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Thatcher Sovranista/4 – L’ultima battaglia: contro una moneta unica e una Banca centrale europea e indipendente

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Boudicca, regina della tribù britannica degli Iceni, è la donna ritratta nell’illustrazione. Della sua rivolta contro Roma narrarono Tacito e Cassio Dione. Benché ignota ai più nel nostro Paese, nel Regno Unito è un’eroina nazionale, e del suo nome si abusa in ogni circostanza connessa a ribellioni, sovente dimenticando che la sua fu brutalmente soffocata dai Romani, lei stessa costretta ad uccidersi pur di non finire nelle loro mani. Nel nostro caso, è del tutto legittimo rievocarne l’immagine: in questo quarto episodio la rabbiosa rivolta di Margaret Thatcher si concluderà infatti con la sua sconfitta, le dimissioni, la designazione di un erede di compromesso.

Mentre si materializzava a Roma l’agguato europeista pianificato contro di lei, in un’intervista alla televisione il recentemente degradato ex ministro degli esteri Geoffrey Howe, traditore di Madrid e diverse altre località europee, dava ad intendere che nel governo l’opposizione alla moneta unica non fosse poi così categorica quanto quella del suo leader. Dichiarazione, scriverà la Thatcher nella propria autobiografia, che denota o infedeltà politica o notevole stupidità. Tornata a riferire alla Camera dei Comuni, immediatamente l’opposizione laburista tenterà di insinuarsi nelle divisioni interne al governo. Singolare la replica della Thatcher che, estenuata dalla battaglia di Roma e dalle polemiche seguite in patria, persi i freni inibitori, al leader laburista Kinnock che l’aveva sfidata a dissociarsi dagli insulti dell’ala euroscettica ad Howe, replica che quegli “è un uomo troppo grande per farsi difendere da un piccolo uomo come lui” (minuto 1:50 del video 2). È solo l’esordio di un discorso straordinario, destinato per decenni ad influenzare la cultura euroscettica di uomini tanto diversi quali Boris Johnson e Yanis Varoufakis. Novanta minuti di radicale condanna della moneta unica ventura, di lancinante denuncia delle mire imperialistiche di Francia e Germania, nonché di alcune sporche  — ed oggi riconoscibili ai più —  pratiche del sistema economico tedesco.

Giunge al culmine quando il “piccolo uomo”, non sazio del primo colpo, torna a blaterare che lei “con i suoi capricci non arresterà il processo di cambiamento ma (…) abbandonerà il Paese in una Serie B europea”. La celebre, sprezzante, replica (4:40):

“Innanzitutto, è nostra intenzione conservare i poteri e l’influenza di questa Camera, e non spogliarla di molti dei suoi poteri. Mi piacerebbe sapere quali siano le intenzioni del leader dell’opposizione, visto quel che dice. Avrebbe accettato di espandere i poteri della Comunità in ulteriori settori di integrazione economica, senza che essi siano stati anche solo definiti?(…) Parrebbe di sì, da quel che dice. Tanto per apparire concordi, tanto per rimanere una voce nel coro. (…)

Avrebbe accettato di delegare poteri di implementazione alla Commissione, o una politica di sicurezza comune, senza che essi siano stati in alcun modo circoscritti o limitati? Ovvio che sì! Ignora già la definizione di alcune delle cose di cui parla, figuriamoci se può vigilare sulla definizione di ulteriori. (…)

[Il britannico] Leon Brittan è un fedele membro della Commissione. La Commissione vuole aumentare i propri poteri; è un organo non eletto, ed io non voglio vederli aumentare, quindi è ovvio che tra me e lui vi sia disaccordo.

Il presidente della Commissione Delors ha dichiarato in conferenza stampa l’altro giorno che desidera che il Parlamento europeo diventi l’organo democratico della Comunità, la Commissione l’esecutivo, e il Consiglio dei ministri il senato: No! No! No!

E mentre al colpevole imbarazzato silenzio europeista segue rapido in aula il frastuono delle acclamazioni dell’ala euroscettica, insiste:

“Aaaaah… forse i laburisti intendono sacrificare tutto questo, senza farsi troppe domande. Forse darebbero il proprio consenso ad una moneta unica, alla totale abolizione della sterlina. Forse, non avendo la minima competenza in politica monetaria, sarebbero solo sollevati di poter cedere ogni responsabilità ad una Banca Centrale, come fecero col Fondo Monetario Internazionale. (…) E che senso ha tentare di farsi eleggere in Parlamento per poi cedere la sterlina e i poteri di quest’aula all’Europa?”

L’opposizione della Thatcher è assoluta, ed originata da molteplici questioni.

