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Avatar, il solito concentrato di politicamente corretto

Anche il secondo film la stessa solfa: un ecologismo new age, con l’uomo cattivo che insidia Gaia

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Prius: recuperare la (spaventosa) cifra dei costi. Eh, ormai, attratti dal successo della trilogia de Il Signore degli Anelli, per i film non si bada più a spese. Prima erano milioni, ora sono miliardi di dollari. Qualche gran flop, sì, c’è stato, come il mitico Cleopatra con Liz Taylor, ma è acqua passata. Per ora. Il fatto è che, a questo punto, non è più questione di soldi, ma di idee. Abbiamo visto il secondo Avatar e confessiamo di esserci annoiati non poco.

È, infatti, tutto un déjà vu, perché perfino la fantasia umana ha i suoi limiti. Il primo era, certo, una novità, anche se la trama non era altro che un Balla coi lupi traslato nello spazio e nel futuro. Ecologico, new age, quant’è bello vivere a contatto e in sintonia, anzi in simbiosi con la Natura, una Natura arcadica, benigna e materna, dove per mangiare basta allungare la mano ai frutti, dove non si lavora né si suda, dove non ci sono malattie e tutti sono belli, sani, snelli, giovani, agili, atletici. Non soffrono nemmeno di vertigini. Vuoi cavalcare un drago volante? Basta chiederglielo gentilmente. Il mega-albero che tutti accoglie? Eh, anche i celti avevano il loro Albero Sacro prima che quel fetente di Carlomagno glielo abbattesse in nome del Cristo Bianco.

Insomma, Avatar era, tanto per cambiare, il solito concentrato di pensiero politicamente corretto. Almeno, quello corrente. E sai che originalità. Sì, spettacolare, ma l’idea che i cattivi siamo noi terrestri, mentre i Na’avi del pianeta Pandora sono i buoni proditoriamente invasi per pura avidità non è propriamente nuova, perché è solo una trasposizione dell’uomo-cancro-del-pianeta. Panteismo in salsa deep ecology, perché nel vecchio panteismo pagano almeno l’uomo aveva un suo ruolo. In quello moderno no, deve solo togliersi di mezzo per non sciupare Gaia.

Così, visto Avatar 1, ci si può risparmiare il 2, che è un rimestare nel solito paiolo. Sì, questo si volge in mare, ma già il Pianeta Terra ha le sue meraviglie marine che superano ogni immaginazione. Perciò, nel mare di Pandora ci sono pescioni che sembrano balene, pesci che sembrano pesci, meduse che sembrano meduse, e così via. Il resto è bisogno disperato di vendere i biglietti, tant’è che è stata pure messa in giro la voce di gente che si è ammalata della «sindrome di Pandora», che sarebbe la saudade (nostalgia? rammarico? melanconia? rimpianto?) di un mondo come quello dei pandoriani blu dalla pelle striata simil-sgombro che, chissà perché, incoccano la freccia nell’arco con la mano girata alla rovescia.

Eggià: l’arco. E il pugnale. E la clava. What else, visto che sono umanoidi? Niente, la fantasia, abbiamo detto, ha i suoi limiti e molta di più ne servirà per convincere i popoli ad affollare le sale. Dicono che stanno già lavorando ai numeri 3 e 4 e pure 5, ma la filosofia politicamente corretta è un nano rispetto a quella di Tolkien, come hanno dimostrato le inserzioni nelle trilogia de Lo Hobbit: dovevano allungare il brodo per cavare tre film da un solo romanzo, e così sono spuntati l’elfo femmina e la sua love story col nano. Risultato? Lo spettatore ha subito avvertito la calata di tono. Dunque, a nostro avviso può darsi che ci sia un Avatar 3, magari con aggiunte lgbt per catturare anche questo segmento di pubblico (e perdere gli altri). Ma non ci stupiremmo se la cosa finisse lì.

Rino Cammilleri, 30 gennaio 2023