Leggendo molti quotidiani e ascoltando voci autorevoli, come quelle del Papa e del presidente della Repubblica, ci si fa l’idea che al governo ci siano ministri dal cuore duro, indifferenti al grido di dolore che si leva da ogni parte del mare nostrum, dai barconi galleggianti alla deriva. In un empito di buonismo manifestino in salsa bergogliesca (l’umanitarismo del Manifesto ormai è diventato la civic culture dell’Italia “che scrive e che pensa”. Chapeau!), Gad Lerner ha giocato la carta, in Italia tuttora vincente, del cuor di mamma. “Sì, viene da chiedersi senza volerle mancare di rispetto, cosa pensi in cuor suo la madre di Salvini di questo figlio che si compiace nell’esibizione pubblica dello scherno e della cattiveria addosso a persone che soffrono”. Non era mai accaduto che il paese si ritrovasse così diviso tra ‘cinici’ e ‘umanitari’ e che fossero quasi azzerate le voci della buona ‘zona grigia’, quelle del ‘paese che ragiona’ e che si rende conto, ad esempio, che la durezza della chiusura è legata a un valore altrettanto comprensibile e rispettabile della generosità dell’apertura.
Vale la pena di citare ancora Lerner:
“Anche ammettendo che i 9 milioni di voti leghisti – e sommateci pure quelli di Fratelli d’Italia e una quota di berlusconiani – vivano come una liberazione l’indifferenza nei confronti di quei reduci dai campi di prigionia libici, ugualmente si tratta solo della minoranza di un Paese di 60 milioni di abitanti che resta assai migliore della raffigurazione che Salvini ne fornisce ogni sera dagli schermi televisivi. Dovrà fare i conti con un’Italia certo, intimidita ammutolita dall’accanimento con cui vengono liquidate le figure di riferimento che predicano l’umanitarismo e la solidarietà, un’Italia che vive con crescente disagio la spirale del turpiloquio e dell’ostentazione di cinismo”.
“Così percossa e attonita” l’Italia al Truce sta: Salvini sarebbe riuscito a far tacere gli italiani brava gente che, grazie alle sue comparsate televisive (che, peraltro, non piacciono neppure a me) non hanno più il coraggio di gridare ai quattro venti quant’è bella l’accoglienza/che non costa, tuttavia…
Mettendo da parte l’irriverente ironia nei confronti di un’icona della “Repubblica” e dei quartieri alti che votano Pd se non più a sinistra, però, il problema c’è e sta assumendo forme e dimensioni sempre più drammatiche. Dal Rio Grande al Mediterraneo assistiamo a un’emigrazione epocale di popoli, che vogliono sottrarsi alla guerra e alla fame e vivere in quei Paesi a capitalismo avanzato che, per i fans immarcescibili di Fanon e di Che Guevara, sono il regno di Satana (dove, però, “se magna!”). A questo punto i nostri governanti e i giornali (pochi) ad essi – più o meno – vicini dovrebbero rinunciare alla retorica dei sacri confini e sfidare i tartufi del buonismo sul loro stesso terreno, quello dell’Europa e del mondo.
La “modesta proposta” che suggerirei a sovranisti ed euroscettici, per togliersi di dosso la brutta nomea di pronipoti di Erode e del Fuhrer, è molto semplice e in grado di conciliare le capre dell’accoglienza e i cavoli del patriottismo europeo: si tratta di impegnarsi a fondo, con un battage pubblicitario incessante e martellante, per ottenere che le coste di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo siano considerate coste europee e che la competenza sugli sbarchi – ovvero sulle carte in regola per chiedere asilo – sia affidata a una Guardia costiera multinazionale reclutata da Bruxelles. In tal modo, si farebbero la delizia dei retori di più Europa e quella degli amici liberisti: i primi dovrebbero rallegrarsi per la nascita di nuovi istituti europei, i secondi per la libertà concessa a quanti sbarcano ‘regolarmente’ di raggiungere i paesi che preferiscono. Sarebbe l’uovo di Colombo: verrebbero smascherati ‘gli umanitari con i soldi degli altri’ (la metafora ad hoc, in realtà, è più pesante e volgare) e, nel caso prevedibile dell’eventuale rifiuto, la rabbia suscitata dal Truce (come viene chiamato il titolare del Ministero dell’interno dai repubblicones moderati del Foglio) verrebbe fraternamente divisa con i suoi colleghi europei.
Posso prevedere l’obiezione: la charitas non si fa alla condizione che sia anche il vicino a farla, non si lascia in mare un essere umano che può essere salvato da morte sicura perché soltanto noi siamo disposti ad accollarci la parte del buon samaritano. D’accordo, ma qui parliamo di politica, non di morale, e, in politica, occorre il consenso dei cittadini ogni volta che si tratta di sobbarcarsi una spesa – e quella richiesta dal ‘gesto umanitario’ non è certo lieve, giacché ‘accogliere’ non significa solo farli sbarcare ma assicurare ai rifugiati una vita decente, un tetto, una mensa, cure sanitarie etc. Un paese moderno non può pensare nei vecchi termini della comunità siciliana “A casa capi quantu voli lu patrùni” (“Una casa è grande quanto vuole il padrone”). Se si dà ospitalità bisogna essere consapevoli dei costi sociali ai quali ci si sottopone. “È la dignità, bellezza!”: e di quella dei migranti molti ‘cattivisti’ si preoccupano, forse, assai più di Lerner.
Un governo guidato da ministri devoti al Manifesto può anche decidere (legittimamente) di accogliere tutti senza distinzione e di scaricarne i costi sulla fiscalità generale ma una diversa compagine ministeriale, se vuole salvare la faccia e la sua anima cristiana deve responsabilizzare e, soprattutto, rafforzare le istituzioni europee. Se la Francia (già vista all’opera a Ventimiglia) e la Germania (che ci ha rispedito recentemente un migliaio di profughi ‘sedati’) si rifiutassero di delegare all’Ue tutta la questione degli sbarchi e di creare, all’uopo, validi strumenti sovranazionali, alle accuse di cecità etica rivolta a Roma da Parigi e da Berlino si dovrebbe replicare con un napoletanissimo: “ma facitece o piacere!”.
Viviamo in un’epoca tristissima non tanto per i problemi enormi coi quali dobbiamo misurarci (problemi economici, ambientali, demografici etc.) quanto per le crescenti difficoltà che incontriamo nel farvi fronte una volta che abbiamo eliminato la divisione tra etica, diritto, politica ed economia. Quella divisione sulla quale si fondava la ‘civiltà liberale’, oggi al tramonto.