Speciale Russiagate / Spygate

Rapporto Durham sul Russiagate: ecco le prove della cospirazione contro Trump

La vera collusione: FBI e amministrazione Obama sapevano del piano Clinton per diffamare Trump collegandolo alla Russia. E l’hanno consapevolmente implementato

Speciale Russiagate / Spygate

Pesantissimo il verdetto del procuratore speciale John Durham, incaricato dalla precedente amministrazione di indagare sulle origini del Russiagate e sulla condotta delle agenzie federali nel caso.

Il rapporto, di oltre 300 pagine, non contiene fatti nuovi rispetto a quelli già emersi ormai da anni – e silenziati dai media mainstream – ma è comunque di notevole rilevanza che un procuratore indipendente abbia confermato le ricostruzioni giornalistiche che abbiamo negli anni riportato su Atlantico Quotidiano e che ci hanno permesso di concludere che il Russiagate è stato una colossale bufala – rimandiamo al nostro Speciale i lettori che volessero approfondire ulteriormente.

Tutti sapevano

Un rapporto devastante per l’FBI e il Dipartimento di Giustizia, ovviamente, ma anche – e vedremo presto perché – per la CIA e l’intera comunità di intelligence Usa, per l’ex presidente Barack Obama, per l’attuale presidente Joe Biden, per Hillary Clinton e il Partito Democratico.

Tutta la storia della collusione tra Donald Trump e la Russia è stata una gigantesca montatura messa in piedi dalla Campagna Clinton. E fin qui, è qualcosa che ancora ci può stare, che in campagna elettorale si mettano in giro delle voci, anche false, per danneggiare il proprio avversario.

Il problema è che questa montatura ha trovato sponde nel governo federale, dando origine a indagini, intercettazioni illegali, leak e campagne di stampa, ad una caccia alle streghe durata quattro anni, e ad un’inchiesta del procuratore speciale Mueller finalizzata a insabbiare le tracce e distruggere la presidenza Trump.

E la notizia è che fin dall’inizio l’FBI e il Dipartimento di Giustizia sapevano che era una montatura. La CIA lo sapeva. L’allora presidente Barack Obama e il suo vice Joe Biden lo sapevano. Lo sapevano tutti dal primo giorno. Ma hanno agito come se fosse reale, prima nel tentativo di aiutare Hillary a vincere le elezioni, poi per far deragliare la presidenza Trump (in parte, indubbiamente, riuscendovi).

Peggio del Watergate

Dunque, niente di meno che una cospirazione ai danni sia del candidato che del presidente Donald Trump, a cui hanno partecipato attivamente FBI e Dipartimento di Giustizia, e di cui la Casa Bianca era a conoscenza. Uno scandalo da far impallidire il Watergate per livelli di governo coinvolti, durata e efficacia. Anche perché, contrariamente al Watergate, ha potuto contare sulla complicità dei grandi media, giornali e network televisivi che anziché denunciarla, l’hanno cavalcata.

Ma ovviamente la notizia avrà appena una lontanissima eco al di là e al di qua dell’Atlantico sui quei giornali e quelle televisioni che pure la cavalcarono prendendo per oro colato le accuse contro Trump. Al massimo, leggerete di un rapporto che critica la condotta dell’FBI.

Ma veniamo alle conclusioni del procuratore Durham.

Nessuna prova

Quando, a fine luglio 2016, l’FBI ha lanciato Crossfire Hurricane (il nome in codice per l’indagine sulla Campagna Trump e i suoi rapporti con la Russia), “in realtà, sulla base delle prove raccolte nelle molteplici esaustive e costose indagini federali, inclusa la presente indagine, né le forze dell’ordine statunitensi né la comunità d’Intelligence sembrano aver posseduto alcuna prova effettiva di collusione”, ma solo “informazioni grezze, non analizzate e non corroborate“.

L’FBI, si legge nel rapporto, ha avviato un’indagine “completa” su Trump e il suo team “senza (i) alcuna revisione significativa dei propri database di intelligence, (ii) raccolta ed esame di qualsiasi intelligence pertinente da altre agenzie di intelligence statunitensi, (iii) interrogatori a testimoni essenziali per comprendere le informazioni grezze che aveva ricevuto o (iv) utilizzando uno qualsiasi degli strumenti analitici standard tipicamente impiegati dall’FBI per valutare l’intelligence grezza”.

E prosegue il procuratore Durham:

Inoltre, i documenti dell’FBI preparati da Strzok a febbraio e marzo 2017 mostrano che al momento dell’apertura di Crossfire Hurricane, l’FBI non aveva informazioni in suo possesso che indicassero che in qualsiasi momento durante la campagna qualcuno nella Campagna Trump fosse stato in contatto con un qualsiasi funzionario dell’Intelligence russa.

