School Choice: come scardinare l’egemonia culturale della sinistra

Negli Usa cresce il movimento per alternative alla scuola pubblica iper-politicizzata. Ecco perché è una minaccia allo strapotere sia culturale che politico dei Democratici

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“Se diventasse chiaro che i bambini ottengono i migliori risultati nelle scuole scelte e persino gestite dai propri genitori, il pubblico sarebbe aperto a ripensare l’erogazione di altri servizi pubblici, dal welfare all’assistenza sanitaria”

Bisogna sentirla, Randi Weingarten, presidente dell’American Federation of Teachers (Federazione americana degli insegnanti), forte di 1 milione e 700 mila membri, quando alza la voce contro i genitori e i politici che osano mettere in discussione lo strapotere di insegnanti iper-politicizzati e ovviamente “de sinistra”.

Chi ha politicizzato la scuola

Quelli, insomma, che hanno monopolizzato il sistema educativo americano per decenni, trasformando le aule scolastiche in casse di risonanza delle loro idee, nonché fabbriche del consenso per il Partito Democratico. Ovviamente loro, gli “insegnanti democratici”, non indottrinano, non impongono nulla, non fanno il lavaggio del cervello a nessuno, bensì stimolano e nutrono “il pensiero creativo di cui i nostri studenti hanno bisogno” (parola di Weingarten).

Lascia basiti la faccia di tolla con la quale questa signora – definita recentemente da Mike Pompeo “il volto più visibile della distruzione della scuola americana” e “la persona più pericolosa del mondo” – proclama che “ciò di cui [i nostri studenti, ndr] non hanno bisogno è un’aula politicizzata in cui i Repubblicani perfidi e cattivi mettono i vicini contro i vicini, censurano lezioni di storia, scienze e studi sociali accurate e adeguate all’età…”.

Insomma, i censori non sono gli insegnanti radicalizzati e woke che tutti noi che cerchiamo di seguire quello che accade dall’altra parte dell’oceano abbiamo imparato a conoscere, ma i genitori che si ribellano e i legislatori à la Ron DeSantis e Greg Abbott che scendono in campo per tutelare il diritto delle famiglie a un’educazione degna di questo nome per i bambini e i giovani americani.

Lo School Choice

Ma se Weingarten ha il dente avvelenato a tal punto da cambiare le carte in tavola con tanta disinvoltura la si può anche capire, umanamente parlando, come si evince facilmente dalla lettura di un articolo pubblicato su The Spectator (U.S. Edition) nei giorni scorsi e che è per vari aspetti sorprendente.

L’argomento è quello che gli americani chiamano “school choice” (letteralmente: scelta scolastica, scelta della scuola), un’espressione che indica le opzioni educative che consentono agli studenti e alle famiglie di scegliere alternative alle scuole pubbliche.

Oggetto di accesi dibattiti in vari Stati americani, lo school choice è oramai un vero e proprio movimento sociale e politico, il cui scopo è ovviamente quello di implementare queste “opzioni educative” nei vari distretti scolastici operanti nei singoli Stati.

Una minaccia per i Dem

Ebbene, l’autore dell’articolo, Lewis M. Andrews, non usa molti giri di parole per esternare la sua tesi, che riguarda quella che secondo lui sarà probabilmente la conseguenza politica principale dello school choice: la fine del Partito Democratico.

Il suo ragionamento è il seguente: solo occasionalmente nella storia degli Stati Uniti emerge un problema che sfida non solo i valori fondamentali di un partito politico, ma lo schema di lavoro del partito, cioè il suo modo di funzionare. Ora, se mai una sfida del genere è emersa nella nostra epoca, è proprio quella rappresentata dallo school choice.

E questo perché l’implementazione diffusa di quest’ultimo “ridurrà pesantemente la forza lavoro elettorale del Partito Democratico, comprimerà le sue finanze e screditerà persino la sua filosofia di base”. Semplice.

In particolare, il sussidio per l’istruzione primaria e secondaria in sedi non gestite dai sindacati degli insegnanti “impoverirebbe l’enorme esercito di lavoratori elettorali su cui i Democratici possono fare affidamento durante ogni tornata elettorale”. Non è una questione da poco.

Il caso del New Jersey

Il caso del New Jersey è emblematico e paradigmatico: negli ultimi tre anni, il più grande sindacato degli insegnanti del New Jersey ha investito più di 15 milioni di dollari nel suo sforzo per far rieleggere il governatore democratico Phil Murphy.

