Russiagate

Hillary Clinton did it: approvò il piano per disseminare false accuse contro Trump

Ad ammetterlo davanti alla giuria nel processo Sussmann è il suo campaign manager del 2016

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Niente di nuovo per chi su Atlantico Quotidiano ha seguito il caso Russiagate/Spygate: le responsabilità della Campagna Clinton nel disseminare sui media e all’FBI le false accuse di collusione tra Donald Trump e la Russia erano già emerse da tempo con abbondanza di prove. La notizia è che ora arrivano le prime ammissioni dei protagonisti di quella campagna. E arrivano in tribunale, nel corso di testimonianze giurate nell’ambito del primo processo frutto dell’inchiesta del procuratore speciale John Durham sulle origini del Russiagate.

Chiamato venerdì a testimoniare dalla difesa nel processo Sussmann, Robby Mook, responsabile della Campagna Clinton del 2016, ha affermato che Hillary Clinton “concordò” di divulgare ai media le accuse secondo cui l’Organizzazione Trump aveva un canale di comunicazione segreto con la russa AlfaBank, nonostante la Campagna non fosse per nulla certa della fondatezza di quelle accuse. Solo una delle bufale disseminate tra luglio e dicembre del 2016 per accreditare la storia della collusione Trump-Russia.

Il processo Sussmann e la testimonianza di Robby Mook

Sotto processo per falsa testimonianza è l’avvocato Michael A. Sussmann, per aver mentito all’FBI negando che stesse rappresentando un cliente, mentre in realtà rappresentava la Campagna Clinton, da cui veniva retribuito, quando portò all’attenzione dell’FBI le accuse poi rivelatesi infondate del canale di comunicazione segreto tra l’Organizzazione Trump e AlfaBank. Ricordiamo che in quel momento l’FBI stava indagando sulle ingerenze di Mosca nelle elezioni presidenziali.

Ma la tesi di Durham è che la falsa dichiarazione di Sussmann sia parte di una più ampia truffa politica organizzata dalla Campagna – e forse personalmente dalla Clinton. Ha mentito all’FBI, ha spiegato la procuratrice Brittain Shaw ai giurati, per “manipolare” l’agenzia allo scopo di fabbricare una “October surprise” nelle ultime settimane di campagna che potesse assicurare alla Clinton la vittoria contro Trump.

Mook ha ammesso che lui e la Campagna non erano sicuri della credibilità delle prove in quel momento e che parte dello scopo di farle trapelare alla stampa era di avere un giornalista che le potesse “verificarle”. Dopo una discussione con lo staff senior della Campagna, Mook ha detto che “ne ha discusso anche con Hillary” e che “lei era d’accordo”.

“Ne ho discusso anche con Hillary. Non ricordo la sostanza della conversazione, ma teoricamente, il discorso era, hey, abbiamo in mano questo e vogliamo condividerlo con un reporter“.

A questo punto l’accusa ha chiesto a Mook se la Clinton avesse approvato la “divulgazione” dei dati ai media. “Lei concordò”, ha risposto. “Tutto ciò che ricordo è che concordò con questa decisione”.

Le accuse di un canale di comunicazione segreto tra l’Organizzazione Trump e AlfaBank erano infondate, come ha testimoniato giovedì in tribunale l’ex consigliere generale dell’FBI James Baker: “non c’era nulla”.

Per lo meno singolare che in un’epoca in cui le fake news e la necessità di contrastarle, anche con l’intervento attivo del potere pubblico, sono diventate una vera e propria ossessione della politica, oggi è ormai accertato che una delle più grandi bufale degli ultimi decenni, che ha in pratica “sequestrato” la presidenza Trump per quattro anni, sia partita dalla candidata Dem alla presidenza ed ex segretario di Stato. Un insieme di figure “credibili” con profondi legami con le forze dell’ordine, l’intelligence e i media sono state pagate dalla Campagna Clinton per inondare l’FBI, la CIA e il pubblico con accuse non provate secondo cui Trump stava segretamente colludendo con la Russia per rubare le elezioni.

