Ancora coperta l’identità degli alti funzionari italiani che approvarono e facilitarono la rendition. Alcuni coinvolti anche nello Spygate ai danni di Trump. Spunta una sorta di divisione “affari sporchi” dell’intelligence italiana. Mifsud utilizzato da servizi occidentali
Torna a parlare Sabrina De Sousa, l’unica tra i 25 funzionari dell’intelligence Usa implicati nel caso Abu Omar ad essere stata condannata, ma di recente “evasa” e tornata negli Stati Uniti quando le mancavano pochi mesi di pena da scontare – ai servizi sociali – in Italia. Atlantico l’aveva intervistata pochi giorni dopo la sua “fuga”.
All’Adnkronos, intervistata da Marco Liconti, ha fornito ulteriori particolari sul suo caso e sul coinvolgimento dei servizi italiani nello Spygate.
L’identità di coloro, negli Stati Uniti e in Italia, che autorizzarono il rapimento di Abu Omar nel 2003 è rimasta coperta da “un uso esagerato del segreto di stato”. Identità che però assumono “ancora maggiore importanza in questo momento in cui il ruolo centrale dell’Italia nello Spygate (…) sembra prendere sempre più consistenza”.
La De Sousa, che si è sempre proclamata estranea al rapimento dell’imam milanese, si ritiene vittima sacrificale di un “accordo” tra Roma e Washington, confermatole da un importante membro del Congresso Usa (che potrebbe rispondere al nome di Devin Nunes). Un vero e proprio “quid pro quo” sulla sua persona. All’Italia serviva dimostrare “che almeno uno degli agenti coinvolti nella vicenda Abu Omar era stato punito”. In cambio, “l’Italia non avrebbe rinnovato il mandato di arresto per Jeffrey Castelli (ex capo stazione della Cia a Roma ai tempi della vicenda Abu Omar, ndr) che aveva minacciato di rivelare i nomi di coloro, ai più alti livelli del governo italiano, che avevano autorizzato la rendition“.
Infatti, rivela la De Sousa all’Adnkronos, ad approvare e facilitare la rendition furono “alti livelli dell’amministrazione italiana” (il che scagionerebbe i funzionari del Sismi condannati, Nicolò Pollari e Marco Mancini), “almeno un attuale alto funzionario italiano, all’epoca facilitò la rendition“. Esisteva anche un documento, non coperto da segreto ma mai rivelato, che “probabilmente conteneva i nomi degli alti funzionari italiani che non solo approvarono il rapimento, ma lo facilitarono fermando l’indagine della Digos”.
Ma c’è di più: “Quello che al presidente Trump non è stato detto è che alcuni degli stessi funzionari italiani dell’epoca sono coinvolti nello Spygate”.
Spiega la De Sousa all’Adnkronos: “Quando la CIA o l’FBI hanno bisogno dell’assistenza di un governo straniero in un’operazione segreta, e questa era più importante di Abu Omar o del falso dossier sul Niger, cercano di coinvolgere gli stessi alti funzionari che fornirono aiuto in passato e che sono ritenuti controparti sicure e affidabili”. Questi funzionari, continua la De Sousa, “agiscono ad un livello che è al di sotto del primo ministro e al di sopra dell’intelligence. Questo gruppo consente così ai primi ministri di poter negare un coinvolgimento diretto. Sono loro quelli che muovono le cose in Italia”. Insomma, una sorta di divisione affari sporchi dell’intelligence italiana che collabora con quella Usa. Sarebbe un problema però se venisse fuori che ha collaborato anche contro un candidato e poi presidente americano.
“Le relazioni tra intelligence straniere – aveva spiegato nell’intervista ad Atlantico dello scorso ottobre – sono profonde e si rafforzano nel tempo. CIA ed FBI si rivolgeranno sempre alle stesse persone italiane per assistenza nelle operazioni delicate. Queste costituiscono il potere dietro chiunque occupi il trono e nessun primo ministro italiano li mollerà”.
Come ha raccontato anche ad Atlantico, ha chiesto da oltre un anno al premier Giuseppe Conte di rimuovere il segreto di stato sugli atti che riguardano il suo caso davanti alla Corte europea dei Diritti umani, ma ancora non ha ricevuto risposta. Perché rimuoverlo, spiega oggi all’Adnkronos, “rivelerebbe le identità delle persone che la CIA e l’Italia hanno voluto mantenere coperte. Quelli che dovrebbero essere processati per una rendition ingiustificata”.
Dunque, sia da parte Usa (De Sousa) che da parte italiana (Pollari e Mancini), sarebbero stati usati capri espiatori per coprire i veri responsabili della rendition, perché asset troppo importanti per la collaborazione tra le intelligence dei due Paesi nelle operazioni più delicate. Tanto da essere coinvolti anche nello Spygate ai danni di Trump.
A sacrificare la De Sousa fu l’ex direttore della Cia John Brennan, sospettato di essere uno dei grandi burattinai dello Spygate. Escluse il suo nome dalla lista di agenti che dovevano essere graziati dal presidente Mattarella e trattò con le autorità portoghesi la sua consegna all’Italia. Non voleva correre rischi, dal momento che il presidente Trump aveva promesso di “riportare a casa” tutti gli americani “ingiustamente” condannati all’estero. E anche dopo la sua elezione, nel caso della De Sousa fu fatta un’eccezione per mantenere in vita “l’accordo”, lo “scambio”.
Ma qualcosa dev’essere cambiato, se di recente la De Sousa è “evasa” e tornata negli Usa. Davvero per paura, come sostiene l’ex agente, di una nuova “rappresaglia” contro di lei dopo la recente visita a Roma dell’attuale capo della CIA Gina Haspel, quella che più è a conoscenza del caso Abu Omar?
O forse, ci chiediamo, perché al presidente Trump è stato detto ciò che nei primi due anni di mandato gli era stato tenuto nascosto, e cioè che alcuni degli stessi funzionari italiani del caso Abu Omar sono coinvolti nello Spygate, come rivelato dalla De Sousa all’Adnkronos?
Se così fosse, il messaggio che l’amministrazione Trump ha voluto mandare all’Italia con il ritorno della De Sousa in patria sarebbe chiaro: non è fuggita, è stata “riportata a casa”, come conclude Liconti, l’accordo è sciolto e sappiamo chi sono i vostri coinvolti nello Spygate. Alti funzionari, al di sotto del livello politico ma al di sopra dell’intelligence. L’identikit sembra prendere forma.
“No comment”, così rispose Sabrina De Sousa a ottobre alla nostra domanda per sapere se qualcuno a Washington le avesse suggerito di tornare negli Stati Uniti.
Riguardo il professore della Link Campus Joseph Mifsud, figura centrale del Russiagate che chiama in causa il nostro Paese, secondo la De Sousa sembra “qualcuno al quale sono state date delle istruzioni per conto di un servizio di intelligence occidentale. L’utente finale potrebbe essere la CIA o l’FBI”. La sua “supposizione” è che “l’Italia che lo sta nascondendo, per proteggere qualcuno”, “forse conosceva le identità degli italiani che lavoravano a stretto contatto con i vertici della CIA e dell’FBI”. Se Obama era a conoscenza di tutto, come Trump sembra credere, osserva la De Sousa, “allora anche i governi italiani dell’epoca (Renzi e Gentiloni, ndr) ne erano a conoscenza”.