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La Teoria critica della razza, l’ideologia che sta intossicando l’America (e l’Occidente)

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 7 gennaio 2020

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In un suo recente tweet, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo ha scritto che la cosiddetta Critical Race Theory (teoria critica della razza) “fa parte del tentativo della sinistra radicale di iniettare il socialismo in ogni aspetto della nostra vita e indottrinare la prossima generazione di americani”.  L’allarme di Pompeo si conclude con un’esortazione che lascia presagire un futuro piuttosto fosco: “We cannot allow our military leaders to be subjected to an un-American curriculum” (non possiamo permettere che i nostri capi militari siano soggetti a un curriculum non-americano).

Il dibattito nazionale sulla CRT si è aperto con gran clamore solo recentemente, anche se in America è un concetto accademico che affonda le sue radici negli anni ’60 e ’70 e ha ufficialmente visto la luce nel 1989. L’argomento è esploso nell’arena pubblica questa primavera, specialmente in ambito educativo — nel segmento scolastico che va dalla scuola materna a quella secondaria, o K-12, come viene definito nel sistema formativo statunitense — poiché numerose legislazioni statali hanno varato o stanno progettando leggi che intendono vietare l’applicazione/l’insegnamento in classe della teoria medesima.

Relegata per molti anni nelle università e in oscure riviste accademiche, negli ultimi dieci anni la CRT è diventata in pratica la nuova ortodossia istituzionale americana, cioè l’ideologia predefinita nelle istituzioni pubbliche del Paese. L’idea centrale è che il razzismo è un costrutto sociale e che non è semplicemente il prodotto di prevenzioni o pregiudizi individuali, ma anche qualcosa di incorporato nei sistemi legali e nelle politiche. Per maggior precisione si può vedere anche la definizione che si legge sul sito di Encyclopædia Britannica:

Movimento intellettuale e struttura di analisi giuridica non molto ben organizzata e basata sulla premessa che la razza non è una caratteristica naturale e biologicamente fondata di sottogruppi di esseri umani fisicamente distinti, ma una categoria socialmente costruita (inventata culturalmente) che viene utilizzata per opprimere e sfruttare le persone di colore. I teorici critici della razza sostengono che la legge e le istituzioni legali negli Stati Uniti sono intrinsecamente razziste nella misura in cui funzionano per creare e mantenere disuguaglianze sociali, economiche e politiche tra bianchi e non bianchi, in particolare gli afroamericani.

L’organizzazione conservatrice Heritage Foundation ha probabilmente dato inizio alle danze attribuendo alla CRT la responsabilità di aver favorito la nascita di movimenti di protesta spesso violenti, come il Black Lives Matter, o le limitazioni della libertà di parola e dibattito nei campus universitari. “Quando la sua logica viene applicata fino in fondo, la CRT è distruttiva e rifiuta le idee fondamentali su cui si basa la nostra repubblica costituzionale”, ha affermato l’organizzazione. “La teoria critica della razza”, spiega la Fondazione sulla prima pagina della sezione del suo sito web dedicata all’argomento, “fa della razza il prisma attraverso il quale i suoi sostenitori analizzano tutti gli aspetti della vita americana, classificando gli individui in gruppi di oppressori e vittime. È una filosofia che sta infettando tutto, dalla politica all’istruzione, al posto di lavoro e all’esercito”. Coerentemente con questi pesanti addebiti, a metà maggio in Idaho, Iowa, Oklahoma e Tennessee sono state approvate leggi che vietano la CRT nelle scuole, mentre in altri stati leggi analoghe sono in cantiere.

