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L’odio è il motore della letteratura (e dell’arte). Viva l’odio!

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Questa è una breve lezione di letteratura popolare contemporanea. Gioverà sicuramente alle sardine ignoranti che vengono invitate in vari consessi dove si riuniscono i “poteri forti” di questo Paese (da Maria de Filippi, agli incontri bilaterali con le istituzioni italiane, passando per gli “approfondimenti” dei vari talk show e i giornali mainstream); sardine inscatolate che fanno discorsi contro l’odio (in realtà contro un solo obiettivo: Matteo Salvini). Questa è una breve lezione per tutti coloro che si vantano di essere buonisti e di sinistra e magari i libri che citerò li hanno anche letti ma non si rendono conto di essere dei beoti. Anzi, degli utili idioti del sistema di potere che oggi domina con “l’amore” forzato. Imponendo l’amore, ohibò. Anzi, a tal proposito, prenderò in considerazione solo libri che in un certo modo rientrano nelle abituali letture della vulgata “narrativosa” di sinistra.

Senza l’odio, un autore come Chuck Palanhiuk non esisterebbe. Immagino che le sardine all’ascolto (o in lettura) avranno letto quel capolavoro assoluto che è “Fight Club”, o quanto meno avranno visto il film di David Fincher. Tutta l’opera, a detta dei tanti critici e ammiratori dell’autore di Pasco, Washington, gira intorno alla rabbia che il narratore senza nome prova per la società in cui si trova. Dove è costretto a vivere facendo lavori che non gli piacciono, sottopagati o umilianti. Tanto che a un certo punto decide di sfogarla, questa rabbia, e apre un Fight Club, un luogo dove i rabbiosi del suo universo mondo si radunano per pigliarsi a cazzotti (e più tardi per costituire un ipotetico esercito di rivoltosi). Tutto il libro è un inno all’odio contro il capitalismo che mercifica e sfrutta le persone; il finale poi è decisamente epico. La distruzione di un grattacielo della City, l’epicentro degli affari del grande capitale (qualcuno ci ha visto un presagio degli attentati islamici dell’11 settembre 2001 a New York, altri una citazione da “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni). 

Senza l’odio, un capolavoro come “American Tabloid” di James Ellroy (che il fighettume di sinistra ha innalzato a uno dei libri simbolo contro l’America contemporanea) non esisterebbe. L’opera è un poderoso inno all’odio dei potenti nella loro gestione quotidiana degli affari. Dalle mafie ai servizi segreti, dall’amministrazione Kennedy dell’epoca fino alle starlette e ai faccendieri che compongono il caleidoscopio di personaggi, è tutto un susseguirsi di cattiverie, furbizie, meschinerie, infamie, tradimenti, uccisioni, depistaggi; l’autore, uno dei monumenti della narrativa contemporanea planetaria, sceglie volontariamente un linguaggio e uno stile incalzante, ossessivo, rabbioso e a tratti furioso per rendere l’idea del clima che si respirava in quegli anni e in quei contesti storico sociali. 

Senza l’odio, non esisterebbe il capostipite dell’horror contemporaneo, “L’Esorcista” di William Peter Blatty, e l’omonimo film capolavoro di William Friedkin. Ricordo, ero piccolo, di aver letto che quando il film uscì, la gente nelle sale scappava via o correva in bagno a vomitare. Il diavolo è simboleggiato dall’amuleto Pazuzu, il demone che possiede la giovane Regan e che sputa dalle pagine del libro e dagli schermi cinematografici tutto il suo odio contro Dio, e la sua creazione, gli esseri umani e la vita sulla Terra. “L’Esorcista” è forse l’opera letteraria emblematica dell’odio capace di generare un capolavoro senza tempo, agghiacciante, straniante e disturbante ma, pur sempre, umano, lì dove per umano intendiamo l’insieme dei sentimenti che mutano, variano e oscillano da un estremo all’altro e che, spaesati, cercano, nell’oltre del mondo invisibile e degli spiriti un senso che, però, può rivelarsi tragico anziché salvifico.

Senza l’odio, “A Cloackwork Orange”, di Anthony Burgess ovvero il film “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, non esisterebbe. Inutile dire che spesso, girando nei centri sociali e negli ambienti di sinistra, in passato ho visto ragazzi e ragazze indossare la maglietta con l’immagine tipica del capolavoro di Kubrick, quella di uno degli assassini con la maschera da clown. Un’opera che è un inno alla violenza gratuita che si sfoga contro i primi malcapitati e che fa dell’odio astratto contro tutto e tutti in maniera indiscriminata e inquietante la sua “involontaria filosofia” di base. “A Cloackwork Orange” è un libro respingente. Oggi la realtà, purtroppo, lo ha superato in più occasioni. 

Senza l’odio, “American Psycho” di Bret Easton Ellis non esisterebbe. Anche qui, si tratta di un’opera che all’epoca fece gridare non solo allo scandalo ma che la sinistra internazionalista (ricordo ululati di memorabile consenso fra i compagni, dal Manifesto in giù) prese come simbolo della degenerazione del capitalismo finanziario. Il protagonista, Patrick Bateman, è un affermato uomo d’affari della City di Manhattan che in realtà nasconde una doppia identità di serial killer.  L’odio e il disprezzo più biechi nei confronti dell’umanità in generale sono descritti con tratti talmente crudi che il libro risulta a tratti indigesto. Eppure, anche qui, nessuna educanda progressista, all’epoca, pensò bene di censurarlo per crimine d’odio. Poi, si sa, se si odia il capitalista tutto è concesso; è quando si “odiano” altre cose che allora quel nobilissimo e creativo sentimento umano, secondo loro, non può avere ragione di esistere.

Si potrebbe continuare all’infinito: “Meridiano di Sangue” di Cormack Mc Carthy, “Il Signore delle Mosche” di William Golding (libro da cui, secondo me, hanno preso spunto i vari reality idioti di “sopravvivenza” dei nostri giorni), lo stesso “2066” di Bolaño nella macabra descrizione dei 112 omicidi che avvengono nella cittadina di Santa Teresa, e perfino qualche scrittore italiano all’epoca del Pulp, che tanto di moda andava fra i giovani perbene del progresso democratico, tipo Aldo Nove col suo romanzo d’esordio del 1996, “Woobinda”, il cui incipit non lascia alcuno scampo: “Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo. Pure & Vegetal”. 

Una riflessione finale. L’odio contro cui si scagliano le sardine non è l’odio politico che esisteva in questo Paese negli anni ’70, quando rossi e neri si ammazzavano sulle strade; oggi esiste solo la sacrosanta paura della gente che si è vista recapitare sul suo territorio orde di immigrati clandestini (spesso spacciatori, pericolosi criminali e, come dimostrato dalla magistratura, pure terroristi islamici) da navi ong mosse da tutt’altro che un sentimento umanitario. La sacrosanta paura è stata intercettata da un uomo politico abile, furbo, chiamatelo come volete, che sa parlare alle masse (e voi non lo sapete fare) e si oppone all’immigrazione incontrollata. L’odio, è un’altra cosa. L’odio è un sentimento nobilissimo, come vi ho mostrato sopra. Senza l’odio, non si avrebbe la misura dell’amore (e viceversa), perché in questa dimensione spazio temporale, l’essere umano conosce solo tramite opposti. Il sole lo vedo perché esiste una notte di sfondo. L’amore lo provo perché so e sento cos’è l’odio e lo esprimo. La vita non è l’opposto della morte. Il nascere è l’opposto del morire, ed entrambi formano la vita. Ed entrambi creano e distruggono. Tutto. Compresi i grandi capolavori dell’arte e della letteratura.

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