Auto elettriche, il mito green condannato dal mercato

Il sogno elettrico si infrange davanti alla realtà e smaschera i limiti delle politiche verde imposte dall’alto: crisi finanziarie, crollo della domanda e migliaia di posti di lavoro a rischio

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Calo vendite auto elettriche 02

Il settore delle auto elettriche, un tempo considerato la strada obbligata verso un futuro più verde e sostenibile, sta dimostrando limiti imprevisti. Nonostante governi e istituzioni internazionali continuino a spingere per la rapida transizione verso l’elettrico, la realtà economica e sociale rivela un panorama molto diverso, con una crisi profonda che coinvolge aziende, lavoratori e consumatori. Non si tratta solo di una questione tecnica o infrastrutturale, ma di una crisi di sistema che coinvolge il fondamento stesso delle politiche a favore del veicolo elettrico, spinto da un mix di sussidi, regolamentazioni e imposizioni che hanno distorto il normale funzionamento del mercato.

Secondo quanto riportato recentemente dal Corriere della Sera, la svedese Northvolt, una delle principali aziende europee produttrici di batterie per veicoli elettrici, sta attraversando una grave crisi finanziaria, che mette a rischio 1.600 posti di lavoro. Questo caso non è isolato, come del resto conferma anche la crisi della sudcoreana Sk On, produttore di batterie per auto elettriche e fornitrice pure di Ferrari, ma rappresenta la manifestazione di un problema più ampio che affligge l’intero settore. Detta azienda, assurta a simbolo della transizione energetica europea, sta cedendo sotto il peso dei crescenti costi operativi, della scarsa domanda di batterie e delle difficoltà finanziarie. E ciò è anche la dimostrazione che, nonostante gli ingenti investimenti pubblici destinati a sostenere la crescita dell’elettrico, nemmeno i sussidi sono riusciti a evitare il collasso di un modello che si basa più su decisioni politiche che economiche.

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Parallelamente, anche la situazione in Germania è altrettanto critica, come evidenziato da un recente articolo di Quattroruote. La nazione, leader mondiale nell’industria automobilistica, sta assistendo a un drammatico crollo della domanda di auto elettriche. Le vendite, malgrado i generosi incentivi statali, non riescono a compensare i costi di produzione elevati e le limitazioni tecnologiche, come la scarsa autonomia e la mancanza di infrastrutture di ricarica adeguate. Il fallimento del settore nel Paese tedesco, noto per la sua efficienza industriale, è un segnale inequivocabile che il sogno dell’elettrico non sta funzionando come previsto ed è ora giunto il momento di interrogarsi sull’origine della crisi. Che non è solo industriale, ma ha radici più profonde nella distorsione economica causata dall’intervento statale, il quale, come solitamente avviene, è stato posto in essere senza affrontare lo studio delle questioni economiche.

Invero, la teoria economica ha insegnato e insegna che un’economia di mercato si basa su un equilibrio naturale tra domanda e offerta. Quando lo Stato interviene massicciamente, come nel caso dell’elettrico, attraverso sussidi, incentivi e regolamentazioni, altera il normale funzionamento della catallassi, generando inefficienze e cattiva allocazione delle risorse. Gli incentivi, se da un lato favoriscono la crescita artificiale di un settore, dall’altro impediscono che l’innovazione emerga in modo spontaneo e naturale. «L’interventismo – ha scritto Ludwig von Mises – non è un sistema economico, non è cioè un metodo che consente a chi lo adotta di conseguire gli obiettivi prefissati. È semplicemente un sistema di procedure che alterano e talvolta distruggono l’economia di mercato. Esso ostacola la produzione e impedisce il soddisfacimento dei bisogni. Non rende i cittadini più ricchi: li rende più poveri».

Inoltre, vi è pure da considerare, la domanda di veicoli elettrici, senza il sostegno di siffatti sussidi, non è in grado di sostenere l’offerta. I consumatori, lasciati liberi di scegliere, non si orienterebbero necessariamente verso l’elettrico, data la persistenza di problemi tecnici come i lunghi tempi di ricarica, la bassa autonomia e i costi elevati. La realtà è che l’elettrico, senza gli aiuti pubblici, non ha ancora raggiunto un livello di competitività tale da competere con i veicoli a combustione interna. È una situazione pure ben descritta da Murray N. Rothbard, il quale ha evidenziato che ogni volta che lo Stato tenta di intervenire nel mercato, non fa altro che generare distorsioni che riducono l’efficienza economica. Invece di lasciare che siano i consumatori a determinare la domanda e l’offerta, le scelte politiche sovvertono le preferenze individuali, con il risultato di creare sovrapproduzione, inefficienze e, infine, crisi. In detto contesto, l’industria elettrica europea non rappresenta un’eccezione. Spinta da miliardi di euro di investimenti pubblici e da normative che hanno progressivamente eliminato il mercato delle auto a combustione interna, l’elettrico ha beneficiato di una domanda falsata. Ora che questa bolla sta esplodendo, gli effetti sono devastanti: aziende come Northvolt rischiano di chiudere, con migliaia di lavoratori lasciati senza occupazione. E mentre la retorica ambientalista continua a promuovere la transizione, la realtà economica dimostra che il modello non è sostenibile.

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Cosa aggiungere? La crisi attuale dovrebbe far riflettere sulla necessità di ripensare il ruolo dell’intervento statale nell’economia. Forzare la mano al mercato, imponendo soluzioni premature, non ha mai portato a esiti positivi. La lezione che proietta il fallimento del settore elettrico è quindi che solo attraverso il libero mercato è possibile raggiungere soluzioni efficienti e sostenibili. Quando è il mercato a determinare le scelte, l’innovazione tecnologica può emergere in modo spontaneo, portando benefici reali senza che sia necessario sovvenzionare artificialmente interi settori. Gli imprenditori, a loro volta, possono trovare soluzioni migliori e più sostenibili di quelle che possono essere imposte dallo Stato. In sostanza, se lasciato libero di operare, il mercato troverà sempre nuove soluzioni, anche superando qualsiasi apparente limite fisico, trasformando quelle che sembrano scarse in abbondanti attraverso l’innovazione tecnologica e scientifica, come ha sottolineato l’economista Julian Simon. Lo stesso ha infatti offerto una visione ottimistica sul tema in discussione, sostenendo che «Le risorse naturali sono infinite. Le risorse naturali non sono né finite né scarse, perché la capacità umana di creare e innovare è illimitata».

La crisi dell’elettrico non è quindi dovuta alla scarsità di risorse o alla mancanza di tecnologia, ma alla cattiva pianificazione e alla forzatura di un modello che non era pronto per essere implementato su larga scala, che non ha neppure superato la prova del mercato. Non bisogna infatti mai dimenticare che il successo o il fallimento di una iniziativa non può e non deve essere deciso da sussidi o normative, ma dalle preferenze dei consumatori, che sono consumatori sovrani: «I loro acquisti e la loro decisione di non acquistare determinano in ultima analisi ciò che gli imprenditori producono e la quantità e la qualità dei prodotti» (Mises).

Sandro Scoppa, 8 ottobre

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