L’intelligence ucraina lo aveva annunciato poche settimane fa: possiamo colpire il Cremlino. E questa volta dalle parole si è passati ai fatti. La notte scorsa, come riportato dall’agenzia russa Ria Novosti, la residenza di Vladimir Putin è stata colpita dall’attacco di due droni. Le prime indiscrezioni parlavano addirittura di un presunto ferimento del presidente russo, ma subito è arrivata la smentita del Cremlino: Putin non era nella residenza al momento dell’attacco.
“Attacco al Cremlino”
Il portavoce del leader della Federazione, Dimitri Peskov, ha parlato chiaramente di “attentato terroristico ucraino“, un attacco alla vita di Vladimir Putin, promettendo ritorsioni nei confronti di Kiev. Dall’altra parte, invece, il governo Zelensky nega qualsiasi complicità. “Chiaramente, l’Ucraina non ha nulla a che fare con l’attacco dei droni al Cremlino”, ha affermato la presidenza. Eppure, è evidente come non possa essere esclusa la pista della responsabilità di Kiev, che più volte aveva annunciato l’intenzione di colpire il cuore della Russia. E più volte si è resa protagonista di sabotaggi nelle aree della Federazione.
La strategia dell’Ucraina
Pochi mesi fa, infatti, è successo con la figlia del predicatore ultra-nazionalista Dugin, uccisa in un attentato proprio nel centro città della capitale della Federazione. Poi, si è aggiunto il sabotaggio al ponte di Kerch, l’infrastruttura che collega la penisola di Crimea al territorio russo. Ed infine, si ricordino le migliaia incursioni ucraine nelle zone limitrofe al confine con Kiev – in particolare nella città di Belgorod.
Insomma, nel corso di questi 14 mesi di conflitto, la resistenza ha più volte dimostrato di poter colpire anche quelle zone geograficamente lontane dalla guerra, con l’obiettivo di instillare paura e preoccupazione tra la popolazione, che ancora in larga maggioranza sostiene “l’operazione speciale”. Una politica che risponde ad una vera e propria strategia della tensione, che ha già maturato i suoi primi effetti. Il sindaco di Mosca, Serghey Sobyanin, ha disposto il divieto di sorvolo di droni sulla capitale, con serie preoccupazioni per la parata militare del Giorno della Vittoria contro il nazismo, datata il prossimo 9 maggio.
Cosa può succedere
Nel frattempo, da pochissimi minuti, è scattato un nuovo allarme raid aereo nella capitale dell’Ucraina. Sarebbe proprio questa la prima conseguenza dell’attacco al Cremlino: la Russia potrebbe pianificare un attacco diretto alla residenza del presidente ucraino Zelensky. Lo ha già messo sul tavolo un deputato della Duma, Mikhail Sheremet, il quale ha parlato concretamente di “un attacco missilistico contro la residenza di Zelensky a Kiev”.
Non è escluso che la nuova controffensiva ucraina – che secondo la Wagner è già iniziata – possa fondarsi proprio sull’incremento degli attacchi e dei sabotaggi in territorio russo. Nelle ultime ore, infatti, i servizi speciali russi (Fsb), hanno sventato una serie di “azioni terroristiche” in Crimea, pianificati dalla direzione dell’intelligence ucraina: “Tra gli obiettivi c’erano gli omicidi di alcuni leader leadership della penisola, annessa unilateralmente da Mosca nel 2014, e infrastrutture”, si legge sulle agenzie di stampa russe. L’obiettivo sarebbe quello di colpire le menti del sistema della Federazione, gli uomini di rilievo che coordinano, dirigono e gestiscono l’operazione militare in Ucraina. E l’attentato a Putin ne risulta essere la dimostrazione più alta.
I dubbi sull’attacco al Cremlino
C’è da valutare però un dilemma, che riguarda direttamente i due droni che hanno colpito la residenza di Putin. Stando alle prime analisi, infatti, si tratterebbe di un iraniano Hesa Shahed 136. Ergo, una fornitura che arriverebbe direttamente dal principale alleato di Mosca nella guerra in Ucraina. A ciò, si affiancano i dubbi sull’esplosione – come si nota dal video che circola in rete – proprio nel momento in cui il drone raggiunge la cupola del Cremlino. Un dettaglio che fa pensare o all’attivazione col comando a distanza oppure perché colpito da fuoco russo.
Anche per questa ragione, non può essere esclusa la pista del sabotaggio compiuto da militanti anti-Putin, così come sostenuto recentemente dal New York Times, nel tentativo di far luce sulla vicenda degli attacchi ai gasdotti Nord Stream 1 e 2 dello scorso settembre. Insomma, gli interrogativi sono ancora tantissimi. La responsabilità dell’intelligence militare ucraina appare la strada maggiormente plausibile, ma non rappresenta ancora l’estrema certezza. La tensione tra Occidente e Russia, però, non può fare altro che salire.
Matteo Milanesi, 3 maggio 2023