Aumentare l’Iva sarebbe un disastro. Ecco perché

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Ogni tanto ci dimentichiamo di cosa davvero sia questo nostro straordinario Paese. Non solo in termini di cultura, tradizione e storia, ma anche di dimensione economica. L’Italia ha il quarto mercato interno, per dimensioni, in Europa e il sesto al mondo.

In una recente ricerca commissionata dalla Confesercenti e realizzata dal Cer, si mettono in fila i numeri della nostra crisi, ma anche le follie delle nuove ricette economiche. Si tratta di una ricerca molto interessante.

Di base una famiglia, una volta ottenuto il proprio reddito, e pagate le tasse, sempre troppo elevate, consuma o risparmia ciò che resta. La prima ricetta per fare riprendere un’economia è molto banalmente quella di lasciare più quattrini in tasca ai contribuenti: che in fondo hanno idea di come spenderli molto meglio di quanto l’abbiano i burocrati da loro stipendiati.

Confesercenti ha calcolato cosa è successo non tanto nel portafoglio degli italiani, ma nella loro busta della spesa, negli ultimi sette anni: dal 2011 al 2018. Il dato è impressionante, perché espresso in termini assoluti e non con l’effetto anestetizzante tipico delle percentuali. Ebbene i nostri consumi medi sono scesi a 28.251 euro l’anno: 2.530 euro in meno di spesa rispetto al 2011. Il che vuole dire che una famiglia media in Italia è come se per un mese avesse consumato nulla: l’anno si è ridotto a undici mesi. Nello stesso periodo di tempo anche il reddito delle famiglie è diminuito: ma di meno e cioè di 1.999 euro.

Insomma le cose, negli ultimi sette anni, sono andate male. Abbiamo guadagnato di meno, ma soprattutto abbiamo speso ancora di meno. E il motivo è chiaro: quando non si ha fiducia nel futuro si tende a tenere i cordoni della borsa stretta. Non ristrutturo casa, risparmio sugli alimentari, sono alla ricerca del migliore contratto per la telefonia, viaggio di meno. Si raccoglie fieno in cascina, in attesa di un diluvio che potrebbe tornare. In questi ultimi anni sono aumentati solo le spese in sanità, e cio è compatibile con l’invecchiamento della popolazione e la riduzione di alcune prestazioni gratuite, e, cosa piuttosto inattesa, sono cresciuti i consumi in istruzione. Quest’ultimo dato può anche essere letto come un aumento dei costi per avere un’educazione decente, ma in assoluto testimonia un percorso virtuoso.

Il fatto che i consumi siano andati peggio dei propri stipendi (è una semplificazione, ma così ci capiamo) rende la nostra economia molto fragile, ma indica anche la direzione da prendere. E cioè non sottovalutare i consumi. È cosa buona e giusta lasciare più risorse in tasca (aumentare cioè il reddito disponibile), ma occorre farlo in modo convincente, altrimenti ciò che guadagniamo in più o perdiamo in meno, lo teniamo nel cassetto invece di spenderlo.

Secondo l’indagine Confesercenti-Cer in sette anni ci siamo fumati la bellezza di 60 miliardi di consumi. Il che ha comportato la morte di 32 mila negozi alimentari, 13 mila nel settore abbigliamento e così via. Non che la grande distribuzione, come ha indicato un’altra recente indagine da parte delle Coop, sia andata meglio. Salgono ovviamente le vendite on line, ma non compensano né i consumi persi, né gli occupati bruciati da questa gigantesca crisi della spesa.

In questo contesto, scrivono nella ricerca, l’aumento del reddito disponibile derivante dall’introduzione del reddito di cittadinanza e dall’incremento della tassazione forfettaria (la flat tax fino a 65 mila euro per gli autonomi) non darà un grosso contributo. Si stima essere pari a sette miliardi, in tre anni. Direi che è un dato ridicolo. Posto che il costo dei due provvedimenti è almeno triplo. Probabilmente al Cer stimano che solo una parte di questa maggiore disponibilità finirà davvero nei consumi. Vedremo a consuntivo.

Ma ciò su cui in Confesercenti sono sicuri è che l’effetto di un possibile aumento dell’Iva, se dovessero cioè scattare le clausole di salvaguardia inserite nei nostri documenti di finanza pubblica, sarebbe un disastro per la spesa privata. La spesa diminuirebbe di più di otto miliardi, circa 310 euro a testa, con la possibile scomparsa di novemila esercizi commerciali. Più o meno sulla stessa linea, il presidente della Federalimentare, Vacondio, che solo una settimana fa davanti al presidente della sua confederazione e cioè Boccia di Confindustria, ha più o meno detto: «Ho sentito sirene anche in casa nostra dire che si potrebbe pensare a qualche forma di aumento dell’imposizione indiretta, se ciò avvenisse sarebbe un disastro». Messaggio chiaro e netto.

Occorre fare ripartire i consumi. A Quarta Repubblica, una signora, appena incassato il suo assegno di cittadinanza, ha mostrato la dispensa piena di ogni genere alimentare. Ha fatto scorte, dunque ha decisamente alimentato la spesa. Ma la sua preoccupazione era per il futuro. Non si fidava della tenuta del suo reddito e per questo spendeva ma, una volta certa del suo assegno, avrebbe trovato il modo di mettere un gruzzolo da parte. Non è facile capire dove andremo nelle nostre scelte economiche. E conviene sempre avere uno spirito critico nei confronti di ricerca e previsioni. Ma il buon senso ci dice, che se le famiglie italiane non si sentiranno sicure, continueranno a spendere il minimo indispensabile.

E ciò, in un circolo vizioso purtroppo conosciuto, taglierà le gambe agli esercizi commerciali, che ridurranno il personale, renderanno le nostre città meno abitabili, e comprometteranno quella rete fisica favolosa che commercianti, esercenti e negozi di prossimità hanno creato nei secoli, con le loro botteghe, in questo paese dai mille borghi vivi anche grazie alle insegne dei loro piccoli imprenditori e artigiani.

Nicola Porro, Il Giornale 25 maggio 2019

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