Cari amici, lettori e colleghi della NPR, vi spiego come il nostro amatissimo network ha perso la sua stella polare e, soprattutto, la fiducia degli americani. Questo è il succo di un lungo articolo che sta spopolando in questi giorni sui social media americani, rimbalzando da una bacheca a un’altra, tutte rigorosamente d’area conservatrice e libertaria, come soltanto certi scritti corsari riescono a fare.
Non è il primo caso di clamorosa dissociazione pubblica dal mainstream giornalistico d’oltreoceano, né sarà l’ultima, ma di sicuro è un colpo assestato con rara precisione e ferocia intellettuale, tanto più eclatante in quanto proveniente da un liberal con pedigree insospettabile e non dal solito conservatore frustrato. Lui risponde al nome di Uri Berliner, ed è da 25 anni un redattore e reporter presso la NPR (National Public Radio), uno dei maggiori network radiofonici statunitensi.
Da notare che la NPR, network indipendente e non profit, rispetto ad altre organizzazioni consimili ha in più un elemento distintivo altamente significativo, almeno in teoria: è stato fondato (nel 1970) in forza di una legge del Congresso degli Stati Uniti, il Public Broadcasting Act del 1967. Insomma, si tratta di un network che dovrebbe avere nel Dna l’obiettività, l’onestà intellettuale e il rispetto delle opinioni di tutti, non foss’altro che per l’aggettivo “pubblico” che fa parte della sua stessa denominazione.
E invece, manco per niente. Anzi, tutto il contrario, come vedremo. Interessante, inoltre, la scelta della testata per il J’accuse di Uri Berliner: The Free Press, una nuova realtà editoriale “costruita sugli ideali che un tempo erano il fondamento del giornalismo americano: onestà, tenacia e fiera indipendenza”. Ormai la verità, in America, circola quasi soltanto nella semi-clandestinità di questi samizdat del nostro tempo: American Greatness (del grande Victor Davis Hanson), American Thinker, etc.
L’involuzione di NPR
“È vero che la NPR ha sempre avuto un’inclinazione liberal”, scrive Berliner, “ma durante la maggior parte del mio mandato qui ha prevalso una cultura curiosa e di mentalità aperta. Eravamo nerd, ma non sapientoni, attivisti o fustigatori a senso unico. Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione è cambiata. Oggi, coloro che ascoltano NPR o ne leggono la versione online trovano qualcosa di diverso: la visione del mondo distillata di un segmento molto piccolo della popolazione statunitense”.
Ancora nel 2011, sebbene il pubblico di NPR fosse leggermente inclinato a sinistra, il network aveva una somiglianza con l’America in generale: Il 26 per cento degli ascoltatori si descriveva come conservatore, il 23 per cento come una via di mezzo e il 37 per cento come liberal. Dodici anni dopo il quadro era completamente diverso: solo l’11 per cento si considerava molto o abbastanza conservatore, il 21% per cento una via di mezzo e il 67 per cento degli ascoltatori si dichiarava molto o abbastanza liberal.
In altre parole, spiega Berliner, NPR non stava solo perdendo i conservatori, stava perdendo anche i moderati e i liberali in senso classico, e il suo pubblico non riflette più l’America. La qual cosa non sarebbe un problema per un organo d’informazione apertamente schierato e che serve un pubblico di nicchia, ma per la NPR è qualcosa di devastante sia per il suo giornalismo sia per il suo modello di business.
L’involuzione
Come non è difficile immaginare, la svolta coincide con la vittoria di Donald Trump nel 2016, accolta alla NPR – e come ovunque all’interno dei media mainstream americani – con un misto di incredulità, rabbia e disperazione. Inizialmente ci fu una copertura dura e diretta nei confronti del neo-eletto presidente, racconta Berliner, ma poi le cose hanno preso una piega ben diversa, virando decisamente in direzione di un deliberato tentativo di danneggiare o rovesciare la presidenza Trump.
Ed ecco dunque la testata cavalcare senza esitazioni il Russiagate, salvo poi ignorare e far passare in cavalleria il rapporto Mueller che ha fatto crollare il castello di carte non avendo trovato alcuna prova credibile di collusione. Non solo: cosa fece NPR nell’ottobre 2020, quando il New York Post pubblicò un rapporto esplosivo sul laptop abbandonato da Hunter Biden in un negozio di computer del Delaware e contenente e-mail sui suoi sordidi affari? Chiuse un occhio, del resto c’erano le elezioni a poche settimane di distanza… Anche quella volta, quando un anno e mezzo dopo i fatti vennero confermati, la testata si guardò bene dall’ammettere il proprio passo falso.
