MediaTwitter Files: la censura social

Chi e perché ha paura di Musk: Twitter nel mirino di Bruxelles e Washington

Il commissario Breton minaccia di spegnerlo nell’Ue se non continuerà a censurare contenuti e utenti. La testimonianza di un agente: l’FBI segnala ai social gli account da bannare

Media / Twitter Files: la censura social

Le ultime rivelazioni sulla “collusione” FBI-Big Tech per censurare gli account social

Twitter si conferma il principale campo di battaglia della guerra per il free speech. Per quanto possa sembrare assurdo, siamo purtroppo arrivati al punto in cui dalla policy di moderazione dei contenuti di una piattaforma social può dipendere il volto dell’Occidente nei prossimi decenni.

La posta in gioco

La posta in gioco è nientemeno che la riaffermazione del free speech o, al contrario, il tradimento di uno dei principi fondanti dell’Occidente moderno e la sua deriva cinese.

L’acquisizione del social media da parte di Elon Musk ha terremotato le certezze di quanti, dalla fine del 2016, dall’elezione di Donald Trump, credevano di aver conquistato il controllo delle principali piattaforme social, dove ormai volenti o nolenti si svolge una fetta rilevante del dibattito pubblico, e tramite esse di poter mantenere il controllo della narrazione sulle questioni da cui più dipende la credibilità dei governi agli occhi dei cittadini.

Vi ricordate come rispondevano alle obiezioni alla chiusura degli account e alla censura dei contenuti con la scusa della disinformazione, delle fake news? “Sono società private, possono fare come vogliono”. Ebbene, ora che Musk ha acquisito Twitter e cambiato la policy di moderazione, non la pensano più tanto così.

La senatrice Elizabeth Warren, a precisa domanda, ora risponde che “un essere umano non dovrebbe essere in grado di entrare in una stanza buia da solo e decidere ‘Oh, quella persona viene ascoltata, quella persona no.’ Non è così che dovrebbe funzionare”. Che è esattamente ciò che Musk ha contestato alla precedente gestione di Twitter.

Obiettivo: fermare Musk

Washington e Bruxelles si stanno muovendo come un sol uomo per fermare il progetto di Musk di ripristinare la libertà d’espressione su Twitter.

In uno stupefacente commento, qualche settimana da, la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre l’aveva già detto espressamente: chi è contro il pensiero di maggioranza sarà considerato dall’amministrazione un estremista (testuale: ”When you are not with what majority of Americans are, then you know, that is extreme. That is an extreme way of thinking”).

Detto fatto, il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen ha annunciato una revisione dell’acquisizione del social da parte di Musk, facendo seguito alla minaccia del presidente Biden subito dopo le midterm (“la sua cooperazione con Paesi stranieri va osservata, ci sono molti modi”).

Yellen ha menzionato il Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, che esamina le transazioni che coinvolgono ”investimenti esteri… per vedere se creano un rischio per la sicurezza nazionale”. Aggiungendo: “Non commentiamo i lavori in corso. Ma se ci sono rischi del genere, sarebbe opportuno che il Comitato ci desse un’occhiata”.

La minaccia di Bruxelles

Ma ancor più grave, nelle stesse ore, Bruxelles ha minacciato di spegnere Twitter nei Paesi Ue – già, proprio come avviene in Cina – a meno che il nuovo proprietario non aderisca alle sue rigide regole sulla moderazione dei contenuti.

La minaccia, come riportato dal Financial Times, è arrivata da Thierry Breton, il commissario europeo incaricato dell’attuazione del Digital Service Act, che mercoledì, durante una video call, ha intimato a Musk di aderire ad un elenco di regole, tra cui l’abbando di un approccio “arbitrario” al ripristino degli utenti bannati e la lotta “aggressiva” alla cosiddetta disinformazione.

Musk è stato avvertito che, a meno che non si attenga a tali regole, Twitter rischia di violare il nuovo Digital Services Act dell’Ue, la legge che stabilisce lo standard globale per il modo in cui Big Tech deve controllare i contenuti su Internet. Breton ha ribadito che secondo la legge, in caso di violazione, Twitter potrebbe subire un divieto a livello europeo o multe fino al 6 per cento del fatturato globale.