Democrazia e sovranità. La moneta nazionale è “la più grande espressione di sovranità” (9:40), pertanto “questo governo crede nella sterlina” (12:10). Denuncia ancora Delors, secondo il cui piano chi determina la politica fiscale non sarebbe “responsabile del proprio operato di fronte ad alcuno. Davvero ironico che, in un momento storico nel quale l’Europa dell’Est brama maggiore democrazia, la Commissione brami estinguere la democrazia e consegnare poteri sempre maggiori nelle mani proprie, o di organi non eletti da nessuno.” (14:00)

In replica all’euroscettico laburista Tony Benn dichiara che “quando il piano Delors per l’Unione Economica e Monetaria fu avanzato, immediatamente l’allora Cancelliere Lawson osservò che non si trattasse di politica monetaria, ma di una subdola porta verso un’Europa federale, che avrebbe rimosso molti poteri democratici da organi democraticamente eletti, per consegnarli ad organi non eletti. Credo fermamente che ciò sia vero, ed è per questo che non intendo avere nulla a che vedere con la loro definizione di Unione Economica e Monetaria.” (27:22) È ancora il profondo amore per la democrazia a determinare la sua contrarietà all’indipendenza della Banca d’Inghilterra, tema su cui torneremo tra poco (10:00).

Ad un episodio futuro riserviamo invece una più attenta analisi del pericolo tedesco, di cui Margaret Thatcher è estremamente consapevole. Ironia della sorte, è Winston Churchill, figlio dell’unico figlio maschio dell’eroe germanofobo, a sollecitare con un’innocente osservazione una sua tagliente replica sul tema.

“Ritiene che, quando sarà il momento, la Germania sarà disposta a riporre la propria politica monetaria nelle mani di una Banca centrale europea in cui avrebbe una voce su dodici?

—Credo sia sbagliato pensare che i dodici abbiano voto o influenza eguale in questa materia. Credo che alcuni in Germania —pochi, ma esistono— siano in favore di questo piano perché sanno che la voce dominante, la voce predominante, su ogni banca centrale, sarà la voce tedesca. E se non preservassimo le nostre identità nazionali in Europa, il popolo dominante in Europa sarebbe quello tedesco. L’unico modo per bilanciare le diverse visioni in Europa, come noi abbiamo tradizionalmente fatto nel corso della storia, è preservare la nostra identità nazionale.” (28:30)

Poco prima, all’ingenuo quanto immancabile invito dell’opposizione laburista a seguire l’esempio della Germania, tra gli altri, nel “mostrare generosità fornendo assistenza economica all’Unione Sovietica”, la replica era stata un portento di franchezza, conoscenza storica, e accidentali doti divinatorie.

“Le banche tedesche, Deutsche Bank, hanno fornito un considerevole prestito, una cifra di circa 6 miliardi di marchi all’Unione Sovietica. Sono svaniti nel giro di settimane. Il prestito era garantito dal governo della Repubblica Federale, e il denaro è svanito nel giro di settimane, ed è stato usato per ripagare debiti che l’Unione Sovietica aveva nei confronti di produttori tedeschi. Quel denaro, se mi è permesso dirlo, non ha fatto assolutamente nulla per alleviare le difficoltà economiche nell’Unione Sovietica”. (14:27)

Né le sono oscure le conseguenze economiche dell’unione monetaria. Un Conservatore la prega:

“… potrebbe spiegare ai suoi colleghi europei quel che ogni studente di economia al primo anno sa bene, cioè che con l’imposizione di una moneta unica sarebbe rimosso il più efficace strumento di adeguamento di costi e prezzi? Può spiegar loro che questo determinerebbe massiccia disoccupazione, probabilmente duratura, e gravi squilibri finanziari?

—Sono del tutto d’accordo, avverrebbe proprio questo. Sarebbero necessari ingenti trasferimenti fiscali da un paese all’altro (…) le differenze tra paesi determinerebbero disoccupazione e vaste migrazioni. Molti di quelli che parlano di moneta unica non hanno mai considerato tutte le implicazioni.” (21:43)

Concludo la sommaria rassegna segnalando lo spregevole intervento al minuto (24:00), degno dei detrattori italiani della “liretta”.

Dalla sua privilegiata posizione sulla prima fila dei banchi del governo, Geoffrey Howe aveva assistito alla veemenza della reazione di Margaret Thatcher alla proposta eurosognatrice di Delors. Era evidente che non vi fosse più alcun margine per la mediazione, che fosse impossibile ricondurla nell’alveo del piano Delors: era giunto il tempo di liberarsene. Si dimise, intenzionato a fare del proprio discorso di addio il segnale per la sommossa anti-thatcheriana. Con esso la accusò di rievocare dell’Europa “un’immagine da incubo, quella di un continente in cui pullulano malintenzionati intenti a complottare per ‘estinguere la democrazia’, ‘dissolvere le nostre identità nazionali’, e condurci attraverso ‘la subdola porta per un’Europa federale’”. L’occasione fu colta al volo da Heseltine, uomo della sinistra del partito, ancora oggi eurorintronato in servizio attivo. Margaret Thatcher, da Parigi dove si era recata per la fine ufficiale della Guerra Fredda, prevalse tra i parlamentari conservatori per 204 voti contro 152, mancando tuttavia di quattro voti la soglia per vincere al primo turno. L’ostilità di una fetta tanto ampia del partito sarà usata come pretesto dai ministri del suo governo per negarle il loro supporto nel secondo turno. Preso atto del loro tradimento, la Signora si dimise. Al Parlamento europeo, la sua decisione fu accolta stappando bottiglie di champagne. (minuto 7:12 del video 3). Tra i pochissimi a nutrire sentimenti opposti, il biondissimo ventiseienne corrispondente euroscettico del Telegraph Boris Johnson.