Qualche esempio di teoria critica della razza in azione (tra quelli riportati da Christopher F. Rufo sul New York Post nel luglio 2020 e nel maggio scorso): 1) il Dipartmento di Homeland Security dice ai dipendenti bianchi che commettono “microiniquità” e che si sono stabilmente “socializzati” nel ruolo di “oppressori”;  2) il Dipartimento del Tesoro tiene una sessione di formazione in cui dice ai membri dello staff che “praticamente tutti i bianchi contribuiscono al razzismo” e che devono convertire tutti, nel governo federale, all’ideologia dell’antirazzismo; 3) i Sandia National Laboratories, che progettano l’arsenale nucleare americano, inviano i dirigenti maschi bianchi in un campo di rieducazione di tre giorni dove si dice loro che la “cultura maschile bianca” è analoga al KKK, ai suprematisti bianchi e, udite udite, alle uccisioni di massa (i dirigenti sono pertanto costretti a rinunciare al loro “privilegio maschile bianco” e a scrivere lettere di scuse a donne fittizie e persone di colore); 4) A Cupertino, in California, una scuola elementare ha costretto i bambini di prima elementare a decostruire le loro identità razziali e sessuali e a classificarsi in base al loro “potere e privilegio”; 5) a Springfield, Montana, una scuola media ha pensato bene di costringere gli insegnanti a collocarsi in una “matrice di oppressione” basata sull’idea che i maschi etero, bianchi, cristiani e di lingua inglese, sono membri della classe degli oppressori e devono espiare per il loro privilegio e “supremazia bianca nascosta”; 6) a Filadelfia, una scuola elementare ha costretto gli alunni di quinta elementare a celebrare il Black Communism e simulare un raduno del Black Power per liberare la radicale degli anni ‘60 Angela Davis dalla prigione nella quale un tempo era stata detenuta con l’accusa di omicidio; 7) a Seattle, il distretto scolastico ha detto agli insegnanti bianchi che sono colpevoli di “omicidio spirituale” contro i bambini neri e devono rottamare il proprio privilegio “in riconoscimento dell’eredità rubata a questi ultimi”. Può bastare a rendere l’idea? “Sono solo un giornalista investigativo”, scrive Rufo, “ma ho sviluppato un database di oltre 1.000 di queste storie. Quando dico che la teoria critica della razza sta diventando l’ideologia operativa delle nostre istituzioni pubbliche, non esagero: dalle università alle burocrazie ai sistemi scolastici K-12, la teoria critica della razza ha permeato l’intelligenza collettiva e il processo decisionale del governo americano, senza alcun segno di rallentamento”.

Un altro episodio emblematico, riportato tra gli altri dal National Review per la penna di Charles C.W. Cooke. Una quindicina di giorni fa, l’attore Tom Hanks ha scritto per il New York Times un pezzo sul massacro di Tulsa del 1921, quando una folla composta da bianchi attaccò le persone e le proprietà della comunità afroamericana, provocando molte vittime, diverse centinaia di ospedalizzati, alcune migliaia di neri con la casa distrutta e danni per l’equivalente di oltre 30 milioni di dollari attuali. “Per tutto il mio studio”, ha ammesso Hanks, “non ho mai letto una pagina di nessun libro di storia della scuola su come, nel 1921, una folla di bianchi bruciò un posto chiamato Black Wall Street, uccise fino a 300 dei suoi cittadini neri e sfollò migliaia di neri americani che vivevano a Tulsa, in Oklahoma”. Questo, ha scritto Hanks, era forse dovuto al fatto che “la storia è stata scritta principalmente da bianchi su bianchi come me, mentre la storia dei neri – compresi gli orrori di Tulsa – è stata troppo spesso tralasciata”. Per tutta risposta, il critico televisivo del NPR (National Public Radio) Eric Deggan, ha spiegato che ciò che Hanks aveva scritto sul NYT “non era abbastanza”. “Tom Hanks”, ha ammesso Deggans, “è un non-razzista”. Ma, ha aggiunto, “è ora che sia anti-razzista”. Già, perché c’è una differenza tra l’essere non-razzisti e l’essere anti-razzisti. “L’anti-razzismo”, ha precisato Deggans, “implica azione: guardarsi intorno nel proprio universo e adottare misure specifiche per smantellare il razzismo sistemico”. E se le parole di Hanks sono “carine”, non bisogna dimenticare che il Nostro “ha costruito una parte considerevole della sua carriera su storie di uomini bianchi americani che fanno la cosa giusta”. “Se vuole davvero fare la differenza”, ha concluso Deggans, Hanks, così come tutte le altre star, “deve parlare in modo specifico di come il suo lavoro ha contribuito a questi problemi e di come intende cambiare le cose”. C’è da giurare che se anche Tom Hanks decidesse di seguire alla lettera le istruzioni di Deggans, il popolare attore sarebbe comunque ritenuto colpevole di qualcosa…