Nel caso Crossfire Hurricane, l’FBI ha violato regole e procedure interne. Se si fosse attenuta ad esse, annota ancora Durham, “avrebbe appreso che i propri analisti esperti di Russia non avevano alcuna informazione sul coinvolgimento di Trump con i funzionari della leadership russa, né c’erano altri funzionari in posizioni sensibili presso la CIA, la NSA e il Dipartimento di Stato a conoscenza di tali prove”.

Pregiudizio politico

Durante tutta l’indagine, fatti e circostanze in contrasto con il teorema accusatorio furono “ignorati o semplicemente valutati e scartati”. Ancor prima dell’avvio dell’indagine, ricorda Durham, gli agenti coinvolti avevano “espresso il loro aperto disprezzo per Trump” e affermato che avrebbero “impedito a Trump di diventare presidente”.

“Non c’è niente in questo”

Fu il vicedirettore del controspionaggio Peter Strzok ad aprire Crossfire Hurricane come “indagine completa”, saltando i passaggi preliminari, sulla base di un breve e “vago” resoconto di un diplomatico australiano amico dei Clinton, Alexander Downer, sui “commenti preoccupanti” di George Papadopoulos, un consulente di politica estera non retribuito della Campagna Trump, circa presunte e-mail compromettenti (dirt) su Hillary Clinton in possesso della Russia.

Ma già alcuni giorni dopo, lo stesso Strzok ammetteva ad un agente dell’FBI di Londra che “non c’è niente in questo, ma dobbiamo portarlo fino in fondo”.

L’assistente legale dell’FBI a Londra (UK ALAT, ndr) ha riferito a Durham che gli agenti dell’Intelligence britannica “non hanno valutato le informazioni sui russi e Trump, attribuite a Papadopoulos, come intelligence particolarmente preziosa”. In effetti, riferì agli investigatori dell’FBI che “gli inglesi non potevano credere che la conversazione con Papadopoulos in un bar fosse tutto quello che c’era”, e che “erano convinti che l’FBI dovesse avere più informazioni che stava nascondendo”.

“Stiamo dicendo loro tutto quello che sappiamo, o c’è dell’altro?”. “È tutto quello che abbiamo. Non stiamo nascondendo nulla”, rispose il supervisore.

Il falso dossier Steele

Ma è sulla base del falso dossier Steele che l’FBI ha chiesto e ottenuto molteplici mandati FISA per spiare la Campagna Trump. Il famigerato dossier Steele era stato commissionato dalla Campagna Clinton alla Fusion GPS, tramite lo studio legale Perkins Coie. E la Fusion GPS si avvalse della collaborazione dell’ex agente britannico Christopher Steele.

Il 5 luglio 2016, diverse settimane prima del lancio di Crossfire Hurricane, Steele iniziò a riferire all’FBI una serie di informazioni sui presunti legami di Trump con la Russia. Rapporti che sarebbero poi divenuti noti come “dossier Steele”.

L’agente che per primo fu contattato da Steele (Handling Agent-I), si osserva nel rapporto, sembrava essere consapevole che la Campagna Clinton fosse collegata al dossier, inclusa la notazione “HC” nelle sue note. L’agente ha riferito che la sua reazione iniziale alle affermazioni di Steele su Trump e la Russia fu di “incredulità” e che Steele era “motivato politicamente“, ma di averle comunque trasmesse all’FBI.

Informazioni mai verificate

“La nostra indagine – scrive Durham – ha stabilito che gli investigatori di Crossfire Hurricane non hanno e non hanno potuto confermare nessuna delle accuse sostanziali contenute nel dossier Steele”. Nonostante questo, l’FBI ha utilizzato le informazioni “non controllate e non verificate” contenute nel dossier a sostegno delle sue richieste di mandato FISA nei confronti di Carter Page, uno dei massimi consiglieri della Campagna Trump.

Igor Danchenko

Peggio: la fonte primaria di Steele, aveva accertato l’FBI, era Igor Danchenko, già noto perché sospettato di essere un agente russo (a proposito di collusione con la Russia per interferire nelle elezioni presidenziali…).

Dunque, l’FBI aveva anche le prove che il dossier Steele avrebbe potuto essere frutto di una operazione di disinformazione russa, ma ha nascosto questo fatto alla FISC (la corte speciale che decide sulle richieste di sorveglianza di controintelligence) per continuare a ottenere mandati per spiare Trump e i suoi consiglieri.

