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Auto, sorpresa nei porti: niente elettriche, pure la Cina spedisce motori termici

Conferma dai principali scali italiani dell’automotive: le navi sbarcano solo vetture a benzina e diesel. Le auto elettriche erano un richiamo per le allodole

Sondaggio auto elettriche © Hrecheniuk Oleksii e Boris25 tramite Canva.com

Il battage pubblicitario condotto da veri esperti della propaganda, quali sono, continua, ma la realtà è profondamente differente: dopo aver letteralmente invaso per mesi i porti europei e in particolare quelli italiani (in primis Livorno) con auto elettriche, ormai da settimane i principali produttori cinesi inviano in Europa solo auto con i vecchi, tradizionali e tanto vessati motori endotermici.

Le verifiche sulle banchine del porto toscano, a Vado Ligure (Savona), Napoli, Salerno e recentemente anche Civitavecchia non si prestano a dubbi di sorta. Le auto elettriche made in China, nella pressochè totalità invendute, stazionano in aree retroportuali, in attesa di lasciare in omaggio all’ambiente italiano ed europeo, tonnellate di batterie non riciclabili, mentre l’industria cinese, oggi in grado di competere con i colossi europei dell’auto messi in ginocchio dal Green deal, ma specialmente dalla riedizione su quattro ruote del temibile monito “La Cina è vicina”, sbarcano in forze con decine di modelli con motore tradizionale pronti, a suon di prezzi scontati, a invadere le strade del vecchio… e rimbambito Vecchio continente.

Le indicazioni che provengono dal comparto logistico, da quello spedizionieristico e dai porti italiani non si prestano a dubbi con analogie sconcertanti con altri settori (come quello della costruzione navale confinato in Europa a nicchie come quella rappresentata dalle navi da crociera e con i cantieri cinesi asso piglia tutto ad esempio nel comparto delle navi container).

In questo scenario riesce davvero difficile non immaginare retroscena sconcertanti dietro a questa strategia commerciale che sembra ricordare le incredibili finte di Pelè, tanto efficaci da fare ubriacare i terzini che lo avrebbero dovuto marcare.

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E i terzini (o i complici) di questa strategia sono gli euroburocrati e i politici che, in parte per dabbenaggine, in parte per interessi inconfessabili, hanno fissato i tempi di una transizione energetica che nell’automotive sta producendo milioni di disoccupati, distruggendo una delle rare filiere industriali in cui l’Europa, a traino tedesco e in parte italiano (parliamo di componentistica, non di Stellantis), era riuscita a conservare una leadership mondiale.

Provocando e sfruttando il Green deal europeo, le industrie cinesi dell’auto hanno prima aperto una gigantesca breccia europea, dimostrando con il massiccio invio di auto a batteria, il loro committment nell’elettrico, per poi passare alla fase due: da un lato, continuando a pubblicizzare i modelli anche di Suv che dovrebbero volare in silenzio sulle strade europeo, ma nei fatti bloccando le esportazioni e in parte le produzioni di auto elettriche sostituite da efficienti ed economici modelli a motore tradizionale, che si confronteranno con un nemico tanto indebolito da strisciare in ginocchio sul mercato.

Curioso come nessun media a oggi risulti aver forato la cortina del politically correct magari cercando di verificare cosa le gigantesche navi car carriers in provenienza dalla Cina scarichino effettivamente nei porti italiani. Oppure lanciando un’occhiata anche ai retroporti e a tutte le aree che sono occupate da auto elettriche made in China, con relative batterie, pronte a deteriorarsi oggi al freddo, domani al sole trasformando ampi spaccati di territorio, in potenziali aree di bonifica.

Difficile oggi equivocare i segnali della tempesta perfetta: brand cinesi come Morris Garage, BYD, Foton, Polestar,  sono pronti alla grande offensiva commerciale, dopo aver distrutto le trincee e tagliato il filo spinato che proteggeva i grandi produttori tedeschi (e non solo), tutti alle prese con un tracollo delle vendite, nonché con la gestione a dir poco problematiche di un piano di chiusura di stabilimenti e di licenziamenti di massa.

Per l’Europa e forse in primis per i Landini dei vari Paesi europei, in un mondo non capovolto, sarebbe giunto il momento (anziché di temere i dazi di Trump) di accendere i riflettori sui nomi di chi (anche all’interno delle Istituzioni e dello stesso sindacato) ha reso così vulnerabile il mercato europeo…  Per impeto ideologico, per stupidità, o per convenienza e connivenza.

Riecheggiando una frase cara a pentastellati, l’invasione silenziosa delle auto cinesi con motore tradizionale, sta aprendo come una scatoletta di tonno il mercato europeo, con Bruxelles incapace di qualsivoglia contromossa  se non quella di far slittare timidamente i tempi di un diktat sulle auto a motore endotermico, che nei fatti risultava già folle. Per la Cina si delinea il successo di una operazione magistrale di politica industriale. Politica alternativa alla scelta tradizionale di ospitare stabilimenti (e tecnologia) di brand occidentali optando (ora che la tecnologia è stata acquisita) per una produzione diretta di auto griffate con gli ideogrammi. Per poi affrontare competitors europei costretti a chiudere i loro stabilimenti, a gestire crisi sociali e occupazionali e quindi “cotti a puntino” per essere cacciati fuori dal mercato non perché ecologicamente non in linea con la transizione energetica, ma perché ormai debilitati e incapaci di fronteggiare una concorrenza sui prezzi di produzione e di vendita.

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