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SPECIALE ITALYGATE/11 – Un “agente russo” che non preoccupava nessuno: tutte le contraddizioni nelle “verità ufficiali” su Mifsud

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Oggi il presidente del Consiglio Conte sarà ascoltato dal Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sugli incontri del 15 agosto e del 27 settembre tra i vertici dei servizi segreti italiani e gli uomini di Trump, l’Attorney General Barr e il procuratore Durham, che stanno indagando sulle origini del Russiagate/Spygate e sul presunto coinvolgimento di alcuni Paesi alleati, tra cui il nostro.

La domanda, a cui cercheremo di dare una risposta domani, è se il Copasir manifesterà la volontà di accendere i riflettori sugli eventi che si sono svolti a Roma a partire dal marzo 2016 non solo alla Link Campus University, sulla figura del professor Joseph Mifsud – che è rimasto nascosto, forse sempre a Roma, mentre era in corso l’inchiesta del procuratore speciale Mueller – e sul caso Occhionero, o se si limiterà a contestare al premier Conte la sua condotta nell’autorizzare gli “inusuali” incontri dei nostri servizi con gli americani.

Nei giorni scorsi abbiamo letto sulla stampa italiana molte ricostruzioni volte a minimizzare il ruolo di Mifsud e comunque ad allontanare la sua figura da ambienti accademici, politici e di intelligence occidentali, in particolare italiani. Si va dal fondatore della Link, l’ex ministro degli interni Vincenzo Scotti, che intervistato da La Stampa suggerisce di “chiedere agli inglesi” di Mifsud, a la Repubblica, che ha dedicato al professore maltese ben due paginoni per dire, in sostanza, che trattasi di un fanfarone, o meglio di un “cazzaro”, passando per Il Foglio, che dopo aver riportato le affermazioni dell’avvocato Roh sul presunto ruolo dei nostri servizi nel far perdere le sue tracce dal novembre 2017, oggi sostiene che “il link di Mifsud è con la Russia”.

Tutto questo mentre da oltreoceano, al contrario, arrivano conferme che le indagini del procuratore Durham si stanno concentrando proprio su questa pista, che porta in Italia, nel Regno Unito e in Australia. In particolare sulla base di “nuovi elementi di prova raccolti durante la sua recente visita a Roma insieme all’AG Barr”, riferiscono fonti a Fox News, la sua indagine è stata ampliata. Il procuratore avrebbe trovato “qualcosa di significativo” e sarebbe pronto a interrogare gli ex direttori della CIA Brennan e della National Intelligence Clapper. Ma in particolare, il fatto che abbia ottenuto due telefoni BlackBerry (con scheda Sim inglese) “dati in uso a Mifsud”, di cui ora l’avvocato dell’ex generale Flynn, Sidney Powell, chiede i dati, vuol dire che Durham sta cercando di stabilire il reale ruolo del misterioso professore maltese.

Chi ha seguito il nostro Speciale dall’inizio sa che la nostra ipotesi è che Mifsud in realtà non fosse un agente o un asset dei russi, ma che si sia prestato a un’operazione volta a fabbricare un elemento di collusione fra la Russia e la Campagna Trump, o almeno a indurre in tentazione quest’ultima. Ipotesi che non si basa solo sui legami, i rapporti lavorativi e le frequentazioni di Mifsud – sebbene in realtà molto più estesi e approfonditi quelli con ambienti occidentali – ma sugli interrogativi rimasti senza risposta, anche dopo l’indagine e il rapporto del procuratore speciale Mueller, e sulle contraddizioni emerse nel comportamento dell’FBI e del DOJ nei suoi confronti.

