Il 5 maggio 1818 nasce Carlo Marx. Duecento anni dopo, il 5 maggio 2018, il presidente della Commissione europea, l’ineffabile Jean-Claude Juncker, partecipa alle celebrazioni del bicentenario.
Se non parlassimo di una cosa drammaticamente seria, ci sarebbe perfino da ridere.
Non solo per Juncker, non sempre – diciamo – lucidissimo, sobrio e impeccabile nelle sue sortite pubbliche. Ma soprattutto per l’idea che l’Unione Europea, attraverso il suo massimo rappresentante istituzionale, ritenga di onorare l’uomo che, con le sue teorie, ha posto le basi per la negazione sia della libertà economica sia della libertà senza aggettivi.
Sarebbe facile ricordare che, tra i 27 paesi membri dell’Ue, ce ne sono tanti che hanno conosciuto l’orrore del comunismo. Juncker dovrebbe esserne consapevole, e quindi essere più cauto: ma evidentemente è come se volesse testare la loro (e nostra) capacità di sopportazione, visto che a suo tempo non rinunciò a celebrare anche l’eredità del dittatore comunista Fidel Castro.
Forse ci siamo distratti, ma non risultano discorsi celebrativi da parte dei parrucconi europei per i filosofi del liberalismo classico, né tantomeno per i giganti della politica liberale, liberalconservatrice, repubblicana, di qua e di là dell’Atlantico, dell’ultimo mezzo secolo, da Margaret Thatcher a Ronald Reagan.
Loro – a quanto pare – non sono meritevoli di memoria e celebrazione. Marx e Castro invece sì. Speriamo solo che qualcuno non li abbia presi come modelli e fonti di ispirazione per lo sviluppo dell’Unione Europea.