Twitter Files: la censura social

Rapporto del Congresso: ecco come agiva l’apparato della censura social

Una censura “per procura”: la partnership Governo, Big Tech e Big Academia per controllare e censurare il dibattito politico, ai danni di Trump e dei conservatori

Trump Twitter Il profilo Twitter di Donald Trump bannato

Pubblicato ieri un lungo e dettagliato rapporto della Commissione Giustizia della Camera Usa, presieduta dal Repubblicano Jim Jordan, sul cosiddetto “Complesso Industriale della Censura”, quella partnership tra governo federale, esperti di disinformazione o presunti tali nelle università e Big Tech creata per controllare e censurare il dibattito politico sui social. Una vera e propria cospirazione contro il free speech.

Centinaia di documenti non pubblici, ottenuti dalla Commissione, mostrano come l’Agenzia per la cybersecurity (CISA) del Dipartimento per la Sicurezza interna, il Global Engagement Center (GEC) del Dipartimento di Stato, l’Università di Stanford, Atlantic Council e altre istituzioni hanno collaborato ad un progetto volto a monitorare ed esercitare pressioni sui social media per convincerli a censurare gli americani prima e subito dopo le elezioni presidenziali del 2020.

Come funzionava

A riassumere i risultati dell’indagine, che in pratica conferma quanto emerso dai Twitter Files, lo stesso presidente Jim Jordan su X.

L’apparato di censura appositamente messo in piedi dal governo era denominato Election Integrity Partnership (EIP), un consorzio di esperti di “disinformazione” guidati dallo Stanford Internet Observatory che si coordinava con CISA e GEC. L’EIP, si evince dalle email dei partecipanti, è stato creato “su richiesta della CISA” nell’estate 2020, dopo aver “lavorato su alcune idee di monitoraggio delle elezioni con la CISA”.

Ecco come funzionava: i soggetti partecipanti (incluse le agenzie del governo federale) segnalavano contenuti di sospetta disinformazione. L’EIP li analizzava e cercava contenuti simili su tutte le piattaforme. E infine sottoponeva i suoi rapporti, accessibili solo ai partecipanti, alle aziende Big Tech, ai social media, spesso con raccomandazioni specifiche su come censurare.

Di conseguenza, la CISA era a conoscenza di cosa veniva segnalato all’EIP. E a loro volta le piattaforme social sapevano che CISA era a conoscenza delle segnalazioni dell’EIP.

La CISA ha organizzato incontri tra le aziende Big Tech e i funzionari delle agenzie di sicurezza nazionale per affrontare la “disinformazione” sulle piattaforme social. In vista del voto del 2020, l’agenzia ha intensificato i suoi sforzi segnalando i post o i tweet che riteneva meritevoli di essere censurati, alcuni dei quali mettevano in discussione la sicurezza delle pratiche di voto, come il voto per corrispondenza di massa e senza controlli.

Nel mirino i conservatori

Oggetto di censura sono state non solo opinioni, ma anche informazioni vere e battute satiriche. Ad essere presi di mira cittadini americani di tutti gli orientamenti politici, ma soprattutto conservatori.

Tra questi, i più noti, il presidente Donald Trump, ovviamente, politici di primo piano come il senatore Thom Tillis, l’ex Speaker Newt Gingrich, l’ex governatore Mike Huckabee, i deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene, il presidente di Judicial Watch Tom Fitton, il fondatore di Project Veritas James O’Keefe, media e giornalisti come Newsmax, Sean Hannity, Sean Davis, Mollie Hemingway, opinionisti come Charlie Kirk, Candace Owens, Jack Posobiec, Michelle Malkin, Benny Johnson, il sito satirico Babylon Bee.

Come ha riportato Margot Cleveland di The Federalist, il GEC ha finanziato entità non governative, come il Global Disinformation Index, impegnate nel tracciamento della “disinformazione” e ad inserire nella “lista nera” siti di notizie conservatori facendo in modo che non ricevessero più finanziamenti.

Censura per procura

Il coinvolgimento di soggetti privati, sia esperti del mondo accademico per confermare che quanto segnalato fosse disinformazione, sia i social media, i quali applicavano materialmente la censura, ha permesso alle agenzie del governo federale di praticare una censura “per procura”, riciclando le loro attività di censura e aggirando così il Primo Emendamento al riparo dello sguardo del pubblico.

“La repressione dei politici e dei media conservatori derivante da questa operazione di censura ha privato innumerevoli elettori americani dell’esposizione ad una serie di prospettive sulle questioni politiche più importanti nei giorni e nelle settimane delle elezioni generali”, conclude il rapporto. “Fondamentalmente, l’EIP ha condotto la sua operazione di censura sotto la direzione, e in collaborazione, della CISA, un’agenzia governativa federale che cercava attivamente di minare la libertà di espressione e il presidente in carica”.