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L’uso della parola “negro” nell’era del neo puritanesimo vittoriano

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Sono stato bannato per tre giorni da Facebook perché in un commento a un mio post ho usato la parola “negro”, fra virgolette. L’ho usata con intento pedagogico-analitico, per descrivere gli usi che se ne fanno. All’algoritmo severo di Facebook, ideato da quel figurino macilento (e pure troppo bianco per i miei gusti) che è Mark Zuckerberg, non interessa. Loro, i censori millennials, bannano tutto ciò che non corrisponde alla neo-lingua politicamente corretta. Eppure la parola negro è bellissima. Vi riporto a questo proposito la definizione che ne dà la Treccani:

negròide agg. e s. m. e f. [comp. di negro e -oide]. – In antropologia fisica, ramo n., uno dei due rami delle forme primarie equatoriali, comprendente i ceppi degli steatopigidi, dei pigmidi e dei negridi. In senso generico (e spesso sostantivato), di individuo che presenti le caratteristiche dei negri (pelle molto scura, camerrinia, prognatismo, capelli crespi, dolicocefalia).

In questo articolo allora la userò sempre. E, caro signor Facebook, spero che non solo venga letto, ma anche condiviso sulle bacheche del suo social così che la parola proibita possa diffondersi cento, mille, diecimila volte. E lei non potrà ribannarmi.

Negro vuole dire anche nero in spagnolo. Rimanda, appunto, alla razza negroide (che in molti casi va fiera della sua negritudine), una razza stupenda per fattezze, lineamenti; corpi atletici, slanciati, muscolatura definita, labbra carnose, naso importante, narici larghe, membri superiori alla media, culi sporgenti, tette giganti che ballonzolano. Vengono dall’Africa e sono molto bravi negli sport, nella lotta, nei lavori di fatica, un po’ meno nelle opere d’intelletto, non per colpa loro o perché geneticamente inferiori, semplicemente perché i loro paesi non hanno conosciuto lo sviluppo industrial-tecnologico che ha avuto il nord del mondo (e quando dico nord intendo non solo Europa, Russia e Stati Uniti ma anche Cina e Giappone). E senza sviluppo industrial-tecnologico, e senza capitalismo e mercato, non si ha istruzione. Purtroppo. (È tanto vera questa cosa che l’unico paese in cui i negri si sono emancipati davvero è il regno del cattivo capitalismo, gli Stati Uniti d’America dove, nel bene e nel male, un signore è anche riuscito a diventare presidente). I negri in America hanno inventato la musica del XX secolo, qualcuno brilla radiosamente perfino nelle belles lettres (non tanti a dire la verità); leggete quel capolavoro che è “Jazz” di Toni Morrison (leggetelo in lingua se potete) e forse mi darete ragione.

La parola negro veniva usata per indicare i neri ancora negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso con assoluta tranquillità (la usava John Kennedy per riferirsi al suo maggiordomo, la usavano le femministe per indicare le donne nere che volevano emanciparsi e contribuivano alla lotta contro lo schiavismo nel sud; chissà perché, anche in Italia in questi anni, gli schiavi negri sono sempre al sud), poi, dal ’68 in là, qualche complessato bianco benestante e figlio di papà ha deciso che non andava più bene perché i razzisti suprematisti del sud degli Stati Uniti la usavano in senso spregiativo. Ma, dio mio, razza di cervelli strizzati che non siete altro. Dipende dall’uso che se ne fa, di un parola. Se io dico frocio a qualcuno con intento offensivo è un conto, se io dico frocio a qualcuno come Pier Paolo Pasolini o Sandro Penna ti farà un applauso; è così che i due grandissimi poeti italiani volevano che ci si riferisse quando si indicava un uomo che ama un altro uomo. Se io dico ebreo a una persona di religione ebraica non faccio nessun danno. Se un nazista dice ebreo a un ebreo è perché vuole insultarlo. Possibile che non ci arrivate?

Viviamo tempi difficili. Mi rimane difficile persino organizzare un discorso logico in un articolo che nemmeno sarebbe dovuto essere scritto, tanta l’assurdità della tematica. Viviamo tempi in cui i Wasp (White Anglo-Saxons Protestants) sono di nuovo alla carica; non bastavano i disadattati sessantottini figli di papà, oggi ci sono i loro nipotini, inviperiti e odiatori più dei loro predecessori. Oggi per difendere la donna dai soprusi dell’uomo (in genere definito maschio bianco eterosessuale e cristiano, o meglio ancora ebreo cattivissimo filo israeliano) si sono inventati un movimento neo puritano, il #MeeToo, che, come un tribunale dell’inquisizione, accusa il maschio di molestie come un tempo la Chiesa Cattolica accusava le donne d’eresia, basandosi cioè sul sospetto e l’arbitrio. Persino il meraviglioso negro Morgan Freeman è stato accusato dalla nuova Inquisizione; avrebbe sollevato la gonna a una assistente di produzione (probabilmente una poveretta che aspirava ad altro ruolo). Chissà se le suffraggette del #MeeToo sanno che durante l’epoca vittoriana, quando il puritanesimo raggiunse il suo apice più tremendo, non si poteva dire petto di pollo perché il petto rimandava a una parte scabrosa. Esattamente come oggi non si può pronunciare una parola bellissima come negro senza venir tacciati di razzismo. Io sono convinto di una cosa: i Wasp stanno continuando a dominare il mondo con il loro piglio imperiale e imperialista (e puritano); solo che oggi non possono più farlo con le armi, le navi da guerra, il colonialismo. Oggi lo fanno con la creazione di una società di ibridi, in cui le razze e le sacrosante differenze etniche, religiose, sessuali, vengono eliminate (quanto meno a parole) per dare una pennellata di uguaglianza alla facciata. Nel fondo, tuttavia, soggiace, anzi ripeggiora, lo strato di diseguaglianza e umiliazione dei nuovi/vecchi povery. Quelli che devono arrabattarsi in un mondo sempre più flessibile, privi di diritti basilari, con salari da fame ma con la tutela di non poter essere insultati via internet pena la censura zdanovista, come un maglio che perfora l’animo dei trasgressori, seppur involontari.

Mi viene da ridere. Divago e m’invento una chiosa pop. Nel testo di una delle canzoni del momento, “Cara Italia”, Ghali, l’autore, italo-tunisino figlio di immigrati, fa tranquillamente uso della parola negro. Se ascoltate invece i testi dei rapper bianchi (ma non solo dei rapper), anche di quelli più incazzati e apparentemente scorretti, non troverete mai parole vietate (… che belli gli anni ’70 quando Renato Zero cantava l’amore a tre, urlava frocio sul palco, e i diritti gay se li conquistava a suon di performance e non di ridicole marcette gay-pride). Pensare che negli anni ’60 un innocuo canzonettaro come Armando Trovaglioli faceva ballare l’Italia sulle note de “El negro Zumbon” (ripresa in una scena di “Caro Diario” di Nanni Moretti in cui si vede Silvana Mangano che ci balla a tempo nel film “Riso Amaro”), e nessuno si scandalizzava; le signorine in minigonna sculettavano, i maschi le importunavano, magari gli alzavano pure le gonne senza essere accusati di molestie; la libertà sessuale faceva capolino contro il bigottismo cattolico che fin lì aveva dominato le famiglie e la struttura della società. Un’età dell’oro che, a guardarla oggi, sembra lontanissima, e bellissima. Come la parola negro.