Più o meno stesso discorso sulla copertura del Covid. Erano in campo due ipotesi, quella che il virus provenisse da un mercato di animali selvatici a Wuhan, in Cina, e quella sostenuta dal Team Lab Leak, che sosteneva che il virus fosse fuggito da un laboratorio di Wuhan. Ebbene, la teoria della fuga dal laboratorio fu trattata duramente quasi immediatamente e liquidata come razzista, di destra e, ça va sans dire, conspiracy theory. Riuscite a indovinare quale fu la linea della testata quando il Dipartimento dell’Energia, cioè l’agenzia federale con la maggiore esperienza in materia di laboratori e ricerca biologica, ha concluso che una fuga dal laboratorio era la spiegazione più probabile per l’esplosione dell’epidemia?
La piaga del pensiero unico
Un altro momento chiave nella spirale involutiva della testata, spiega Berliner, coincide con l’uccisione di George Floyd, nel maggio 2020. Quello sarebbe stato il momento ideale per affrontare una domanda difficile: l’America dei nostri anni è afflitta dal razzismo sistemico (nelle forze dell’ordine, nell’istruzione, nel settore immobiliare e altrove), come sostengono gli attivisti progressisti? Ebbene, prosegue il Nostro, abbiamo uno strumento molto potente per rispondere a queste domande: il giornalismo.
Ma il messaggio proveniente dall’alto, cioè dall’ex ceo John Lansing, fu molto diverso: l’infestazione dell’America da parte del razzismo sistemico doveva essere considerata un dato di fatto. La missione della NPR era cambiare quel dato di fatto. I leader dei media pubblici, scriveva Lansing in una circolare rivolta ai giornalisti della testata, “devono essere consapevoli di come noi stessi abbiamo beneficiato del privilegio dei bianchi nelle nostre carriere. Dobbiamo comprendere i pregiudizi inconsci che portiamo nel nostro lavoro e nelle nostre interazioni. E dobbiamo impegnarci, anima e corpo, a cambiamenti profondi in noi stessi e nelle nostre istituzioni”.
La razza e l’identità, insomma, sono diventate fondamentali in quasi ogni aspetto del lavoro: “I giornalisti dovevano chiedere a tutti quelli che intervistavamo la loro razza, sesso ed etnia (tra le altre domande) e dovevano inserirli in un sistema di tracciamento centralizzato. Ci sono state impartite sessioni di formazione sui pregiudizi inconsci”.
Ma la piaga del pensiero unico si applica in tutti i settori dell’esistenza. Che si tratti di razzismo, transfobia, “apocalisse climatica”, Israele e Hamas, la storia è sempre la stessa. Ovviamente neppure le scelte linguistiche fanno eccezione. In un documento chiamato “NPR Transgender Coverage Guidance”, diffuso dalla direzione, viene chiesto esplicitamente di evitare il termine “sesso biologico”.
Affidabilità perduta
Il guaio è che, malgrado tutte le affermazioni di principio sulla diversità come missione principale e “stella polare” della NPR, e nonostante tutte le risorse investite per ampliare il pubblico giornalistico tra neri e ispanici, i numeri sono cambiati di pochissimo: “Nel 2023, secondo la nostra ricerca demografica, il 6 per cento del nostro pubblico giornalistico era nero, una percentuale molto inferiore alla popolazione adulta complessiva degli Stati Uniti, che è nera per il 14,4 per cento. E gli ispanici erano solo il 7 per cento, rispetto alla popolazione adulta ispanica complessiva, circa il 19 per cento. Il nostro pubblico giornalistico non riflette l’America. È prevalentemente bianco e progressista, e raggruppato attorno alle città costiere e alle città universitarie.”
Lo scorso febbraio, annota Berliner, il team di analisi del pubblico della NPR annunciava trionfalmente che il network vantava un punteggio di affidabilità più elevato rispetto alla Cnn o al New York Times. Ora, a parte che a quanto pare il team è sprovvisto di sense of humor, è di gran lunga più interessante il fatto che solo tre membri del pubblico su dieci che hanno familiarità con NPR hanno affermato di associare il network alla definizione di “affidabile”. “Solo in un mondo in cui la credibilità dei media è completamente implosa, un punteggio di affidabilità di 3 su 10 sarebbe qualcosa di cui vantarsi”, annota amaramente Berliner.
Recuperare la credibilità e affidabilità perdute, tuttavia, secondo Berliner è ancora possibile: a patto di smettere di dire alla gente come pensare. Questa, aggiunge, potrebbe addirittura essere la nuova “stella polare” di NPR. Che dire? Auguri. Ma temiamo che sarà dura.