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Indagine sul mondo trumpiano che ha deciso di andare oltre Trump

Esteri / O, America!

Ora mi credete? È stato davvero così difficile credere che 80 milioni di persone abbiano votato contro Trump due anni fa? Ieri sera il popolo della Pennsylvania ha letteralmente votato per un vegetale invece che per la “scelta” di Trump. L’onda rossa è iniziata e si è conclusa con DeSantis in Florida. Di quale ulteriore prova avete bisogno? Fino a quando Trump non scenderà dal palco il Gop non vincerà mai più a livello nazionale.

L’autore di queste parole – pennellate fugacemente su Facebook – è Michael Walsh, giornalista, per molti anni critico musicale di Time magazine,  poi columnist per il New York Post e collaboratore di varie altre testate nazionali e internazionali, nonché saggista e autore di opere letterarie tradotte in una ventina di lingue.

Walsh, per mia fortuna, è anche mio amico su Facebook, e uno di quelli di cui vado più fiero, perché se c’è una cosa che mi riempie di soddisfazione nel precario mondo dei social media è la possibilità di sapere in presa diretta cosa pensa qualcuno di cui ho amato uno o più libri.

Nel caso specifico si tratta di “The Devil’s Pleasure Palace”, sottotitolo: “The Cult of Critical Theory and the Subversion of the West” (“Il palazzo del piacere del diavolo: il culto della teoria critica e la sovversione dell’Occidente). Un libro, uscito nel 2015, che denuncia con forza le conseguenze nefaste per l’intero Occidente del complesso di inferiorità culturale dell’élite transnazionale di New York e Washington nei confronti della Scuola di Francoforte e della sua “teoria critica”.

Lo spartiacque del 6 Gennaio

Da notare che Walsh, coltissimo e raffinato intellettuale, è sempre stato un appassionato sostenitore del ruspante – e a volte francamente imbarazzante – tycoon newyorkese. Fino a quello stramaledetto 6 gennaio 2021, il giorno dell’”assalto al Campidoglio”… Da allora l’appoggio incondizionato si è trasformato in aperta avversione.

Personalmente ho compreso, pur senza condividerle (o condividendo solo in parte), le motivazioni del mutamento di opinione. Dobbiamo pensare al giusto culto dei concittadini di Michael Walsh per la “sacralità” dei luoghi e dei simboli della democrazia americana… Noi europei, italiani e francesi in testa, siamo più lascivi e possibilisti in certe materie, se vogliamo anche più cinici.

E difatti Walsh non è certo il solo, in America, che ha cambiato idea dopo il 6 Gennaio. Di sicuro gli eventi di quel giorno hanno acceso un riflettore impietoso su quello che non pochi considerano un bug nella personalità di The Donald.

Midterm cartina di tornasole

Le elezioni di medio termine sono probabilmente la cartina di tornasole di questo mutamento, al netto naturalmente di tutte le considerazioni che si possono e si devono fare sulla complessa situazione di un Paese immenso e variegato come gli Stati Uniti.

Walsh e chi la pensa come lui sono soltanto una delle facce del nuovo mood post-trumpiano del conservatorismo americano. Vi sono cittadini di solidi principi trumpiani che hanno deciso di andare oltre Trump, e questo senza alcuna acredine ed anzi in maniera sinceramente sofferta.

Gli attacchi a DeSantis

Il direttore ed editore di American Thinker, Thomas Lifson, per esempio, il 6 novembre scorso ha sentito la necessità di suggerire di fatto a Trump di farsi da parte in risposta al tentativo di quest’ultimo di sbertucciare Ron DeSantis con uno dei suoi ormai proverbiali giochi di parole e storpiamenti di cognomi (in questo caso Desantimonius, dal termine inglese sanctimonius che sta per ipocrisia e fariseismo).

“Sarò sempre grato”, ha esordito, “per la presidenza di Donald Trump e, se sarà il candidato del Gop alla presidenza nel 2024, lo sosterrò. Ma sono molto turbato dal fatto che ieri, in un raduno in aeroporto in Pennsylvania, abbia attaccato Ron DeSantis… con uno dei suoi soprannomi derisori, che però in questo caso non ha nemmeno senso…”

Per concludere sconsolatamente così: “Vedo l’attacco di Trump come un errore. Non diminuirà il supporto a DeSantis e spingerà alcuni sostenitori di Trump a mettere in discussione il suo giudizio”. Questo dopo aver elencato le ragioni per le quali una candidatura Trump alle prossime elezioni presidenziali non sarebbe altrettanto “forte” di quella del governatore della Florida.

La lettera aperta a Trump

Un altro esempio significativo è una “lettera aperta a Donald Trump”, pubblicata su Real Clear Politics il 9 novembre e a firma di James Greenfield, avvocato d’affari a Villanova, Pennsylvania. “Caro presidente Trump”, esordisce la lettera,

a metà agosto, poco dopo che l’FBI ha effettuato la sua ricerca senza preavviso e senza precedenti a Mar-a-Lago, hai riconosciuto i crescenti livelli di rabbia e polarizzazione dell’America e hai fatto un’offerta straordinaria: “Bisogna abbassare la temperatura nel Paese. Altrimenti accadranno cose terribili. Farò tutto il possibile per aiutare il Paese”. Offerta accettata. Ecco come puoi aiutare al meglio la nazione a fare un passo indietro dal precipizio del disordine civile: dichiarare che non sarai candidato alla presidenza nel 2024.