Quel numero fa impallidire i contributi forniti da qualsiasi altro gruppo in uno stato a lungo dominato dalle politiche degli interessi particolari. Ma con le elezioni governative tra Murphy e l’uomo d’affari repubblicano Jack Ciattarelli […], la New Jersey Education Association ha tirato fuori un’arma forse più potente del denaro: piedi sul terreno. Migliaia di “Members for Murphy”, cioè truppe cammellate del sindacato per la rielezione di Murphy, hanno organizzato una delle più grandi campagne di sensibilizzazione degli elettori del sindacato degli insegnanti dei tempi recenti. Da metà settembre, le unità NJEA locali e regionali in ogni contea hanno organizzato banche telefoniche, riunioni di massa su Zoom, sessioni di propaganda porta a porta e varie marce di lavoratori, marce delle donne, manifestazioni elettorali varie ed eventi speciali tipo “membri di colore”, etc. Dei circa 203.000 membri della NJEA – insegnanti, custodi, lavoratori della mensa, pensionati e le loro famiglie – sembra che la maggior parte sia scesa in strada […], specialmente nelle città fortemente democratiche del nord del Jersey, dove l’affluenza alle urne è la chiave delle speranze di Murphy.

Concorrenza tra opzioni diverse

Ma ora lo school choice sta cambiando non solo l’istruzione ma anche la società americana. In un ambiente più competitivo come quello che si sta creando con l’implementazione delle nuove opzioni educative, dove la sicurezza del lavoro dipende dalla capacità di un istituto scolastico di soddisfare i bisogni delle famiglie locali, “molti arriverebbero a considerare il tipo di lavoro rigido e improduttivo creato a suo tempo dal partito e dal sindacato come un ostacolo al proprio successo personale”.

Di conseguenza, “sia il declino dell’affiliazione sindacale degli insegnanti sia il valore ridotto dei sindacati medesimi nella considerazione di quelli che restano affiliati, ridurrebbero in modo significativo ciò che i sindacati potrebbero raccogliere dalle quote annuali, facendo diminuire a sua volta la quantità di denaro che potrebbe essere trasferito ai candidati di sinistra”.

Inoltre, cosa ancora più importante, lo school choice romperebbe finalmente uno stallo intellettuale che ha diviso il Paese per decenni:

Sempre più spesso, i Democratici sono diventati la voce della competenza certificata, il partito che crede che i problemi sociali siano risolti al meglio da professionisti pagati con denaro pubblico e che hanno dimostrato di padroneggiare la sapienza accademica di propria pertinenza. I Democratici non rifiutano le virtù tradizionali del bravo governante americano – moralità personale, fede e responsabilità individuale – ma ritengono necessario che esse si conformino alla presunta saggezza della sociologia moderna. I Repubblicani, da parte loro, rispettano anch’essi la competenza tecnologica, ma sono molto più sospettosi dei Democratici circa la manipolabilità della competenza, per guadagno sia personale che di fazione. Di conseguenza, sono inclini a sostenere politiche che si basano principalmente sul giudizio di coloro che ne sarebbero maggiormente colpiti (o, nel caso dei minori, dei loro genitori o tutori). In un momento in cui il modello democratico è sempre più attaccato, sia per le conseguenze inflazionistiche dei suoi costi sempre crescenti sia per la sensazione post-Covid che “gli esperti” abbiano solo peggiorato la pandemia, il successo di un sistema scolastico gestito dai genitori avrebbe conseguenze politiche di vasta portata. Se diventasse chiaro che i bambini ottengono i migliori risultati nelle scuole scelte e persino gestite dai propri genitori, il pubblico sarebbe aperto a ripensare l’erogazione di altri servizi pubblici, dal welfare all’assistenza sanitaria.

Una parentesi interessante: si noti che, mentre i sindacati degli insegnanti hanno combattuto per anni contro le politiche di school choice, un sondaggio EdChoice/Morning Consult del novembre 2022 ha rilevato che gli insegnanti sostengono in modo schiacciante le politiche che consentono agli studenti e alle famiglie di scegliere alternative alle scuole pubbliche.

È anche utile notare che, nonostante gli sforzi dei sindacati, le politiche di “scelta della scuola” hanno portato a un picco di iscrizioni alla scuola privata dopo la pandemia, al che corrisponde un crollo del numero di iscrizioni alla scuola pubblica.

Un nuovo alleato

Tornando alla questione principale: la vera sfida per i Democratici è se possono tenere a bada il movimento school choice abbastanza a lungo da sostituire la forza in declino del sindacato degli insegnanti con un nuovo alleato:

Con un minor numero di lavoratori della scuola sindacalizzati a disposizione delle campagne elettorali […] e una filosofia screditata che eleva le élite accreditate al di sopra della saggezza del genitore medio, l’unica speranza sembra essere il controllo della politica ambientale nella stessa misura in cui una volta si controllava l’educazione elementare e media.

Ovviamente non è un caso che il recente Inflation Reduction Act del presidente Biden preveda che il governo assuma o sovvenzioni 150 mila avvocati, para-legali, responsabili della conformità ed esperti di politica nel prossimo decennio per amministrare la cosiddetta “giustizia ambientale”, la cui pomposa definizione la dice lunga sulla deriva woke del Partito Democratico dell’era Biden:

La giustizia ambientale è il trattamento equo e il coinvolgimento significativo di tutte le persone indipendentemente da razza, colore, origine nazionale o reddito, rispetto allo sviluppo, all’attuazione e all’applicazione di leggi, regolamenti e politiche ambientali.

Ne vedremo delle belle, o delle brutte, a seconda della prospettiva.

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