Addio alla Rai

Augias si loda e s’imbroda: il trisavolo di tutti i telemartiri passa a La7

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Augias la7 rai

Quelli che parlano di sé – meglio: che si parlano addosso di sé, in erotica copiosa ridondanza, alla Corrado Augias, lasciano sempre una impressione duplice, ma vibrante. La prima è che non ci hanno capito molto: di sé e quindi del mondo, la seconda è che son sempre capitati lì per caso, cioè non sono loro ad aver seguito, in una secolare traiettoria di potere, il potere medesimo, se mai è il potere che si è ritrovato a seguire, a cercare, e se questo non capita più, casca il mondo casca la terra: “Vado via dalla Rai, nessuno mi ha cacciato ma nessuno mi ha trattenuto”. E che cazzo, a 88 anni. Ma non demorde: col suo grande avvenire dietro le spalle, il trisavolo di tutti i telemartiri passa a La7: “Mi occuperò di Cultura”, e ce la senti, quella C maiuscola come maiuscolo è lui, sommo sacerdote della C. Forza, Coràdo! Augias sta alla C come quell’altro, Angela, stava alla S, la Scienza, con la S frusciate, sibilante. Divulgatori autopromossi sul campo e divenuti lari, penati, lumi e numi tutelari. E nnamo, a Corà.

E nell’epicizzarsi col sempre ottimo Cazzullo, uno che fa domande senza punto interrogativo, “In Rai lei faceva Babele, e parlava di libri”, del tipo il candidato dica quello che sa su quello che vuole: le interviste ormai girano così, sono soliloqui di agiografie, ecco, Augias par sempre passare di lì per caso. I kibbutz che stanno in paradiso, la sottile linea di confine tra ebrei e israeliani, il suo essere mezzo ebreo, ma senza accorgersene, ebrei per caso, però non toccategli Israele, però neanche la Palestina, però, e poi gli hippy meravigliosi, che si facevano le canne, anche Corà si fece una canna, poi anche una striscia, di coca non i Gaza, risultati: non pervenuti, pure con le sostanze psicotrope tutto solo un caso, uno striscio, una frequentazione distratta, impalpabile, impersonale, ma no, è perché l’intelletto augiesco era, ed è, talmente sovrelevato che nessuna alterazione chimica può nulla. Sono i geni autoindotti a funzionare così.

Questa vida è ‘na corida, ‘a corida de Coràdo. E insomma Augias se n’è gghiuto e soli l’ha lasciati, in Rai, ma tu pensa, la Rai senza il suo sole immobile, io me lo ricordo anni fa con gli occhiali fumé in onda, forse l’uveite, come un Berlusconi qualunque: eh ma che vulìte, “oggi c’è troppa improvvisazione, troppi favoritismi”. Mica come 63 anni fa, quando entrava lui, a cavallo di se stesso. A proposito, ma quella Natalia Augias che sta in Rai, fosse mica… Cazzullo, che è uomo di mondo, non lo chiede, né con né senza punto di domanda, ma ci pensa Coràdo a fare piazza pulita: è sua figlia, e lo dice serenamente, per diritto acquisito, se qualcuno ha qualcosa da insinuare, venga torturato come sotto la Crociata degli Albigesi.

