Autonomia differenziata, cosa ha deciso la Consulta

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Calderoni Autonomia differenziata

Dopo lo scontro sui migranti in Albania, ora tocca all’Autonomia. Alcune regioni avevano fatto ricorso alla Corte Costituzionale chiedendo di dichiarare “illegittima” la norma redatta da Roberto Calderoni. In attesa del dispositivo della sentenza, con un comunicato stampa la Consulta ha fatto sapere di aver ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata, ritenendo tuttavia illegittime alcune disposizioni dello stesso testo legislativo.

Esulta la Lega, convinta che aver superato l’esame di costituzionalità sia il primo passo “positivo” verso l’Autonomia vera e propria visto che “i rilievi” presentati dalla Consulta saranno “facilmente superati dal Parlamento”. “La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della legge sull’autonomia differenziata, sancendo ancora una volta che il nostro percorso è in linea con la Costituzione. È una conferma importante e rappresenta un passaggio storico per il Veneto e per tutto il Paese”, afferma il presidente del Veneto, Luca Zaia. “Questo verdetto, di cui attendo di leggere il dettaglio delle motivazioni, rafforza il lavoro svolto negli anni e conferma che l’autonomia non è una questione divisiva, ma un’opportunità per dare voce e valore a ogni singolo territorio, nel rispetto dell’unità della Repubblica”.

Diametralmente opposta, invece, la lettura del Pd e delle opposizioni in genere. “Qualche mese fa il ministro Salvini si è rivolto a me dicendo che l’autonomia è prevista nella Costituzione e che me ne avrebbe regalato una copia – dice Elly Schlein – Vorrei dirgli che può tenersela e regalarla alla Meloni, magari per rileggerla insieme. Bastava leggere meglio la Costituzione per evitare l’ennesimo flop”.

Il principio della sussidiarietà

Chi dei due ha ragione? Tutti, e nessuno. Entriamo allora nel merito della sentenza della Consulta. Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) “deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”. Dunque occorre tenere insieme sia il ruolo delle Regioni, con tanto di autonomia possibile, ma anche “i principi dell’Unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.

Per questo i giudici “ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”. L’Autonomia insomma deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, a migliorare la responsabilità politica e a meglio rispondere ai bisogni dei cittadini.

Cosa bisogna cambiare nella legge

Tradotto: non è incostituzionale assegnare più poteri alle regioni, ma la legge varata dalla maggioranza ha al suo interno alcuni “profili di incostituzionalità”. Quali?

  1. la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
  2. il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
  3. la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
  4. il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
  5. la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
  6. la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
  7. l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

Cosa va bene nella legge:

La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:

  1. l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
  2. la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
  3. la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
  4. l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
  5. la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.

Ora la palla passa di nuovo al Parlamento che, scrivono i giudici, dovrà “colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. A presentare ricorso erano state le regioni di sinistra: Puglia, Toscana, Sardegna e Campania.

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