Il proprietario di Twitter, sempre secondo il FT, avrebbe affermato ripetutamente di ritenere il DSA “molto ragionevole”, “aggiungendo di aver letto la legislazione e di aver pensato che dovrebbe essere applicata ovunque nel mondo”.

Da parte dell’Ue, ha commentato l’ex segretario di Stato Usa Mike Pompeo, “prendere in considerazione la possibilità di vietare Twitter mentre consente a TikTok di essere dentro le porte dell’Europa, fondamentalmente fraintende il rischio per le persone che è suo dovere proteggere. Lo stato di sorveglianza del PCC, non una società americana privata, rappresenta un chiaro pericolo”.

La “disinformazione” sul Covid

Com’è noto, Musk è determinato a ripristinare la libertà d’espressione sul social e ha già provveduto a ripristinare migliaia di account bannati, tra cui quello dell’ex presidente Donald Trump, che tuttavia non ha ancora ripreso a twittare. La nuova filosofia di Twitter si basa sulla “de-amplificazione” dei contenuti che violano le regole: “freedom of speech, but not freedom of reach”.

Twitter inoltre non sta più applicando la policy per contrastare “l’informazione ingannevole sul Covid-19”, quella politica in base alla quale venivano etichettati o censurati i tweet non allineati alla narrazione ufficiale sul Covid e i vaccini.

Ciò che si è verificato con l’adozione di questa politica è esemplare di come i rischi del free speech siano di gran lunga preferibili ai rischi della censura. Nel corso del biennio pandemico, e fino all’acquisizione di Musk, infatti, dai dubbi sull’origine naturale del virus fino al dibattito sull’efficacia dei vaccini anti-Covid, tesi liquidate come teorie della cospirazione o “disinformazione”, e quindi censurate, si sono poi rivelate più che fondate.

E addirittura, sono emerse di recente prove sempre più evidenti di una regolare collaborazione tra Big Tech a agenzie del governo federale Usa, come FBI e DHS, per censurare notizie e opinioni giudicate dannose per le politiche governative sul Covid, classificandole come “disinformazione”.

Twitter ha interferito nelle elezioni 2020

Non solo Covid. In un tweet pubblicato mercoledì, Musk ha riconosciuto che Twitter ha “interferito nelle elezioni”.

Commentando un articolo di Reuters in cui l’ex capo del team “fiducia e sicurezza” del social affermava che Twitter con Musk “non è più sicuro”, l’utente @EvaFoxU ha postato: “Twitter si è dimostrato non sicuro negli ultimi 10 anni e ha perso la fiducia degli utenti. Il passato team ‘fiducia e sicurezza’ è una vergogna, quindi non ha alcun diritto di giudicare ciò che viene fatto ora”.

A questo tweet Musk ha replicato: “Esattamente. L’ovvia realtà, come sanno gli utenti di lunga data, è che Twitter ha fallito in termini di fiducia e sicurezza per molto tempo e ha interferito nelle elezioni“. Aggiungendo che il “Twitter 2.0 sarà molto più efficace, trasparente e imparziale”.

La storia del laptop di Hunter Biden

In che modo Twitter avrebbe “interferito nelle elezioni”? Il riferimento di Musk è alla censura, negli ultimi giorni della campagna per le presidenziali 2020, della storia – vera – del laptop di Hunter Biden, addirittura bannando l’account del media che l’aveva raccontata, il New York Post, non esattamente un bollettino di cospirazionisti ma uno dei principali quotidiani Usa.

Pochi giorni fa, infatti, Musk aveva concordato con Alex Lorusso, uno dei giornalisti bannati, secondo cui lo stesso Musk “dovrebbe pubblicare le discussioni interne di Twitter sulla decisione di censurare la storia del New York Post sul laptop di Hunter Biden subito prima le elezioni del 2020, nell’interesse della trasparenza”.