L’interlocuzione tra Mifsud e George Papadopoulos, l’ex consigliere della Campagna Trump a cui avrebbe riferito del materiale “dirt” su Hillary Clinton (migliaia di sue email) in possesso dei russi, è ritenuta talmente seria e preoccupante dall’FBI da indurla, il 31 luglio 2016, ad aprire l’indagine di controintelligence sulla presunta collusione Trump-Russia. Non solo: nei mesi successivi, la “notizia” che Mifsud avesse riferito a Papadopoulos delle email della Clinton in mano ai russi viene ritenuta dall’FBI talmente credibile da 1) basarci la richiesta di un mandato FISA a intercettare un collaboratore della Campagna Trump, Carter Page, e le successive proroghe della sorveglianza; 2) spedire un agente sotto copertura a Londra, insieme al professor Halper, per verificare cosa sapesse Papadopoulos e cosa intendesse fare di quelle informazioni; 3) torchiare lo stesso Papadopoulos incriminandolo per aver mentito sui suoi incontri con Mifsud e così ostacolato le indagini dell’FBI. Tutto questo, ci chiediamo, in almeno sei mesi di indagini, mentre sarebbero bastati all’FBI pochi giorni per accertare, come ha fatto la Repubblica, che Mifsud è un noto millantatore, un “cazzaro”?

Ritenuto così preoccupante e credibile da contribuire alla decisione inaudita di “spiare” la campagna di un candidato alla presidenza, il caso Mifsud-Papadopoulos non può essere liquidato come ha fatto il procuratore speciale Mueller nel suo rapporto e nella sua audizione al Congresso, senza rispondere alla fondamentale domanda: chi è Mifsud e per conto di chi agiva quando entrò in contatto in modo tutt’altro che casuale con Papadopoulos, appena entrato a far parte della Campagna Trump?

E qui si aprono le contraddizioni. La sua indagine è proseguita per oltre due anni, Mueller ha incriminato molte persone, tra cui lo stesso Papadopoulos, anche solo per aver mentito all’FBI. Eppure, nonostante anche Mifsud avesse mentito all’agenzia, il procuratore non l’ha mai incriminato. Perché? Una domanda, come abbiamo già riportato, posta direttamente a Mueller anche durante la sua audizione al Congresso dal repubblicano Jim Jordan: “Why didn’t you charge Joseph Mifsud for lying to the FBI?” “I can’t get into it”, non posso rispondere su questo, è stata la risposta del procuratore. “I’m struggling to understand why you didn’t indict Joseph Mifsud”, ha incalzato un altro deputato repubblicano, Devin Nunes, ottenendo da Mueller questa replica: “You cannot get into classified or law enforcement information without a rationale for doing it and I have said all I’m going to be able to say with regard to Mr Mifsud”.

Nel suo rapporto Mueller non afferma esplicitamente che “il professore” fosse un agente russo, come invece sostenuto dall’ex direttore dell’FBI James Comey al Washington Post, ma vi allude, scrivendo che Papadopoulos aveva ragione di crederlo e riportando dei suoi contatti con figure vicine al Cremlino e dello spionaggio russo, pur senza specificarne la natura e i movimenti. Nei mesi in cui si incontrava e parlava con Papadopoulos, il professore è riuscito a metterlo in contatto solo con il direttore di un think tank legato al Ministero degli esteri russo, Ivan Timofeev, e con una donna che Papadopoulos sostiene gli fu presentata come nipote di Putin ma che forse non era nemmeno russa. Mueller non cita nemmeno, invece, i rapporti ben più stretti e intensi di Mifsud con ambienti accademici, diplomatici, politici e di intelligence occidentali.

Parliamo di personale militare Nato, ex funzionari di intelligence americani e britannici, diplomatici, ministri e politici occidentali, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Pittella che ebbe a definirlo un “caro amico”. In qualità di direttore della London Academy of Diplomacy, Mifsud ha lavorato con il Foreign Office britannico. È stato tra i dirigenti del London Center for International Law Practice (LCILP), dove ha lavorato Papadopoulos per un breve periodo prima di unirsi alla Campagna Trump. “Non ci sarebbe voluto molto perché Peter Strzok (l’agente FBI che ha aperto l’indagine, ndr) tracciasse un profilo sulla LCILP e i suoi direttori”, ha spiegato l’analista britannico Chris Blackburn al Washington Times. “Era concentrato sull’antiterrorismo. I suoi direttori hanno in precedenza lavorato a stretto contatto con l’FBI e affermano sul loro sito di avere un contratto del Dipartimento di Stato Usa per insegnare intelligence ai capi delle forze dell’ordine e dell’intelligence libica”.