Gli italiani, che con l’agguato di Roma I avevano innescato la catena di eventi culminata nelle dimissioni del primo ministro britannico, trionfanti diedero inizio alla pianificazione di un Roma II ora privo del principale ostacolo al Sogno Europeo. A Londra, una Thatcher dimissionaria designava il Cancelliere John Major come suo erede. L’uomo aveva pochi pregi: un certo savoir-faire con le donne mature, sviluppato forse quando 19enne era andato a vivere con una donna di 33, ed un’umile estrazione sociale che la “figlia del droghiere”, a suo modo piuttosto classista, aveva sempre apprezzato nei suoi sottoposti. Soprattutto, era un giovane inefficace e privo di particolari convinzioni, incluso l’europeismo, il ché avrebbe consentito alla Thatcher di mantenere una notevole influenza su larghi settori del partito. Forte di un simile endorsement, Major prevarrà su Heseltine.

Ho scelto di fornire di queste vicende solo una rapidissima sintesi, dal momento che in questa sede l’argomento a noi caro è l’euroscetticismo, non la politica britannica in sé.

Molto più interessante è invece l’appassionata difesa dei propri undici anni di governo in occasione dell’ultimo “Question Time”, tenuto da dimissionaria il 22 novembre 1990: tre settimane dopo Roma, sei dopo l’entrata nello SME (minuto 7:26).

Kinnock è nuovamente ridicolizzato per la superficialità con cui affronta il tema fondamentale dell’unione monetaria. “La moneta unica è una domanda ipotetica”, prova vanamente a difendersi, generando invece un’ulteriore invettiva della Thatcher.

“Sciocchezza assoluta. è vergognoso. Non sarà una domanda ipotetica, e qualcuno deve andare in Europa a ribattere sapendo di che parla. (…) Per loro [i laburisti] è tutto compromesso, ‘nascondiamolo sotto al tappeto’, ‘rimandiamolo a un altro giorno’, ‘potrebbe risolversi da solo’, nella speranza che il popolo britannico non si accorgerà di quel che gli sta accadendo, e di come i poteri [del Parlamento] sfuggiranno gradualmente.”

“Continuerà la propria battaglia personale contro la moneta unica ed una banca centrale indipendente?” “No, ne sarà la governatrice”, scherza il laburista Skinner. In un clima di ilarità generale, la Thatcher replica con il commento “più pertinente che fosse stato mai avanzato sino ad allora”, secondo l’eclettico marxista Varoufakis, che si è dichiarato suo parziale ammiratore.

“Che splendida idea! Ma se lo fossi, di certo non esisterebbe una banca centrale indipendente, men che mai dai parlamenti nazionali. Perché l’obiettivo di un’Europa del genere con una banca centrale è abolire la democrazia, avere un’unica moneta ed un’unica politica monetaria, sottrarre potere politico dalle nostre mani.”

Nel 2001, benché in declino nel corpo e nella mente, Margaret Thatcher ha ancora voglia di combattere la battaglia di sempre. “Il Signor Blair dice che intende essere protagonista in Europa. Ma il prezzo da pagare è che si aspettano conduca la Gran Bretagna per il naso nella moneta unica —e lui è disposto a farlo. Io, non sarei mai disposta a sacrificare la nostra moneta!”, dichiara commossa tra prolungati applausi.

“Il tema più importante di questa elezione, il tema più importante per il nostro Paese, è se resteremo una libera nazione indipendente, o se il nostro destino è essere dissolti in un’Europa federale. Non esistono vie di mezzo, terze vie o seconde opportunità. Amici miei, troppi poteri sono già stati trasferiti dal nostro Parlamento alla burocrazia di Bruxelles. Dobbiamo riprenderceli e, innanzitutto, conservare la sterlina. (…)

Un Paese che perda il potere di battere la propria moneta è un paese che ha rinunciato al potere di governare se stesso. Un Paese simile non sarebbe più libero né davvero democratico, perché il suo popolo non potrebbe più determinare il proprio futuro nelle elezioni nazionali. Amici miei, rinunciare alla sterlina, rinunciare al nostro potere di autogoverno, significherebbe tradire tutto ciò che le precedenti generazioni nel corso dei secoli hanno dato la vita per difendere.” (minuto 15:35)

E con la sottintesa amarezza che questo brano instilla per la nostra pietosa condizione, termina per il momento questa serie. Per il momento: vedremo in futuro Mercoledì Bianco umiliare le forze europeiste e vendicare l’analisi economica degli scettici; ascolteremo gli inutili avvertimenti di Margaret Thatcher all’America; approfondiremo la questione tedesca. A presto, dunque.