I meriti di Donald Trump

Anche l’avvocato, come il direttore di American Thinker non risparmia gli elogi e la gratitudine per il 45° presidente degli Stati Uniti:

Sono un conservatore che ha votato per te nel 2016 e nel 2020 e non mi pento di nessuno dei due voti. Se tu fossi rimasto in carica nel 2021, gli Stati Uniti e il mondo sarebbero oggi più sicuri e in condizioni economiche di gran lunga migliori, perché avresti continuato a incoraggiare lo sfruttamento delle nostre vaste risorse energetiche; avresti portato a compimento lo sforzo di chiudere il nostro confine meridionale e arginare sia l’immigrazione illimitata che l’importazione di Fentanil; avresti assicurato che le forze dell’ordine disponessero delle risorse necessarie per controllare la crescente criminalità che mette tutti gli americani in pericolo; e avresti cercato di rallentare la diffusione di materiale razzista e sessualmente inappropriato nelle nostre scuole.

E non solo, Greenfield ricorda come a The Donald debba essere riconosciuto il merito storico di aver persuaso un numero crescente di lavoratori e minoranze che i loro migliori interessi non sono più rappresentati da un Partito democratico preso in ostaggio – al pari di molte corporations statunitensi che hanno virato a sinistra – dall’ideologia “woke” e fermamente intenzionato ad imporre un’agenda intollerante e liberticida.

Un passo indietro

Ma tutte queste battaglie, prosegue la lettera, “possono e devono procedere senza di te affinché i Repubblicani continuino a trarre vantaggio da un clima elettorale favorevole”.

Oltretutto, spiega l’avvocato, Trump non può offrirci otto anni di lavoro: “Poiché sei già stato eletto presidente una volta, il 22° emendamento alla Costituzione ti limita a un mandato in più”. E del resto a novembre 2024 Trump avrà 78 anni… E come se non bastasse, se corresse di nuovo, “gli sciacalli corrotti del Dipartimento di Giustizia, per volere della Casa Bianca di Biden, non ti lasceranno riposare”.

Conclusione del ragionamento:

La tua decisione disinteressata di ritirarti dalla gara del 2024 sarebbe da statista, davvero un momento storico della specie “America First”. Pensa alle endorfine che rilascerà il tuo annuncio. Puoi lasciare la scena politica con tanta buona volontà ed energia positiva? Se riconosci veramente ciò che è meglio per il Paese, puoi farlo e lo farai.

Sulla stessa lunghezza d’onda di Greenfield, in questi giorni si moltiplicano le attestazioni di gratitudine nei confronti di Trump per ciò che ha realizzato durante la sua presidenza. Gente che ha votato per lui alle primarie del 2016, poi alle elezioni del 2016 e a quelle del 2020, pronta a votarlo di nuovo nel 2024 se fosse il candidato, e però arrivati alla conclusione che sarebbe meglio se si facesse da parte

“Sostengo quasi tutto ciò che ha fatto durante il suo incarico”, scrive un commentatore, “sono consapevole che l’alleanza Deep State-media contro di lui è stata una delle macchie più spregevoli e incostituzionali nella storia della nostra nazione”.

Trump “ha cambiato per sempre la politica americana e, per quanto possano provare, né la sinistra né i loro pupazzi Never Trump possono rimettere il dentifricio nel tubo”. Ma ora sembra aver raggiunto “un punto in cui i suoi difetti superano le sue virtù”.

DeSantis erede naturale

Molto spesso questi appelli proseguono con l’indicazione di Ron DeSantis come il naturale erede di Donald Trump: ha l’età giusta, le idee giuste e, soprattutto, le capacità necessarie a portarle avanti. E non è mai stato un Never Trumper, come vengono chiamati quei conservatori che si oppongono a Trump.

Evidentemente, l’ammirazione del mio amico di Facebook per il vero e solo trionfatore delle midterm elections e per la sua “rara combinazione di principi, coraggio e competenza” ha varcato decisamente i confini dello Stato della Florida e sta dilagando in tutta l’America.

E non è certo un caso se Trump continua a dar segni di insofferenza nei suoi confronti quasi ai limiti dell’ossessione. L’ultimo attacco è di giovedì 10 novembre, con una ricostruzione astiosa della carriera politica di DeSantis, che dovrebbe tutto, o quasi, a The Donald.

Un vero peccato, e un’involontaria conferma delle argomentazioni di chi vorrebbe Trump fuori dai giochi, se non come il king maker della situazione. ″Sei licenziato! Questo è il messaggio che i Repubblicani devono consegnare a Donald Trump. Al più presto!ha twittato giovedì stesso il repubblicano di New York Pete King, un sostenitore di lunga data di Trump.

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