Come noto, Mifsud aveva un ruolo di rilievo anche alla Link Campus University, in cui si tengono, anche qui, corsi di intelligence e conferenze sulla sicurezza con funzionari CIA, FBI, MI6 e dei servizi italiani. Una fotografia dell’ottobre 2012 lo ritrae con ufficiali dell’esercito italiano in occasione di un programma di formazione sulla sicurezza internazionale per forze armate e forze dell’ordine del nostro paese, organizzato da Link Campus e London Academy of Diplomacy. Insieme a lui, Claire Smith, diplomatico di lungo corso, all’epoca membro del Joint Intelligence Committee del Regno Unito, un comitato che sovrintende tutte le agenzie di intelligence di Sua Maestà e che risponde direttamente al primo ministro, nonché membro del Cabinet Office Security Vetting Appeals Panel.

Insomma, appare evidente che se Mifsud lavorava per i russi, un incredibile numero di personalità e istituzioni diplomatiche, politiche e di sicurezza occidentali con le quali è entrato in contatto potrebbero essere state seriamente compromesse, una gigantesca falla nella sicurezza degli Stati Uniti e dei governi alleati. Eppure, come vedremo, questa ipotesi non ha mai destato allarme. La questione è stata sollevata lo scorso maggio, dopo la conclusione del rapporto Mueller, dall’ex presidente della Commissione Intelligence della Camera, il repubblicano Nunes, in una lettera indirizzata, tra gli altri, al segretario di Stato Pompeo e al direttore dell’FBI Wray, in cui chiede ogni informazione sul professore maltese:

“Se Mifsud ha contatti estesi e sospetti tra i funzionari russi come illustrato nella relazione del procuratore speciale, allora una serie incredibilmente ampia di istituzioni e singoli occidentali potrebbe essere stata compromessa da lui, incluso il nostro Dipartimento di Stato. In alternativa, se Mifsud non è in realtà una minaccia di controintelligence, allora ciò solleverebbe dubbi sul ritratto suo e delle sue attività che ne ha fatto il procuratore speciale e domande sulla veridicità delle sue dichiarazioni e affermazioni”.

“C’è una ragione per cui Mueller non riesce proprio, dopo 40 milioni di dollari, a dirci chi è Mifsud e si ferma a un passo dal definirlo un agente russo?”, si è chiesto Nunes in una intervista già riportata su Atlantico nel luglio scorso. “In qualche modo, questo Mifsud, se fosse davvero un agente russo, come ha detto di recente James Comey, mio ​​Dio… avresti l’FBI compromessa, il Dipartimento di Stato compromesso, il Congresso compromesso. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito sul danno che Mifsud avrebbe fatto”.

E invece no, altra contraddizione: Mifsud non è mai stato trattato come tale potenziale minaccia, né dall’FBI né da altri servizi di sicurezza occidentali.

Per quasi tutto il 2017, anche durante i primi mesi dell’inchiesta Mueller dunque, e anche dopo essere stato interrogato dall’FBI, il professore ha continuato a mantenere i suoi contatti con accademici, diplomatici, politici e figure dell’intelligence occidentali, concesso interviste e partecipato a convegni, senza sentirsi in alcun modo braccato o in pericolo. È proprio approfittando della sua partecipazione a una di queste conferenze, a Washington, a sei mesi dall’apertura dell’indagine, che l’FBI decide di interrogarlo sui suoi incontri con Papadopoulos. L’occasione è un evento chiamato “Strategic Dialogue” nel cuore del potere americano, Capitol Hill, tenutosi nel febbraio 2017 e ospitato dalla Global Ties U.S., organizzazione non profit sostenuta dal Dipartimento di Stato. In quei giorni di febbraio l’FBI interrogò Mifsud, che in un’intervista a la Repubblica pubblicata il primo novembre 2017, prima di far perdere le sue tracce, ricordava così: “Comunque ne ho già parlato con l’FBI, quando il Dipartimento di Stato mi invitò a un congresso a Capitol Hill”.

