Le urne consegnano un panorama politico profondamente cambiato. Se il grande sconfitto di queste elezioni è, sicuramente, Matteo Renzi – e la sua concezione proprietaria del Partito Democratico – Silvio Berlusconi e Forza Italia non possono vantare una sorte migliore. Non è un caso che le due formazioni politiche più penalizzate in termini di consenso siano state proprio quelle che avevano stretto l’infausto patto del Nazareno. La domanda che ora riecheggia nelle stanze di Arcore – ma anche al Nazareno – è come uscire dall’angolo nel quale Lega e Movimento 5 Stelle hanno costretto i partiti che fino a qualche mese fa erano i perni del sistema politico. Uno scenario non molto lontano da un futuro prossimo potrebbe vedere il Partito Democratico e Forza Italia condannati alla marginalità, nonché svuotati dei propri consensi. Un processo che, in parte, è già iniziato, come dimostrano i flussi elettorali del 4 marzo: tra il 15 e il 20 per cento degli elettori che avevano votato per il Partito Democratico nel 2013 hanno cambiato la propria preferenza verso il Movimento 5 Stelle. La nuova Lega (ma anche Fratelli d’Italia) ha drenato voti a Forza Italia verso la quale ha compiuto uno storico sorpasso, cambiando così l’asse portante che regge – ancora, per il momento – il centrodestra, non più a trazione forzista bensì sovranista.
Forza Italia e Partito Democratico, in questi giorni, sono tornati a parlarsi: Silvio Berlusconi preme affinché una parte dei Democratici sostenga un eventuale governo di centrodestra, ma si è scontrato con l’opposizione di Salvini a qualsiasi “soccorso rosso”. L’attuale – momentaneo? – assetto tripolare rischia di essere solo una cartolina di questa Terza Repubblica quasi di passaggio. All’orizzonte, infatti, è possibile scorgere un nuovo bipolarismo, che qualcuno definirebbe un “bipolarismo populista”, ovvero Movimento 5 Stelle da una parte – pronto a cannibalizzare ciò che rimane del centrosinistra – e Lega dall’altra, la cui OPA sul centrodestra potrebbe andare definitivamente a buon fine. Un nuovo assetto sancito, magari, con l’ennesima, nuova legge elettorale, stavolta con un premio di maggioranza: sempre che il Quirinale non decida di sparigliare le carte e di prendere in mano le redini del gioco.