Politiche green

Auto elettrica, fregatura servita: le aziende traslocano in Usa e Cina

L’Ue è in netto ritardo nel processo di sviluppo dell’automotive elettrico. Ecco i rischi che si nascondono dietro questa scelta

Politiche green

Ci etichettavano come dei reietti, degli inquinatori, dei distruttori del pianeta, contrari a qualsiasi programma di sostenibilità e transizione green. E invece salta fuori che aveva ragione proprio quella (piccola) fetta che, da sempre, ha posto numerosi dubbi e scetticismi circa gli incentivi all’utilizzo dell’auto elettrica, in sostituzione di diesel e benzina.

Ebbene sì, non c’è solo il grave peso economico che le famiglie europee dovrebbero sostenere per cambiare il proprio autoveicolo – nell’eventuale ipotesi in cui lo stop Ue alla vendita dei motori a combustione dal 2035 dovesse ottenere il via libera definitivo – ma si tratterebbe anche di un vero e proprio suicidio geopolitico per il nostro continente.

Da una parte, infatti, Europa e Stati Uniti primeggiano da decenni nel campo dell’automotive a diesel e benzina; dall’altra parte, invece, chi è il Paese che da sempre punta sull’auto elettrica, per portare il proprio dominio economico a livello globale anche in questo settore? Ovviamente, la Cina. E i vertici di Bruxelles sembrano essere intenzionati ad entrare dolosamente nella bocca affamata del Dragone.

Per approfondire:

Nonostante tutto, è la stessa Italia – insieme a Germania, Polonia e Bulgaria – ad aver sospeso il regolamento Ue in questione. Tra le ragioni, vi è proprio l’assist gratuito che il nostro continente andrebbe a fare a Pechino, il principale competitor del mondo occidentale. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo in apertura della seconda edizione del talk di Rcs Academy, ha ribadito come i fenomeni deleteri di una politica green, fondati sull’elettrico, siano già in attuazione. E il caso lampante è quello di Volkswagen. La casa automobilistica, infatti, “si pone un problema se investire in Europa o negli Stati Uniti”. E il bocconcino prelibato rimarrebbe proprio la Cina.

La Commissione Europea, nel tentativo di svincolarsi dalla dipendenza di Pechino, presenterà il Critical Raw Materials Act, riguardante le materie prime per la transizione verso l’elettrico e le nuove tecnologie. Secondo la proposta, almeno il 30% di queste materie dovrà provenire dalle miniere europee, così come almeno il 10% delle terre rare. Percentuali a dir poco ottimistiche, posto il fatto che la quasi totalità di minerali preziosi necessari per molte produzioni, come le batterie, sono sotto il monopolio di Pechino e dei suoi alleati, dove si concentrano per almeno il 90%.

Nonostante tutto, l’obiettivo della Commissione sarebbe quello di continuare a seguire il modello americano. Joe Biden, imitando lo stile californiano, ha voluto dare un’accelerazione allo sviluppo dell’elettrico con l’Inflation Reduction Act, lo stanziamento a pioggia di 369 miliardi di dollari di sussidi volti a incentivare questa strada. Su questa falsa riga, la prima bozza del piano Ue, denominato Net Zero Industry Act, è già stata però ritenuta insufficiente dai vertici automobilistici tedeschi: “I progressi con i piani di fabbriche di batterie sono molto più rapidi in Nord America rispetto all’Europa”, ha specificato Thomas Schmall, capo dell’unità componenti di Volkswagen.

E ancora, i problemi riguardano soprattutto Italia e Germania, dove per la prima il progetto Italvolt a Scarmagno, in provincia di Torino, ha già alzato bandiera bianca a favore del suo gemello americano Statevolt. Mentre a Berlino è a rischio la gigafactory di Tesla, che ha preferito la produzione di celle negli Usa.

Insomma, l’Unione Europea si trova ingabbiata su due fronti. Da una parte, vittima del netto vantaggio che gli Stati Uniti possono contare nella produzione dell’elettrico. Dall’altra, dell’assoluto monopolio della Cina in termini di minerali preziosi, indispensabili per sorreggere la produzione del settore. Quella che veniva raccontata essere la soluzione per “salvare il pianeta” rischia di affossare gli Stati membri dell’Ue. E con loro oltre 200mila posti di lavoro.

Matteo Milanesi, 9 marzo 2023