Dunque, il sospettato agente russo che avrebbe complottato con la Campagna Trump per condizionare le elezioni viene invitato a intervenire ad una conferenza a Capitol Hill, interrogato dall’FBI sui suoi incontri con Papadopoulos e lasciato ripartire. Si saranno accorti di lì a poco a Washington della loro ingenuità? No, perché poche settimane dopo, il 23 maggio 2017, a dieci mesi ormai dall’apertura dell’indagine di controintelligence sulla Campagna Trump proprio sulla base di quegli incontri, ritroviamo Mifsud ad una conferenza sul terrorismo ospitata dal governo saudita al King Faisal Center di Riad, come riportato da Chris Blackburn. Nel suo stesso panel, l’esperto Michael Hurley, che ha guidato gli agenti CIA in Afghanistan nel 2001 ed è stato consulente della Commissione sull’11 Settembre, e Katherine Bauer del Dipartimento del Tesoro Usa. Ma alla conferenza sono intervenuti anche l’ex segretario alla difesa Usa Ashton Carter e Richard Barrett, ex comandante dell’antiterrorismo internazionale dell’MI6 britannico.

Siamo a quasi un anno dall’apertura dell’indagine sul Russiagate, l’FBI ha interrogato Papadopoulos a gennaio e il professore a febbraio, eppure Mifsud si intrattiene ancora liberamente con alti funzionari, pezzi grossi dei governi occidentali. Il 19 ottobre, pochi giorni prima di far perdere le proprie tracce, viene fotografato addirittura con l’allora ministro degli esteri britannico Boris Johnson ad un evento del Partito conservatore.

Insomma, appena avviata la sorveglianza sulla Campagna Trump, e ancora nel pieno dell’isteria Russiagate, l’FBI e le autorità Usa non si comportano affatto come se Mifsud fosse un agente russo, una potenziale minaccia che potrebbe aver compromesso un incredibile numero di personalità politiche e di sicurezza occidentali. Eppure, ancora nella primavera di quest’anno, nel suo rapporto Mueller suggerisce che lo sia, guardandosi bene però dall’affermarlo esplicitamente.

Nessuno lo ha mai cercato dopo la sua scomparsa nel novembre 2017. Nemmeno una procura italiana ha aperto un fascicolo a quanto risulta, considerando che su di lui pende una condanna in contumacia della Corte dei Conti di Palermo per una somma di 49 mila euro ottenuti come ingiustificato compenso dal Consorzio universitario della Provincia di Agrigento, di cui Mifsud è stato presidente per alcuni anni. “Residenza sconosciuta”, hanno scritto i giudici.

La figura di Mifsud è quindi centrale nello Spygate, perché se fosse un asset di intelligence occidentali, allora questo proverebbe che Papadopoulos è stato adescato e incastrato già nella primavera del 2016, molto prima dell’apertura dell’inchiesta formale Crossfire Hurricane, e accrescerebbe i sospetti che l’amministrazione Obama abbia aperto l’indagine sulla Campagna Trump sulla base di prove fabbricate. E anche se fosse semplicemente un millantatore, l’FBI non farebbe una gran figura ad aver aperto sul nulla un’indagine di controintelligence sulla campagna di un candidato alla presidenza, da cui si sarebbe alimentato per anni il Russiagate.

Qualche risposta potrebbe trovarsi a Roma, visto che è alla Link Campus che si sono incontrati per la prima volta Mifsud e Papadopoulos, ed è sempre a Roma che il professore è stato visto per l’ultima volta prima di scomparire. Sempre che il Copasir, le autorità politiche e giudiziarie e la stampa italiane vogliano vederci chiaro…

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