Ecco quanto si legge in merito nel rapporto Durham:

La nostra indagine non ha trovato alcuna indicazione che gli investigatori di Crossfire Hurricane abbiano mai tentato di risolvere la precedente questione di spionaggio di Danchenko prima di iscriverlo come fonte (CHS, ndr) pagata. Inoltre, non ha trovato alcuna indicazione che gli investigatori abbiano rivelato l’esistenza dell’indagine di controspionaggio non conclusa su Danchenko agli avvocati del Dipartimento responsabili della stesura delle domande di rinnovo FISA contro Carter Page. Di conseguenza, la FISC non fu mai messa a conoscenza di informazioni che avrebbero potuto benissimo influenzare il punto di vista della FISC sull’affidabilità e attendibilità della principale fonte secondaria di Steele (e dello stesso Steele). Altrettanto importante è il fatto che, non chiarendo il rapporto di Danchenko con i servizi segreti russi, sembra che l’FBI non abbia mai preso in considerazione la possibilità che le informazioni che Danchenko stava fornendo a Steele – che, ancora una volta, secondo lo stesso Danchenko, costituivano una maggioranza significativa delle informazioni nel dossier Steele – fossero, in tutto o in parte, disinformazione russa.

“Nemmeno Steele – si legge ancora nel rapporto – è stato in grado di produrre conferme per nessuna delle accuse riportate, anche dopo che l’FBI gli aveva offerto 1 milione di dollari o più per tale conferma”. Né Danchenko, a cui sono stati pagati 220 mila dollari, e che, al contrario, ha descritto le informazioni fornite a Steele come “voci e speculazioni” frutto di una conversazione casuale.

In particolare, l’FBI sapeva che le informazioni su Trump che Danchenko diceva di aver appreso da Sergei Millian erano false, ed era falso che la fonte fosse Millian, tanto che non hanno mai nemmeno cercato di confermarle. Eppure, le hanno incluse in molteplici richieste di mandato FISA contro Page.

Durham ha concluso che le bugie su Sergei Millian, uno dei pilastri del fasullo dossier Steele, sono state seminate nella loro interezza da Fusion GPS, in particolare da Nellie Ohr, dipendente della Fusion e moglie di Bruce Ohr, funzionario del Dipartimento di Giustizia di Obama. Una balla anche il “pee tape” di Trump con alcune prostitute a Mosca, interamente fabbricata dal Democratico Charles Dolan.

Tra l’altro, l’FBI chiuse l’indagine di controspionaggio su Danchenko nel 2010 perché convinta che fosse fuggito, quando in realtà ha vissuto per tutto il tempo nell’area di Washington.

Il piano Clinton alla Casa Bianca

Non solo: l’FBI sapeva anche che il dossier era opera della Campagna Clinton con l’intento di diffamare Trump. In un briefing del 3 agosto 2016 alla Casa Bianca, quindi pochi giorni dopo l’apertura di Crossfire Hurricane, l’allora direttore della CIA John Brennan informò l’allora presidente Barack Obama, l’allora vicepresidente Joe Biden, l’Attorney General Loretta Lynch e il direttore dell’FBI James Comey, che Hillary Clinton aveva personalmente approvato, il 26 luglio 2016, un piano proposto da uno dei suoi consiglieri di politica estera per collegare la Campagna Trump alla Russia, al preciso scopo di distogliere l’attenzione del pubblico dai suoi guai con l’Emailgate (l’indagine sull’uso di un server privato di posta elettronica quando era segretario di Stato, ndr).

In quell’incontro Brennan riferì le informazioni di intelligence disponibili fino a quel momento sulle interferenze elettorali russe, incluse specifiche informazioni sul piano Clinton ottenute da fonte ritenuta attendibile, come si legge nelle sue note declassificate: “alleged approval by Hillary Clinton on July 26, 2016 of a proposal from one of her foreign policy advisors to vilify Donald Trump by stirring up a scandal claiming interference by Russian security services”.

Chi era il consigliere della Campagna Clinton che aveva proposto il piano? I sospetti si concentrano sull’attuale consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jack Sullivan, che aveva firmato alcuni comunicati della Campagna contenenti le false accuse di collusione di Trump con la Russia.

L’FBI ha attuato il piano

Durham osserva nel suo rapporto che la partecipazione di Comey all’incontro non innescò alcuna azione da parte dell’FBI. Ed evidenzia un’e-mail del 22 agosto 2016, che un analista informatico dell’FBI inviò ai dipendenti del Bureau e agli alti funzionari dell’Intelligence informandoli dei dettagli del piano Clinton. Ma Durham non è stato in grado di identificare alcuna azione ulteriore intrapresa dall’FBI a seguito di quella e-mail.

La leadership dell’FBI, osserva Durham, ha “sostanzialmente ignorato l’intelligence sul piano Clinton”. “Ciò nonostante il fatto che esattamente nello stesso momento in cui è stata ricevuta l’intelligence sul piano Clinton (i) la Campagna Clinton ha rilasciato dichiarazioni pubbliche che collegavano l’hackeraggio informatico del DNC ai tentativi russi di aiutare Trump a essere eletto, (ii) l’FBI stava ricevendo il dossier Steele finanziato dalla Campagna Clinton e (iii) le accuse di Alfa Bank (il presunto canale di comunicazione segreto di Trump con Mosca, ndr) finanziate dalla Campagna Clinton erano in preparazione per essere consegnate ai media e all’FBI”.

