L'altra faccia del lunedìSpeciali

L’altra faccia del lunedì – Il governo delle doppie manette: quelle gialle e quelle rosse

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L'altra faccia del lunedì / Speciali

Nel “simpatico” post del “giornalista” Rai che ha invitato Salvini a suicidarsi e la figlia (di sei anni) a disconoscere il padre, c’è un passaggio in cui si afferma che egli finirà sicuramente in galera. Ed è un rischio molto concreto, quello dello scatenamento di alcuni magistrati contro l’ex ministro degli interni, soprattutto se nei prossimi mesi non si registrasse quel crollo di consensi che i nemici della Lega auspicano e prevedono.

L’arresto, possibile? Ci meravigliamo che qualcuno si meravigli. Il Pd non ebbe alcuna remora a votare, con i 5 stelle, tra l’altro, la cacciata di Berlusconi dal Senato nel momento in cui governava con lui (erano i tempi di un Enrico Letta ancora sereno), mettendo così a rischio non solo l’esecutivo ma la vita della legislatura, se non ci fosse stata la scissione (pilotata) di Alfano. E volete che si pongano scrupoli nel far finire in carcere il leader dell’opposizione? Non li conoscete.

Niente di più semplice. Basta che una procura chieda l’autorizzazione all’arresto e che il Gip, a sua volta, trasmetta la richiesta alla Camera di appartenenza, quindi al Senato, e il gioco è fatto. Naturalmente, si tratterebbe di una manovra molto pericolosa, che potrebbe generare l’effetto opposto a quello desiderato, e rafforzare Salvini (che però intanto andrebbe in galera). Ma non ci troviamo di fronte a grandi strateghi, mi pare. Inoltre il governo Conte bis è legato da un unico sentimento: la paura. E come scrisse Guglielmo Ferrero in uno dei grandi testi della filosofia pilota del Novecento, “Potere. i geni invisibili della città”, quando il potere ha paura è pronto a ogni nefandezza.

Non v’è dubbio che il governo Pd-5 stelle sigli un salto di qualità negativo anche per le questioni della giustizia. Da quando era nato il M5S, infatti, una parte sempre più consistente della magistratura aveva abbandonato il Pd, il suo partito di riferimento da decenni (nelle sue versioni precedenti, Ds-Pds-Pci, andando a ritroso), per avvicinarsi ai grillini. Da quel momento era esploso uno scontro feroce, prima sottotraccia poi sempre più evidente, tra i due partiti della magistratura, quello rimasto con gli eredi di Botteghe Oscure e quello approdato ai 5 stelle. Il massimo di pericolo per il primo si ebbe durante la stagione renziana, quando i rapporti tra Pd e magistrati, soprattutto nella corrente Magistratura democratica, arrivarono al grado più basso. L’enorme scandalo Csm dello scorso anno è certamente figlio di quella lotta.

Ora invece i due partiti si ritrovano alleati. E il controllo sulla magistratura sarà ferreo. Certo, il partito pro Pd e quello pro 5 stelle non perseguono gli stessi obiettivi e i contrasti sorgeranno: basti vedere l’intervista, apparsa su la Repubblica del 7 settembre, al vice segretario Pd, Andrea Orlando, in quanto ex ministro Pd della giustizia garante del proprio partito dei giudici, duramente critica della riforma Bonafede, di cui chiede di fatto l’azzeramento. Ovviamente l’opposizione dovrà cercare di insinuarsi in questo contrasto, anche se per ragioni diverse nessuno dei tre partiti, Lega, FdI e FI, ha un radicamento tale nella magistratura da consentire un divide et impera. Ma non bisogna illudersi: per quanto siano divisi i due partiti della magistratura, dispongono del loro governo, che li soddisfa in quello che essi veramente desiderano; che nulla cambi, e che il potere della magistratura sia sempre più in grado di condizionare la politica, cioè la democrazia.

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