Che dire? Per fortuna questa follia ideologica e gli eccessi ai quali induce i suoi seguaci ha finito per stomacare anche alcuni neri, oltre che moltissimi bianchi. Sempre il New York Post ha riproposto un video pubblicato su TikTok in cui un padre di colore e sua figlia parlano contro la teoria critica della razza. Il video è diventato rapidamente virale. “Non importa se sei bianco o nero o di qualsiasi colore”, dice la bambina. “Il modo in cui trattiamo le persone si basa su chi sono e non su di che colore sono”, osserva il papà, e la ragazzina aggiunge “e se sono simpatici e intelligenti”. “Questo è il modo in cui pensano i bambini qui”, chiosa il padre, e conclude: “La teoria critica della razza vuole porre fine a tutto questo. Non con i miei figli, non succederà. Dobbiamo fermare la CRT. Punto. I bambini non vedono il colore della pelle. Amano tutti.” Il video ha ottenuto 26.000 visualizzazioni da quando è stato pubblicato su TikTok il 19 maggio scorso, ma ha raccolto 1,6 milioni di visualizzazioni su Twitter quando è stato condiviso dal candidato al Congresso repubblicano Robby Starbuck.

Le esagerazioni e il manicheismo maniacale di quelli come Deggans sono andati talmente oltre il limite che adesso la sinistra, dopo aver cercato di sfruttare (l’estate scorsa) gli entusiasmi suscitati dal movimento Black Lives Matter al fine di portare avanti la propria idea di anti-razzismo e la stessa teoria critica della razza, sta cercando freneticamente di ridefinire i termini del dibattito, dal momento che tutta la questione si sta ritorcendo contro i suoi promotori. I liberals ora cominciano a prendere le distanze dai pasdaran dell’anti-razzismo e a negare ipocritamente che la CRT venga insegnata, in maniera palese o occulta, nelle scuole K-12, anche se, come abbiamo visto, ci sono chiari esempi che li contraddicono. E del resto il New York Times ha pubblicato solo tre settimane fa un pezzo in cui si afferma che la teoria critica della razza è un “framework che ha trovato la sua strada nell’istruzione pubblica K-12”.

Ciò non toglie, appunto, che una certa aria di svolta la si respira, come fa notare Zachary Faria sul Washington Examiner del 16 giugno. La qual cosa significa che la spinta contro queste idee tossiche, sia da parte di genitori preoccupati alle riunioni del consiglio scolastico locale, sia da parte delle amministrazioni di vari stati a guida repubblicana, sta funzionando. La verità è che stanno perdendo la battaglia per indottrinare i giovani americani con la loro ossessione razziale tossica e divisiva. Che probabilmente le cose stiano evolvendosi nella giusta direzione è la prova di quel che ha scritto il 12 giugno scorso Victor Davis Hanson sul Las Vegas Review-Journal: “Sebbene questa rivoluzione elitaria di sinistra sia più pericolosa del suo sciatto predecessore degli anni ’60, è anche più vulnerabile, dato il suo odioso e pesante apparato, ma solo se il proverbiale ‘popolo’ alla fine dice alla sua follia: ‘Quando è troppo è troppo’.” Insomma, è arrivato il momento di dire basta.