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Politici, scienziati e media pazzi per il modello cinese: ma ora glissano su Shanghai

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La Cina, nella prima fase dell’epidemia, è sembrata molto più abile dei Paesi occidentali nel contenimento del contagio. Restrizioni durissime, numero di contagi molto limitati, soprattutto a paragone con l’Europa”. Nel suo consueto editoriale su La Stampa, la dottoressa Antonella Viola è stata solo l’ultima in ordine di tempo a magnificare il modello cinese seppure circoscrivendo il periodo meritevole dei suoi elogi. Nei mesi passati, altri suoi colleghi avevano già contrapposto il rigidissimo regime sanitario di Pechino a quello occidentale, lodando il primo e criticando ferocemente il secondo. È sufficiente riportare le parole di Walter Ricciardi, consulente del ministro della salute Speranza, rilasciate lo scorso gennaio durante una trasmissione su La7 per confermare l’assunto: “Sono ammattiti, il Regno Unito non è un Paese da prendere in considerazione… se noi fossimo in grado, come i cinesi, di testare dieci milioni di persone per un caso… in otto giorni saremmo fuori dall’emergenza”. Peccato che sono trascorsi più di due anni e siamo ancora qui a discettare di prolungare obblighi, mantenere restrizioni, non abbandonare il Green Pass che è diventato il nuovo oppio dei popoli.

In effetti, proprio ora che un tribunale della Florida ha dichiarato illegittimo l’obbligo di indossare la mascherina sui mezzi di trasporto, è proprio la Cina a scegliere ancora una volta la via più autoritaria costringendo i cittadini di Shanghai a un crudele confinamento. In nome dell’utopistico azzeramento dei contagi, strategia ampiamente fallita su scala mondiale, il governo cinese ha praticamente privato le persone di qualsiasi dignità, imponendo un lockdown carcerario, separando le famiglie, i genitori dai figli, deportando i contagiati e arrivando a sopprimere perfino gli animali domestici che avevano avuto contatti con soggetti positivi. Quindi, forse sarebbe più corretto parlare di approccio totalitario che di “abilità”, più di metodi deliranti che di tracciamento virtuoso.

D’altronde, sul comportamento tenuto dal governo cinese all’inizio dell’epidemia restano molte ombre. Le ha confermate il professore Giorgio Palù che, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha espresso forti perplessità su quanto avvenuto al laboratorio di Wuhan: “Non sappiamo se lo spill over sia stato naturale oppure si sia trattato di un incidente. Non lo sapremo finché i cinesi non romperanno il silenzio. Non hanno voluto consegnare i registri di laboratorio né dato risposte agli inviati dell’Oms”. Dunque, restano tanti interrogativi e, soprattutto, Palù ha evidenziato che non si è trovato l’ospite animale intermedio che avrebbe fatto da ponte tra pipistrello e uomo. Invece, in occidente, c’è chi ancora sostiene questa tesi surreale in assenza di qualsiasi evidenza scientifica. Ma d’altronde, la favoletta del pipistrello è funzionale alla propaganda cinese che così evita di dare spiegazioni al mondo. Andrebbe pure ricordato che la tesi più logica e scientificamente più sostenibile, quella di un possibile incidente in laboratorio, veniva pesantemente censurata all’inizio dell’epidemia con tanto di blocco sui social per gli utenti impertinenti.

Anzi, il governo italiano, allora presieduto da Giuseppe Conte, se da un lato aveva autorizzato la discussa e discutibile missione russa nel bergamasco, dall’altro si era rivolto proprio al governo di Xi Jinping per ottenere le mascherine di cui il Paese aveva necessità. Tralasciando per doveroso garantismo le inchieste che ne sono seguite e i procedimenti giudiziari ancora in corso, risulta davvero paradossale che un governo, collocato all’interno del patto atlantico e membro dell’Unione europea, abbia virato pericolosamente verso oriente per affrontare un’emergenza sanitaria. Ma, d’altronde, l’Italia, unico tra i Paesi occidentali, aveva già aderito al progetto strategico predisposto pomposamente dal regime comunista, la cosiddetta Nuova Via della Seta, che ha come obiettivo quello di consolidare la leadership commerciale cinese a livello globale.

Ed è altrettanto incredibile che una parte della comunità scientifica abbia preso a esempio non solo il Paese dove si è originata la pandemia che poi si è diffusa nel resto del pianeta, anche per le reticenze iniziali delle autorità cinesi, ma anche una forma di governo lontana anni luce dalle democrazie liberali, almeno come le abbiamo conosciute fino a febbraio 2020. 

Infatti, al di là delle teorie ormai anacronistiche e dei vibranti interventi post pandemici, gli italiani hanno provato sulla propria pelle il confinamento in stile cinese, la certificazione verde che ha introdotto una sorta di credito sociale da Repubblica popolare, per non dimenticare il coprifuoco, i droni per dare la caccia ai runners, gli elicotteri per scovare qualche indomito bagnante e altre misure esageratamente coercitive che rappresentano un pericoloso precedente nella storia delle democrazie moderne. Come l’Italia, in era pandemica, sia potuta diventare una piccola Shanghai con oscillazioni verso Mosca resterà un mistero molto poco gaudioso.

Eppure, proprio ora che queste due super potenze stanno per stringere un patto d’acciaio per sfidare il blocco occidentale apparso sfilacciato e disarticolato, bisognerebbe scandagliare il nostro recente passato per evitare di perseverare in atteggiamenti politicamente ambigui o di dover nascondere l’imbarazzo per certe sbandate in futuro. Tuttavia, adesso quello che è più irritante è l’atteggiamento di indifferenza verso le immagini che, coraggiosamente, arrivano attraverso i canali social dalla grande metropoli cinese dove si registrano anche i primi segnali di insofferenza verso il regime. Da noi, infatti, la grande stampa nicchia, le televisioni glissano, alcuni virologi si sono eclissati e la disinvoltura con cui ci si riposiziona conferma le tendenze trasformistiche del ceto politico. Eppure qualcosa è successo. Qualcosa di aberrante e crudele. Solo che tanti, come il Mr. Jones di Dylan, non se ne sono accorti. O fanno finta di non essersene accorti.