L'altra faccia del lunedìSpeciali

L’altra faccia del lunedì – Il “Vinci Salvini” e la “nuova politica”

L'altra faccia del lunedì / Speciali

Nel 1806 Hegel assistette all’entrata di Napoleone a Jena e scrisse a un amico di aver visto “l’anima del mondo”. Lungi da me paragonarmi al grande tedesco, però mi pare di aver colto un analogo “spirito del mondo” nel gioco social “Vinci Salvini”, creato qualche anno fa e ora rilanciato. Consiste in vari premi, fino a quello di incontrare il leader leghista, a cui possono ambire coloro che imprimeranno il maggior numero di like sulla pagine Facebook dell’iniziativa. I nostalgici del tempo in cui la politica era alta e persino sublime (in realtà è sempre stata sangue e merda, ma il ricordo e la memoria corta giocano brutti scherzi) hanno immediatamente lamentato la volgarità della iniziativa, non consona a un politico e men che meno a un ministro dell’interno.

“Vinci Salvini” sarebbe invece piaciuto molto a due filosofi francesi, che con largo anticipo avevano intravisto ciò che sarebbe successo. Il primo è Guy Debord, il geniale autore della “Società dello spettacolo” (1967). Per Debord il divario tra politica e spettacolo, già indebolitosi a suo tempo, si sarebbe nei decenni successivi ridotto a nulla e la politica avrebbe assunto i codici dello spettacolo. Nel video di accompagnamento infatti Salvini mima, in un modo che ne rileva una sorprendente vocazione di intrattenitore televisivo, i presentatori dei giochi a premi delle tv, con un intento volutamente auto-parodistico: Salvini fa il verso a se stesso, quasi un Salvini che imita Crozza che imita Salvini. Altrettanto parodistico, quasi alla Frank Zappa dei primi Mothers of inventions (stessi anni della società dello spettacolo), le movenze e i sorrisi delle ragazze dietro di lui. Un effetto pastiche e caricatura talmente evidente e voluto, che io stesso, quando l’ho visto per la prima volta, ho creduto fosse un falso. L’immaginario è tutto tv commerciale anni Ottanta e Novanta, il che farebbe pensare che il target dell’operazione è una fascia compresa tra i quaranta e i cinquant’anni. Non è proprio cosi. Nei millennial e nella cosiddetta generazione Z (che magari andrà il 26 maggio alle urne per la prima volta) l’immaginario di quel ventennio resta molto presente, come ultima età felix prima del disastro degli anni successivi.

“Vinci Salvini” sarebbe piaciuto anche a Jean Baudrillard, uno dei principali teorici del postmoderno come cifra della contemporaneità. In un suo testo del 1981, “Simulacri e simulazioni”, Baudrillard riteneva che ormai la realtà fosse costituita da simulacri del reale, una sorta di neo-paganesimo in cui dominava l’immagine che finiva per riprodurre una visione iperrealista del reale. La politica non sfuggiva a questo meccanismo, e il leader politico sarebbe diventato sempre più “un simulacro di se stesso, ed è questo solamente che gli fornisce il potere e la qualità di governare”. E sottolineiamo governare perché Baudrillard partiva dagli esempi dei presidenti americani e francesi degli anni Settanta. Baudrillard avrebbe forse colto in “Vinci Salvini” la conferma più estrema della sua teoria. I concorrenti vincono non tanto Salvini quanto un suo simulacro perché la loro immagine finirà nella pagina Facebook e poi potranno scattarsi una fotografia con il loro leader. Nella loro memoria resterà non tanto e non solo l’incontro con Salvini, ma l’immagine di questo incontro.

L’iniziativa potrebbe far riflettere anche un acuto studioso della società, invece fortunatamente ancora del tutto in vita, e anzi candidato alle elezioni europee: Francesco Alberoni. In un’opera geniale ed anticipatrice, uscita nel 1963, “L’élite senza potere. Ricerca sociologica sul divismo”, Alberoni notava che i neo divi del mondo dello spettacolo tendevano, rispetto a quelli dell’età classica di Hollywood, a voler assomigliare alle persone comuni. Il divismo non era più fondato sull’aura della distanza ma sul calore della prossimità. Prossimità, aggiungiamo noi seguendo Baudrillard, non tanto con il divo reale ma con un suo simulacro, che appunto restituisce l’effetto e la sensazione di vicinanza.

È questo il grande elemento di forza del Salvini comunicatore e uomo delle folle e di piazza: il convincere i suoi fan e i suoi follower che egli, in fondo, nonostante quasi un anno al potere, è rimasto uno di loro, uno di noi, un uomo come tanti, senza particolari virtù ma anche senza particolari difetti. Ecco l’intento volutamente parodistico del “Vinci Salvini”. Mentre per incontrare gli altri politici è spesso necessario pagare (cene elettorali ecc, che pure come giusto Salvini organizza) per farlo con Salvini è sufficiente un gioco a premi – che poi con questo si raccolgano anche dati per profilare gli utenti, non è cosa da menare scandalo, visto che v’è il consenso di chi partecipa al gioco. In passato solo a Berlusconi era riuscita l’opera di continuare ad apparire come “uno di noi”, nonostante i suoi miliardi e il suo potere (anche politico), cosa che oggi sta riuscendo a Trump. Con Salvini l’identificazione tra il capo e l’uomo comune è tuttavia molto più marcata ed evidente, forse perché egli è, assai più di Berlusconi e di Trump, davvero un uomo comune. Ovvio che la sinistra e i nostalgici di un tempo che fu, i parrucconi della vecchia politica, gridino alla profanazione; entrambi, sinistra e parrucconi del vecchia politica, sono infatti accomunati da molti tratti, ma uno domina su tutti: il disprezzo per l’uomo comune, per l’uomo della strada. Che invece Salvini (o il suo simulacro) sembra rappresentare, almeno per ora, perfettamente.