O erano i Catari? Ma sì, chi se ne frega, una volta si confuse anche lui, C come Coràdo, C come Cultura, li mise gli albigesi in pieno Rinascimento anziché nel Dugento, che vuoi che sia, tra noi dotti. Vecchio polemista di Giorgia (ricordatevi di Renan), che compatisce, benevolmente, come una nipotina ancora da sgrezzarsi, ma mica è per lei che s’è andato, è “per il gusto della sfida”, e prosit. Per la banalità del Colto, o del Culto. Fosse l’unica, ecco, quelli come mr C sembrano sempre un po’ affogare nel loro banalismo compiaciuto, anzi autocompiaciuto. Perché non scavano, surfeggiano; non indagano, constatano. Si limitano alla descrizione di un esistente: loro stessi. E allora via, con la sinistra che “sembra evaporata, che fine ha fatto quella forza che l’ha animata per mezzo secolo?” (bum!). Maddai, a Corà, che era una bufala anche allora. Solo che allora faceva comodo, dai, su, ennamo. Sempre tangenziale, mai cercato, sempre trovato. Anche quando fu sgamato in un plagio imbarazzantissimo, al punto da non poterlo negare; allora lo si candeggia: «Commisi, per la prima e ultima volta, l’errore di chiedere a un giovane ricercatore un po’ di materiale per un libro. Quello copiò otto righe di un volume Adelphi appena uscito. Erano talmente belle che le riportai integralmente. Una macchia sulla camicia bianca, che fu sfruttata politicamente dai miei detrattori».

E Cazzullo, muto, seh, vabbè. La camicia di bucato. Padre e suocero ufficiali dell’aeronautica fascista. Ma così, sempre neri per caso, sfiorati, mai coperti. Sempre da indipendente, puledro sciolto, anche da euparlamentare per left party, Pds-Ds, prima però ci fu Craxi, che “all’inizio fu un sollievo”, poi non gli piacque più. Forse la prima fase, quella dell’innamoramento, coincise anche o almeno si prolungò in quel momento magico, «Quand’ero all’università sono stato iscritto al partito socialista, fui pure segretario della sezione teatro, quando da Milano a Roma, da Paolo Grassi a Vito Pandolfi, tutti i grandi teatri italiani erano guidati da socialisti». Vabbè, ah Corà, amo capito. Sempre per buona ventura, sempre tangenziale, eh. Anche la sporca faccenda della presunta spia cecoslovacca, nome in codice Donat: l’ottimissimo Cazzullo fa in modo di candeggiare anche questa presunta macchiolina dalla camicia: «Una millanteria di un agente che voleva restare a Roma. Usciti dalla Rai di via del Babuino, andavamo da Rosati a bere qualcosa. C’era questo cecoslovacco molto simpatico, che mi invitò due volte a pranzo e mi chiedeva della politica italiana. L’infido traditore fece credere di avere una fonte dentro la Rai».

Destino cinico e baro, poffarbacco! Però anche delicato, bon vivant, la sera andavam da Rosati. Alla fine di tanto bucato cosa rimane? Ebbè, la Cultura: della quale farsi vestale nella verde Novantina; l’ateismo tangenziale, in quanto “si può coltivare una spiritualità intensa senza appartenere ad alcuna religione”, cioè tradotto dall’augiese, credere a se stesso: non in se stesso, che è troppo facile: a, come deità allo specchio, come feticcio fattosi da sé. Ma nella sottilissima distinzione metafisica tra ateo e non credente, nel gioco di specchi colti di Augias ogni bagliore si riflette in un caleidoscopio di suggestioni profonde e così ci lasciamo irretire dal parallelo, immancabile amore cortese omosessuale evocato ma non praticato, “la tentazione sì l’atto no”, ohibò, come un Favino qualsiasi.

Tutto il resto è gioia, joie de vivre à la Corà, “così razionale, elegante” sottolinea Aldo senza punti di domanda. Ma che vulìte? Questo passano i conventi: qualcuno, la Rai, s’immiserisce, qualcun altro, La7, si nobilita. Di una coscienza che ama l’Italia, le città italiane, ma principalmente in quanto conosciute, visitate, abitate spiritualmente da Corrado, che ci avverte: «La nostra identità nazionale è molto fragile. Siamo un Paese troppo lungo, come diceva Giorgio Ruffolo, con una frontiera interna, gli Appennini. Non solo Nord e Sud; anche solo Firenze e Bologna, che distano appena cento chilometri, sono troppo diverse per capirsi». Mecojoni, ma chi l’avrebbe detto, anvedi Augias quante ne sa.

Max Del Papa, 6 novembre 2023

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