Scusate, ma da modesto “polentone” (categoria gastronomico-culturale che non solo non mi offende, ma rivendico) comincio a non poterne più della retorica che tracima da giornali, giornaloni e giornaletti sulla riforma dell’autonomia. E che si condensa in un’espressione copia&incollata: attenti alla “secessione dei ricchi”! Attenti al malsano egoismo delle tre regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che pretendono addirittura di competere secondo le loro potenzialità, sorde ad ogni istinto di solidarietà.
Ennò, cari intellettuali della Magna Grecia e statalisti di ferro, siete voi ciechi di fronte alla realtà, di fronte a un macro-flusso di cassa annuale. Circa 90 miliardi di euro. Tale è il “residuo fiscale” delle tre regioni oggi incriminate dal Giornale Unico, ovvero la differenza tra quanto viene estratto da esse sotto forma di tasse e quanto vi ritorna sotto forma di servizi. La sola Lombardia ha un residuo fiscale a sfavore di 54 miliardi. Si tratta di una rapina che non annovera casi analoghi nel mondo civile.
Per inquadrare le proporzioni dello scempio: la Catalogna è in stato di ribellione permanente contro Madrid per 11 miliardi di residuo, la Baviera ha impostato un estenuante braccio di ferro con Berlino per 3 miliardi. Quisquilie, di fronte allo squilibrio contabile e morale su cui secondo un certo Gianfranco Miglio venne costruita quella finzione che convenzionalmente chiamiamo “Repubblica italiana”. E che contempla come precondizione l’esistenza del Nord produttivo quale “monumentale mucca da mungere”.
Questo doppio binario della schiavitù si è incancrenito fino a sembrarci ineluttabile: saccheggio fiscale al Nord, assistenzialismo selvaggio al Sud, per l’esclusivo godimento dell’idrovora burocratica e clientelare romana. Una patologia spacciata per fisiologia. Spezzare questa catena, ridurre la dipendenza territoriale, sarebbe anzitutto interesse del Meridione, visto che la prima forma di libertà è l’autonomia delle risorse. Invece, è tutto un ammutinamento contro la sola possibilità che il Nord trattenga in loco anche una parte esigua di quel fiume di denaro.
I “ricchi” devono continuare a mantenere i “poveri”, non conoscono altro schema, i corifei trasversali del centralismo. Finché diventeremo tutti “poveri”, e ci metteremo in coda per il reddito di cittadinanza. Ma non ci sarà più nessuno in grado di pagarlo.
Giovanni Sallusti, 15 febbraio 2019