La storia delle fughe da Berlino Est meriterebbe un capitolo a parte: dalle più rudimentali a bordo di veicoli che tentano di sfondare il Muro, alle più sofisticate, con automobili o furgoni adattati per nascondere i candidati all’evasione, nel telaio o nel bagagliaio. Le più sconsiderate e disperate certamente i tentativi individuali, diurni o notturni, quasi sempre con finale tragico. Le più poetiche, quelle dal cielo, in mongolfiera. Ma le più spettacolari di tutte sicuramente le avventure sotterranee. Il tunnel è stata la risorsa preferita dei fuggitivi, spesso coronata da successo. Un giorno un gruppo di studenti, è la primavera del 1964, concepiscono un piano che li porterà, sei mesi dopo, a realizzare la più clamorosa fuga della storia del Muro: 57 persone raggiungono l’ovest attraverso un passaggio di settanta centimetri d’altezza. Gli scavi partono da lontano, per non destare sospetti. Il tunnel misurerà alla fine 145 metri, da percorrere con maschere anti-gas (i VoPo non vanno tanto per il sottile in questi casi), attrezzature elettriche di fortuna e perfino una sorta di mini-teleferica per la risalita. La storia della divisione di Berlino, al di là delle dinamiche politiche che la sottendono, è soprattutto quella delle speranze di riscatto individuale mai del tutto spente, nonostante la repressione e il conformismo imposto dalla dittatura. Una dittatura che non esita a uccidere per evitare l’onta del rifiuto dei suoi cittadini. Tra i casi più drammatici di fughe non riuscite quella di Peter Fechter, colpito al ventre dai cecchini, e morto dissanguato dopo un’agonia di 50 minuti, senza che nessuno lo vada a soccorrere. Si potrebbe continuare a lungo.
Negli anni Berlino, come tutta la Germania Est, impara a resistere, a convivere con quella barriera fisica e mentale che il potere le ha imposto. Il regime cerca diversivi: la promozione della cultura ufficiale e dello sport, per esempio. Ma è l’ambito intimo e famigliare l’unico vero spazio in cui i legami si possono rinsaldare ai margini di un sistema ortopedico che tutto costringe. Tra le forme di resistenza, a parte la dissidenza esplicita, si fanno sempre più frequenti con il passare del tempo gli atteggiamenti di indifferenza e di non collaborazione con le autorità: fare il minimo indispensabile approfittando al massimo di quello che lo stato offre.
All’inizio degli anni ’80 ci sono giovani che non hanno conosciuto altro che il Muro. La loro esistenza non contempla un’altra realtà e paradossalmente è proprio quella presenza che li spinge a pensare con crescente intensità a ciò che si muove oltre la doppia barriera di cemento armato. Nel 1987 un concerto rock organizzato sul lato occidentale attira in prossimità del Muro migliaia di giovani. La polizia e la Stasi si incaricano di mantenerli a distanza ma a metà performance la folla comincia a scandire “Questo Muro deve sparire”. Sono troppo numerosi per essere tutti arrestati, troppo alto è il volume della musica per ascoltare gli avvertimenti delle autorità. Alla fine le forze di polizia riescono a disperdere l’assembramento e a riportare l’ordine. A Berlino Est non lo sanno ancora ma la fine comincia così, sulle note di una chitarra elettrica.