L’altra faccia del lunedì – A cosa è servito votare per il Parlamento europeo?

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Sono le 16 di domenica 26 maggio e i dati sull’affluenza, in tutti i paesi della Ue, ne mostrano una crescita, in alcuni casi importante, rispetto non solo alle ultime elezioni del 2014 ma anche a quelle precedenti. In questo momento non possiamo sapere a chi gioverà questa impennata che tuttavia, con ogni probabilità, resterà mediamente intorno al 50 per cento. Vale a dire che l’altra metà degli aventi diritto sarà rimasta a casa, nonostante lo scrutinio proporzionale offra un ampio ventaglio di scelte, dalla destra davvero estrema alla ultra sinistra. La realtà è che è molto difficile spiegare ai cittadini il senso e l’utilità del Parlamento europeo. Soprattutto perché esso non ne ha affatto, o molto scarso.

Persino due europeisti, ed esperti di diritto delle assemblee parlamentari come Nicola Lupo e Andrea Manzella, nel loro recente libro “Il Parlamento europeo. Una introduzione” (Luiss University press), sono costretti ad ammettere che Strasburgo non è al centro di nulla. Nella migliore delle ipotesi, esso ricorda le camere degli Imperi guglielmino e austro-ungarico; che erano elette a suffragio universale ma che per nulla incidevano sul governo e sulla amministrazioni, nominati dai rispettivi Kaiser indipendentemente dal risultato delle elezioni. Anzi, rispetto all’attuale Parlamento, il Reichstag aveva senz’altro maggior prerogative e capacità di incidere. Una cosa, negli ultimi tempi, il Parlamento europeo la sa però fare bene: la caccia alle streghe, come qualche mese fa con la mozione contro l’Ungheria o come lo scherzetto di impedire la formazione di nuovo gruppi parlamentari “sovranisti”. Già si è portato avanti il Consiglio d’Europa, che ha bocciato qualche giorno fa la formazione del nuovo gruppo tra Lega, Rassemblement National e Afd perché tali partiti non rispetterebbero i “valori europei”. Naturalmente il tribunale che decide chi sia fedele o meno a tali “valori” sarebbe lo stesso Consiglio o il Parlamento, secondo una logica simile ai processi inquisitoriali; che però non fanno parte dei valori Ue, sempre schifiltosa verso l’eredità del cristianesimo.

La verità è che bisognerebbe semplicemente abolire il Parlamento europeo. Una proposta avanzata da Orban, da Salvini, da Putin? No, da uno dei massimi storici mondiali dell’economia, Berry Eichengreen, un convinto democratico, nel suo ultimo libro (“The populist temptation”, Oxford Università press, 2018) e, pochi giorni fa, dall’editorialista del settimanale tedesco, liberale (di sinistra) Die Zeit, in un pezzo per il New York Times. (Joachin Bittner, “The Eu Parlament must be replaced”, 25 maggio 2019). Abolirlo, secondo Eichengreen e Bittner, per sostituirlo con una camera che sia realmente rappresentativa. Ma sono gli stessi autori, e soprattutto Bittner, ad ammettere che non è facile. Anche perché il Parlamento è tale solo se rappresentata un popolo: ma un demos europeo semplicemente non esiste, e probabilmente non esisterà mai. Paradosso per paradosso, allora meglio tornare al vecchio Parlamento nominato, come era prima del 1979.

Ecco perché, al di là dei risultati che ancora non conosciamo, a nostro avviso i partiti sovranisti dovrebbero da domani dimenticare qualsiasi possibilità di alleanza con il Ppe – l’affare di Vienna è stato montato apposta per chiudere questa ipotesi. E dovrebbero trattare il Parlamento europeo così come Lenin chiedeva ai partiti comunisti nei primi anni venti di trattare il “parlamento borghese”: come cassa di risorsa propagandistica e occasione per sabotare. Tanto lo scardinamento del sistema (se ci sarà) verrà fatto altrove, dalla politica dei singoli Stati.

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