Ma ciò su cui in Confesercenti sono sicuri è che l’effetto di un possibile aumento dell’Iva, se dovessero cioè scattare le clausole di salvaguardia inserite nei nostri documenti di finanza pubblica, sarebbe un disastro per la spesa privata. La spesa diminuirebbe di più di otto miliardi, circa 310 euro a testa, con la possibile scomparsa di novemila esercizi commerciali. Più o meno sulla stessa linea, il presidente della Federalimentare, Vacondio, che solo una settimana fa davanti al presidente della sua confederazione e cioè Boccia di Confindustria, ha più o meno detto: «Ho sentito sirene anche in casa nostra dire che si potrebbe pensare a qualche forma di aumento dell’imposizione indiretta, se ciò avvenisse sarebbe un disastro». Messaggio chiaro e netto.
Occorre fare ripartire i consumi. A Quarta Repubblica, una signora, appena incassato il suo assegno di cittadinanza, ha mostrato la dispensa piena di ogni genere alimentare. Ha fatto scorte, dunque ha decisamente alimentato la spesa. Ma la sua preoccupazione era per il futuro. Non si fidava della tenuta del suo reddito e per questo spendeva ma, una volta certa del suo assegno, avrebbe trovato il modo di mettere un gruzzolo da parte. Non è facile capire dove andremo nelle nostre scelte economiche. E conviene sempre avere uno spirito critico nei confronti di ricerca e previsioni. Ma il buon senso ci dice, che se le famiglie italiane non si sentiranno sicure, continueranno a spendere il minimo indispensabile.
E ciò, in un circolo vizioso purtroppo conosciuto, taglierà le gambe agli esercizi commerciali, che ridurranno il personale, renderanno le nostre città meno abitabili, e comprometteranno quella rete fisica favolosa che commercianti, esercenti e negozi di prossimità hanno creato nei secoli, con le loro botteghe, in questo paese dai mille borghi vivi anche grazie alle insegne dei loro piccoli imprenditori e artigiani.
Nicola Porro, Il Giornale 25 maggio 2019