La passività occidentale di fronte alla repressione delle proteste di Berlino del 1953, di cui abbiamo parlato nella precedente puntata, viene immediatamente interpretata dai sovietici come un invito ad alzare la posta. La rivolta di Budapest nel 1956 si conclude allo stesso modo: l’Unione Sovietica impone la sua dottrina d’acciaio e le democrazie chinano il capo. Negli anni successivi, sulla sorte della capitale si apre un periodo di schermaglie diplomatiche (1957-1961) generalmente poco analizzato ma piuttosto importante alla luce dei futuri avvenimenti.
Kruschev lancia una proposta avvelenata: un nuovo statuto per la città. In cosa consiste la sua offerta? Nel fare di Berlino, nel suo insieme, una città riunificata, “indipendente”, con un governo proprio, tutelata e garantita dalle quattro potenze e dalle due Germanie. Insomma, un’isola demilitarizzata nel cuore della DDR. La nota diretta alle cancellerie occidentali include il divieto di qualsiasi “attività sovversiva” diretta contro il governo delle Germania Est. Facile capire quante variabili includa questa definizione, a pochi anni dalle manifestazioni a Berlino Est. Dietro questa apparente “soluzione diplomatica” l’intenzione dei sovietici è chiara: l’uscita delle truppe occidentali da Berlino Ovest e il via libera al controllo totale della città da parte del Patto di Varsavia non appena si verifichino – ad insindacabile giudizio dei comunisti – atti di “insubordinazione”. A togliere ogni dubbio ci pensa Walter Ulbricht che, al Congresso della SED nell’ottobre del 1958, dichiara senza mezzi termini: “Siccome Berlino si trova nella sua totalità all’interno del territorio della DDR, la sovranità sulla città dev’essere della DDR”.
Una volta abbandonate le ambizioni di dominio sull’intero territorio tedesco, per i sovietici risulta vitale poter controllare almeno la capitale. L’offensiva di Kruschev nasce da questa esigenza e dalla constatazione della vulnerabilità del suo confine occidentale. Ogni anno sono almeno duecentomila i cittadini della Germania Est (e di altri paesi satelliti) che, attraverso i punti di passaggio ancora aperti a Berlino, guadagnano l’accesso a Ovest per non ritornare. Un’emorragia che le autorità non riescono a fermare. Tra questi rifugiati più di tremila medici, diciassettemila ingegneri e altrettanti insegnanti. Non più solo la classe operaia, dunque, ma anche i quadri non politici della nazione scelgono la libertà e mandano un segnale inequivocabile al resto d’Europa. Intanto, il 7 dicembre 1958 si celebrano le elezioni locali a Berlino Ovest. I socialdemocratici di Willy Brandt (diventato sindaco della città un anno prima) conquistano la maggioranza assoluta, seguiti dalla CDU con il 37 per cento. I votanti esprimono così la loro avversione a qualsiasi prospettiva di sovietizzazione della zona occidentale. La SED, il partito che la propugna, si presenta al voto (ad ovest è permesso) e ottiene un misero 2 per cento dei consensi. Il 31 dicembre i ministri degli esteri della Repubblica Federale Tedesca e delle potenze alleate respingono ufficialmente la “proposta Kruschev”.