“È necessario per ripristinare la fiducia del pubblico”, è stata la risposta di Musk, che qualche giorno dopo ha annunciato: “I documenti di Twitter sulla soppressione della libertà di parola saranno presto pubblicati su Twitter stesso. Il pubblico merita di sapere cosa è realmente accaduto…”

Ricordiamo che allora Twitter aveva impedito a qualsiasi utente di condividere il link all’inchiesta del Post, sia pubblicamente che tramite messaggio diretto, e bloccato l’account personale dell’ex portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany, nonché l’account della campagna dell’ex presidente Trump, per averlo condiviso, ma anche sospeso l’account del giornale.

Ad aprile, quindi mesi prima dell’acquisizione della piattaforma, Musk aveva twittato che “sospendere l’account di un’importante testata giornalistica per aver pubblicato una storia veritiera è stato ovviamente incredibilmente inappropriato“.

L’ex ceo di Twitter, Jack Dorsey, ha dovuto scusarsi davanti al Congresso per la soppressione di notizie risultate essere accurate e verificate. E in tempi recenti, persino il Washington Post, il New York Times e CBS News hanno dovuto riconoscere l’autenticità della storia del laptop.

Ma cosa può venir fuori dai documenti interni di Twitter sulla decisione, promessi da Musk? Qualcosa di simile a ciò che ha raccontato Mark Zuckerberg nel podcast di Joe Rogan, quando ha ammesso che Facebook fu indotta a censurare la storia dalle indicazioni dell’FBI secondo cui si trattava di disinformazione russa – il che sarebbe poi emerso essere un completo depistaggio.

La collusione FBI-Big Tech

Sull’accusa di collusione tra alti funzionari governativi e Big Tech finalizzata alla censura e alla soppressione della libertà di parola sui social è in corso una causa, intentata dagli Attorney General di Missouri e Louisiana contro il governo federale.

Secondo la loro denuncia, in seguito ad un mandato di comparizione di terze parti, Meta ha identificato la Task Force sull’interferenza straniera dell’FBI, e in particolare l’agente Elvis Chan, come coinvolti nelle comunicazioni tra l’FBI e Meta che hanno portato alla soppressione da parte di Facebook della storia del laptop di Hunter Biden.

Ascoltato lo scorso 14 novembre, secondo quanto riporta Fox News l’agente Chan ha parlato di “incontri settimanali” dell’FBI con le società Big Tech nella Silicon Valley prima delle elezioni presidenziali del 2020 per discutere della “disinformazione” sui social media e avere informazioni sugli sforzi compiuti per censurarla.

Secondo la sua testimonianza, l’FBI invia regolarmente alle società di social media elenchi di URL Internet e account che dovrebbero essere rimossi perché “disinformazione” da “operazioni di influenza straniera maligna”. L’FBI chiede quindi alle piattaforme se hanno effettivamente rimosso i contenuti. E in molti casi, queste eliminano gli account segnalati dall’FBI.

Insomma, quello che emerge è un vero e proprio schema di censura. Come ha spiegato efficacemente Max Balestra, quello che è accaduto in questi anni è che il governo federale ha preteso che i principali social, come Facebook e Twitter, agissero come suoi proxy per la censura. La richiesta a Musk da parte di Washington e Bruxelles è che Twitter continui ad esserlo.

Tregua con Apple

Chiarimento, invece, tra Musk e Tim Cook, il ceo di Apple. Nei giorni scorsi Musk aveva accusato Apple di una riduzione ostile della sua spesa per la pubblicità su Twitter e di aver minacciato di rimuovere l’app dal suo store.

Martedì scorso era duramente intervenuto sulla questione il governatore della Florida Ron DeSantis, avvertendo in conferenza stampa che se Apple dovesse escludere Twitter dal suo store, dimostrerebbe di esercitare un potere monopolistico e il Congresso dovrebbe occuparsene:

Sentiamo che Apple sta minacciando di rimuovere Twitter dall’app store perché Elon Musk lo sta effettivamente aprendo alla libertà di parola e sta ripristinando molti account che sono stati ingiustamente e illegittimamente sospesi per aver diffuso informazioni accurate sul Covid. Se Apple rispondesse eliminandoli dall’app store, penso che sarebbe un errore enorme, enorme, e sarebbe davvero un esercizio di puro potere monopolistico.

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