CIA, FBI e Casa Bianca sapevano del piano della Clinton per screditare Trump

La testimonianza conferma ciò che il direttore della CIA John Brennan aveva segretamente riferito, come emerso dalle sue note declassificate, all’allora presidente Barack Obama già il 28 luglio 2016, e cioè che la CIA era in possesso di informazioni di intelligence secondo cui la Clinton aveva personalmente “approvato un piano di uno dei suoi consiglieri di politica estera (con tutta probabilità l’attuale consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, ndr) per diffamare Donald Trump fomentando uno scandalo che sostenesse l’interferenza dei servizi di sicurezza russi“, “come mezzo per distrarre il pubblico dal suo uso di un server di posta elettronica privato” (il caso Emailgate in cui all’epoca l’ex segretario di Stato era ancora coinvolta, ndr). All’inizio di settembre del 2016, la CIA inviò le stesse informazioni riferite al presidente anche al direttore dell’FBI James Comey.

È un punto decisivo, perché dimostra come a fine luglio 2016 la CIA e la Casa Bianca, a inizio settembre l’FBI, fossero a conoscenza di informazioni di intelligence credibili (a tal punto da informarne il presidente Obama) secondo cui Hillary Clinton aveva approvato un piano per screditare Trump fabbricando prove di collusione con la Russia. Eppure, tutti ricordiamo l’ostinazione e l’invadenza dei mezzi con cui le agenzie federali hanno indagato su Trump e alimentato la narrazione del Russiagate, ben oltre la sua elezione e per gran parte della sua presidenza.

FBI usata per colpire Trump

La testimonianza di Mook è importante anche perché spiana la strada ai tentativi del procuratore Durham di collocare la falsa dichiarazione di Sussmann nel contesto più ampio di una cospirazione politica orchestrata dalla Clinton contro Trump strumentalizzando l’FBI. L’avvocato Sussmann rappresentava eccome la Campagna Clinton, tanto da aver rivendicato il privilegio del rapporto avvocato-cliente in relazione alla richiesta di documenti da parte del procuratore Durham e tanto da essere stato retribuito sia per la sua visita all’FBI sia per aver aiutato la Campagna a prepararsi per l’incontro con il consigliere generale Baker. Il suo dovere di lealtà professionale non gli avrebbe consentito di aiutare l’FBI a scapito degli interessi della sua cliente.

La Campagna Clinton stava in effetti cercando di usare l’FBI. Se infatti l’avesse convinta a indagare, come poi è avvenuto, la storia della collusione sarebbe stata molto credibile, quindi più dannosa per Trump, e i media la avrebbero cavalcata alla vigilia delle elezioni. Sarebbe stata la “October surprise” su cui puntava. Ecco perché la difesa di Sussmann ha cercato in tutti i modi di impedire alla giuria di prendere in considerazione un tweet del 2016 della stessa Clinton – ma che dopo la testimonianza di Mook sarà difficile tenere fuori dal processo – in cui si riferiva alla seguente dichiarazione del suo consigliere Sullivan:

“Questo potrebbe essere il collegamento più diretto tra Donald Trump e Mosca. Gli informatici hanno scoperto un server segreto che collega l’Organizzazione Trump ad una banca russa. Possiamo solo presumere che le autorità federali ora indagheranno su questo collegamento diretto Trump-Russia come parte della loro attuale indagine sull’ingerenza della Russia nelle nostre elezioni”.

Esattamente il piano che secondo le informazioni della CIA Sullivan aveva proposto alla Clinton ricevendo la sua approvazione.

Questo processo dunque va ben oltre la falsa testimonianza di un avvocato. Il procuratore Durham sta raccontando all’opinione pubblica la storia di come la “macchina Clinton” ha usato media amici ed FBI di Obama per diffondere bufale sul suo avversario allo scopo di influenzare le elezioni.

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