su Atlantico, quando l’ex presidente della Commissione Intelligence della Camera in una lettera al presidente Trump suggeriva una serie di domande da rivolgere alla ormai ex premier britannica May, tra le quali di “descrivere qualsiasi comunicazione o relazione che Joseph Mifsud, potenzialmente noto – scriveva Nunes – anche come Joseph di Gabriele, ha avuto con l’intelligence britannica e ogni informazione in possesso del governo britannico riguardo i legami di Mifsud con qualsiasi altro governo o agenzia di intelligence”. Dunque, già nel maggio scorso Nunes sapeva dell’identità “italiana” di Mifsud.

Nella trascrizione parziale che l’avvocato Roh ha fornito all’Adnkronos, Mifsud chiarisce di non essersi nascosto “intenzionalmente”. “Non c’era assolutamente nessuna ragione che mi nascondessi”. “I miei amici e colleghi a Roma hanno deciso di suggerirmi di lasciare immediatamente Roma e trovare un posto, hanno offerto un luogo fuori mano dove potessi stare”. Per il professore era “anche importante sottolineare che i miei amici e colleghi a Roma avevano anche chiesto consiglio, consiglio a livello nazionale, su come dovessi gestire la situazione”.

“Mi era stato fatto capire molto chiaramente – si legge ancora nella trascrizione fornita dal suo legale – che era meglio se fossi stato via dai riflettori per un po’ di tempo. Uno degli argomenti che erano stati avanzati era che questa cosa sarebbe morta entro qualche mese e che sarei potuto tornare e continuare il mio lavoro e le mie attività”. Questo “argomento”, aggiunge Mifsud, “mi era stato detto non solo in Italia, ma anche a Londra”. In questa trascrizione Mifsud non fa nomi, ma riferisce che i suoi “amici e colleghi”, dai quali ha ricevuto il “consiglio” di sparire dalla scena, “non sono persone che non sono coinvolte in relazioni internazionali”, ma sono persone con “relazioni internazionali o con una reputazione internazionale, compresi alcuni ministri, ex ministri eccetera”.

Una versione che, oltre quella della Link, contraddice anche quella che il presidente del Consiglio Conte, secondo quanto da lui stesso dichiarato alla stampa, ha fornito al Copasir nella sua audizione del 23 ottobre scorso: totale estraneità dei nostri servizi, che addirittura ci sarebbe stata riconosciuta dagli Usa, e nessuna informazione su Mifsud. Durante l’audizione al Copasir del 29 ottobre, il capo del Dis Gennaro Vecchione avrebbe confermato che nulla è emerso dalle verifiche effettuate.

Tutto questo getta una luce diversa sugli incontri di agosto e settembre a Roma tra gli uomini dell’amministrazione Trump e i nostri. Se un audio è stato ascoltato durante l’incontro del 27 settembre, come riportato nei giorni successivi da alcuni siti d’informazione Usa, è probabile che siano stati Barr e Durham a farlo ascoltare alle controparti italiane, per misurarne le reazioni e chiedere spiegazioni. Già prima di incontrare i vertici dei nostri servizi, infatti, avevano raccolto informazioni e si erano fatti un’idea sul possibile coinvolgimento del nostro Paese ed è possibile che abbiano voluto mettere alla prova la collaborazione del governo italiano.

All’Adnkronos Roh spiega che “Mifsud doveva sparire, perché poteva compromettere tutta l’indagine di Mueller contro Trump…”. E si capisce: se fosse davvero un asset dei servizi occidentali, questo proverebbe tre cose. Primo, che Papadopoulos è stato adescato e incastrato già nella primavera del 2016, molto prima dell’apertura dell’inchiesta ufficiale “Crossfire Hurricane”, l’indagine è stata aperta sulla base di prove fabbricate e che la Campagna Trump era nel mirino dell’amministrazione Obama già molti mesi prima dell’hackeraggio dei server del Comitato democratico. Secondo, che un’operazione di spionaggio finalizzata a interferire nelle presidenziali Usa è avvenuta sul territorio di Paesi alleati, Italia e Regno Unito, sollevando ulteriori domande: i servizi di intelligence, le autorità giudiziarie e i governi di quei Paesi (per l’Italia, Procura di Roma e Governo Renzi) ne erano a conoscenza? Che ruolo hanno giocato? Vi hanno preso parte? E come? Terzo, che l’indagine del procuratore Mueller è servita per giustificare a posteriori le operazioni sulla Campagna Trump e nascondere le vere origini del Russiagate e gli abusi commessi.

“Il reato grave – ricostruisce ancora l’avvocato Roh all’Adnkronos – non è stato lo spionaggio su Trump, ma la fabbricazione di prove per giustificare l’inchiesta di Mueller. A Mifsud è stato chiesto di presentare Papadopoulos ai russi, per creare il caso. Mifsud poi è stato nascosto e minacciato per sostenere quell’indagine. Nessuno sparisce così in Europa, se non per una cosa di Stato o di mafia. Secondo me Joseph deve collaborare con l’indagine, lui è una vittima”. Due fasi ben distinte, dunque, nelle quali il nostro Paese sarebbe stato coinvolto: prima dell’elezione di Trump, la fabbricazione di un elemento di collusione tra la sua Campagna e la Russia; dopo il voto, la sparizione di Mifsud per non compromettere l’indagine Mueller, che avrebbe potuto portare alla destituzione del presidente (soprattutto se i Democratici avessero conquistato la maggioranza anche al Senato nelle elezioni di midterm). Chi vi ha preso parte dall’estero potrebbe aver collaborato a un tentativo di golpe istituzionale contro un governo alleato, mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale del proprio Paese. Materia che dovrebbe interessare il Copasir.

Un nuovo elemento, che riguarderebbe proprio questa seconda fase, è emerso dalle recenti interviste dell’avvocato Roh a La Verità e all’Adnkronos: “Il 25 febbraio 2017, Paolo Gentiloni (allora presidente del Consiglio, ndr) e Gennaro Migliore (allora sottosegretario per la giustizia, ndr) vanno nella sede della Link per un incontro strategico privato. Russo (direttore generale della Link, ndr) è testimone. Questo è stato il momento in cui la Link è entrata in gioco e la vita di Mifsud è cambiata”. Solo due settimane prima, il professore maltese era stato interrogato dall’FBI a Washington, dove si era recato per intervenire ad una conferenza sponsorizzata dal Dipartimento di Stato. Fonti vicine all’ex premier Gentiloni, ora commissario europeo, hanno smentito categoricamente la circostanza (“mai stato alla Link il 25 febbraio 2017″), così come Gennaro Migliore, Scotti e Russo. Però La Verità è in possesso di una email di due giorni dopo, il 27 febbraio, in cui l’avvocato Roh scriveva al professor Karl-Heins Nusser, riguardo una conferenza tenuta alla Link proprio quel 25 febbraio, di “una cosa che nessuno sapeva sabato, il primo ministro Gentiloni era alla Link Campus per colloqui politici riservati (il nostro direttore generale è suo collega di partito, Russo) ed è stato informato del nostro evento… purtroppo non è potuto venire di persona”.

A questo punto, bisognerà vedere a quali conclusioni giungeranno Barr e Durham, ma la fibrillazione, di cui si legge sui giornali, nei nostri servizi e a Palazzo Chigi è pienamente giustificata.

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