Ma secondo Andrew McCarthy di National Review, Durham è troppo gentile. Esaminando il rapporto, McCarthy trova “impossibile trarre qualsiasi altra conclusione se non che l’FBI, e l’amministrazione Obama più in generale, non hanno ignorato l’intelligence sulla strategia di Clinton, ma piuttosto che le forze dell’ordine e l’apparato di Intelligence del governo degli Stati Uniti abbiano consapevolmente favorito l’attuazione della strategia da parte della Clinton”.

Questa “l’interpretazione più sensata delle prove che Durham ha accumulato”, secondo McCarthy: “l’FBI era ben consapevole della strategia della Clinton, si aspettava pienamente che la Clinton sarebbe stata il prossimo presidente e ha contribuito a implementare la strategia“.

Le bugie di Brennan

L’ex direttore della CIA Brennan ha poi alimentato la narrazione della collusione Trump-Russia, mentendo anche al Congresso, nonostante sapesse che non c’era alcuna prova a sostegno e che esisteva un preciso piano della Campagna Clinton per fabbricare il caso.

“Mi sono imbattuto e sono a conoscenza di informazioni e intelligence che hanno rivelato contatti e interazioni tra funzionari russi e persone statunitensi coinvolte nella Campagna Trump”, dichiarò Brennan alla Commissione Intelligence della Camera nel 2017. “Le affermazioni di non collusione del presidente Trump sono sciocchezze”, scrisse per il New York Times nel 2018.

Doppio standard

Nonostante avesse ricevuto informazioni attendibili secondo cui Hillary Clinton aveva approvato un piano per diffamare il suo avversario come “puppet” del presidente russo Putin per influenzare l’esito delle elezioni, l’FBI non ha mai intrapreso alcuna iniziativa nei confronti della Campagna Clinton, osserva il procuratore Durham nel suo rapporto.

“A differenza dell’apertura da parte dell’FBI di un’indagine completa su membri sconosciuti della Campagna Trump, basata su informazioni grezze e non corroborate”, sul piano della Campagna Clinton l’FBI “non ha mai aperto alcun tipo di indagine, attribuito alcun incarico, impiegato alcun tipo di analisi, né prodotto alcuna analisi in relazione alle informazioni”.

“Questa mancanza di azione è avvenuta nonostante il fatto che la rilevanza dell’intelligence sul piano Clinton fosse tale da aver spinto il direttore della CIA a informare il presidente, il vicepresidente, il procuratore generale, il direttore dell’FBI e altri alti funzionari del governo in merito al suo contenuto entro pochi giorni dalla sua ricezione”, spiega Durham. “Era anche talmente importante, per la CIA, da inviare una segnalazione formale scritta al direttore dell’FBI Comey e al vicedirettore della divisione controspionaggio Strzok, per la loro considerazione e azione”.

“La velocità e il modo in cui l’FBI ha aperto Crossfire Hurricane e indagato durante la stagione delle elezioni presidenziali sulla base di informazioni grezze, non analizzate e non corroborate, rivelano anche un notevole allontanamento dal modo in cui si è avvicinata a questioni precedenti che implicano possibili piani di interferenza elettorale straniera mirati alla Campagna Clinton”, scrive Durham.

“In una di tali questioni … i funzionari del quartier generale dell’FBI e del Dipartimento hanno richiesto che fossero forniti briefing difensivi alla Clinton e ad altri funzionari o candidati che sembravano essere l’obiettivo di interferenze straniere”. L’FBI invece ha ritenuto di non informare Trump o il suo team quando ha avviato indagini su funzionari della Campagna come George Papadopoulos, Carter Page, Paul Manafort e Michael Flynn.

Mentre lanciavano un’indagine “completa” su Trump e la Russia, sapendo del piano Clinton, FBI e Dipartimento di Giustizia praticamente fermavano due indagini scomode proprio per la candidata Democratica: le indagini sulla Clinton Foundation (per il caso Uranium One) e sui finanziamenti illegali dall’estero alla Campagna Clinton. “Per mesi nessuna attività investigativa”, si legge nel rapporto Durham.

Arma di disinformazione

Insomma, questo è ciò che emerge dal rapporto Durham: l’FBI e il Dipartimento di Giustizia di Barack Obama hanno operato come arma di disinformazione per la Campagna Clinton e i Democratici, non solo influenzando le elezioni presidenziali e arrivando a spiare la Campagna Trump e il suo team, ma anche interferendo pesantemente con la presidenza Trump negli anni successivi.

E non è ancora finita, perché il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Jim Jordan, ha già invitato il procuratore Durham a comparire davanti alla commissione la prossima settimana.

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