Se Mattarella sconfina, anzi deborda. Appunti sul presidenzialismo (vero), per liberarci di un presidenzialismo improprio e di fatto

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Le cose, poi, hanno preso una piega diversa: ma è il caso di fare un passo indietro e di tornare a ciò che i giornaloni dello scorso weekend avevano molto valorizzato, e cioè una telefonata del Colle a Palazzo Chigi per imporre un cambiamento di linea sulla vicenda della nave Diciotti.

Se l’articolo 87 della Costituzione non è stato cambiato nottetempo, magari approfittando della generale distrazione estiva o della finale dei mondiali di calcio, dovrebbe recitare ancora così:

“Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica”.

Tanta roba, anzi tantissima, come si vede. Ma, pur in questa valanga di poteri e attribuzioni del Quirinale, non risultano competenze sulla Guardia Costiera né tantomeno sulla Polizia di Stato né sull’esercizio dell’azione penale. A che titolo, dunque, il Capo dello Stato è intervenuto sulla vicenda della nave Diciotti? Come mai giornaloni e televisioni hanno potuto dire che è stato il Presidente della Repubblica a “sbloccare” la situazione?

I soliti quirinalisti-ventriloqui hanno parlato di “scelta obbligata” del Colle. Ma quale obbligo? Il Colle, semmai, ha scelto, ha esercitato una enorme discrezionalità: ha deciso una volta di più di prendere parte, di entrare in campo, di passare dalla condizione di arbitro (che fischia il rigore) a quella di centravanti (che va sul dischetto e tira).

Per una volta, non è in questione il merito della scelta (che si può condividere o non condividere: ogni opinione è ovviamente legittima), ma proprio il fatto in sé dell’entrata in campo presidenziale per dirimere una questione su cui la competenza era essenzialmente del Ministero degli Interni, di quello della Difesa, di quello di Infrastrutture e Trasporti.

Parliamoci chiaro, senza tanti giri di parole. La sensazione che tutti i giornali del weekend hanno confermato, senza che sia giunta una sola sillaba di smentita, è che qualcuno al Quirinale abbia voluto dare uno stop a Salvini. Se così fosse, sarebbe stata (e sarebbe) una scelta politica: e come tale, suscettibile di essere discussa, anche criticata e contestata.

E soprattutto, andiamo al punto: cioè l’arbitro e il perimetro dei suoi poteri. E’ evidente che con gli anni si sia affermata – ed è una tendenza ormai più che ventennale, da Scalfaro a Napolitano a Mattarella – un’interpretazione superinterventista delle funzioni del Presidente della Repubblica. La cosa curiosa è che siano proprio dei parlamentaristi, cioè dei sostenitori (in teoria) della centralità delle Camere, ad essersi mossi in direzione opposta: ma la realtà ormai sotto gli occhi di tutti è che, a poco a poco, sia stato instaurato un presidenzialismo di fatto, senza regole precise e indiscutibili, senza contrappesi, senza contropoteri.

Davanti a tutto questo, sarebbe molto più sano approvare una vera riforma costituzionale improntata al presidenzialismo (sul modello di Washington o eventualmente di Parigi), con l’elezione popolare diretta di un Capo dello Stato dotato anche del potere di guida del governo.

A quel punto sarebbero i cittadini a eleggerlo. Ogni scelta deriverebbe da un potere chiaro e riconosciuto, senza interpretazioni discutibili e discrezionali. E soprattutto ci sarebbe anche un sistema di pesi e contrappesi, di checks and balances.

Purtroppo, nel 1946-1948, nell’Assemblea Costituente, la proposta presidenzialista, pur caldeggiata da personalità assai autorevoli (si pensi a Piero Calamandrei), fu respinta. Dc e Pci avevano paura gli uni degli altri, sentivano ancora come troppo vicina l’ombra del ventennio appena trascorso, e si orientarono su un sistema paralizzato e paralizzante, con un Esecutivo debole, e una suddivisione di funzioni e poteri non sempre chiarissima tra Capo dello Stato, Parlamento e Governo. Lasciando così un’autostrada sia al potere di fatto dei partiti sia alle tracimazioni, agli sconfinamenti, alle sortite del Quirinale a cui assistiamo da almeno vent’anni, e che solo i lacché del Colle possono ricondurre soavemente alla “moral suasion”.

Meglio, molto meglio un Presidente eletto direttamente, a questo punto, dopo una limpida campagna elettorale. E senza bisogno di quirinalisti e retroscenisti che – ogni giorno, forse travestiti da paralume – ci informino su spifferi, sospiri e sussurri tra i saloni e gli arazzi del palazzo presidenziale.

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