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#Muro30 – 2. Liberazione, occupazione, divisione

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Il 12 settembre 1944 le quattro potenze alleate (URSS, USA, Francia, Gran Bretagna) firmano un primo protocollo d’intesa sul futuro della Germania sconfitta. Mancano otto mesi alla resa definitiva di Hitler. Si prevede: la divisione del territorio in quattro zone d’occupazione; la creazione di un Consiglio inter-alleato che due mesi dopo produrrà la prima bozza del futuro “Statuto di Berlino”, su cui si eserciterà l’autorità collettiva attraverso un organismo quadripartito, la Kommandatura. Dall’accordo rimangono fuori, piuttosto ingenuamente da parte occidentale, le previsioni sulle vie terrestri d’accesso ai loro settori. I sovietici ne approfittano per ritardare l’arrivo di americani, francesi e inglesi fino all’8 luglio 1945. Vedremo perché questo si rivelerà un punto importante.

I berlinesi rimangono quindi inizialmente sotto il controllo esclusivo delle truppe di Stalin che si riservano il diritto di muoversi a piacimento nella capitale sconfitta: saccheggi, smontaggio di fabbriche ricostruite poi in territorio sovietico, violenze, insomma bottino di guerra. È vero che l’Armata Rossa arriva per prima a Berlino ma allo stesso tempo gli americani liberano, ad esempio, Sassonia e Turingia che sono invece immediatamente consegnate all’amministrazione sovietica in base ai patti tra potenze. Cominciano anche le purghe politiche. Prima esponenti dell’ex regime, poi intellettuali, giornalisti o semplicemente potenziali oppositori del nuovo corso. Si usano per l’occasione anche i campi di concentramento appena liberati.

Intanto, in città si riorganizza la distribuzione degli alimenti (180.000 tonnellate in tre mesi) e si comincia la ricostruzione delle vie di comunicazione interne. La metropolitana (S-Bahn) riapre quasi subito. I sovietici non ne cederanno mai la gestione.

Curiosamente (ma non troppo) gli occupanti scelgono come capo della polizia di Berlino un ufficiale della Wehrmacht convertito allo stalinismo durante la prigionia: Paul Markgraf. Lo affianca inizialmente il socialdemocratico Karl Heinrich, antifascista da sempre. Heinrich cerca di opporsi alla comunistizzazione della polizia e per questo viene presto sollevato dall’incarico e internato nel campo di concentramento di Hohenschönhausen dove morirà tre mesi dopo a mano dei suoi aguzzini, che finiranno il lavoro iniziato dai nazisti. Quando gli alleati occidentali arrivano in luglio, Mosca ha già le mani sulla città: amministrazione militare, agenti sui luoghi della ricostruzione, funzionari civili ideologicamente affini sotto il controllo di Walter Ulbricht.

Ma l’apparenza è salva e la città si divide in quattro aree d’influenza.

Puntate precedenti:

  1. C’era una volta un muro