Da Sigonella ad Hammamet. Un viaggio lungo quindici anni avente quale crocevia il Mediterraneo, volto a ricostruire con sguardo critico e privo di pregiudizi ideologici le vicende pubbliche e private dell’ex segretario del Psi Bettino Craxi. Questo è l’obiettivo che Salvatore Di Bartolo si propone di perseguire con la stesura del suo ultimo libro: compiere un’analisi storico-politica attenta e ragionata incentrata sulla figura di Craxi, attraverso i passaggi salienti della sua esperienza politica ed umana, e smontare finalmente quella fuorviante narrazione fatta di menzogne, falsi miti e falsi eroi propagandata in quest’ultimo trentennio da coloro che l’autore definisce ‘i sacerdoti della falsa rivoluzione’.
La finta rivoluzione a cui Di Bartolo fa riferimento nel suo libro è il golpe giustizialista che trent’anni or sono rase letteralmente al suolo la Prima Repubblica, ovverosia quell’insieme di inchieste giudiziarie consegnato poi alla storia con il nome di Mani pulite. Un autentico colpo di mano orchestrato dal potere finanziario, una volta archiviata la logica dei due blocchi, con il decisivo supporto di pm innalzati per la causa al rango di veri e propri eroi, cinicamente utilizzati per eliminare per via giudiziaria i protagonisti dell’Italia primo-repubblicana, e spianare la strada all’ascesa dei post-comunisti, ormai orfani dell’Unione Sovietica, nel frattempo furbescamente riciclatisi nel nascente Pds.
In tale scenario, foriero di epocali mutamenti e contraddistinto da una sfrenata esigenza di rinnovamento, risultò fin troppo comodo innalzare Bettino Craxi a simbolo del malaffare, a nemico pubblico numero uno da combattere ed abbattere per lavare via per sempre dal Paese l’immoralità e la corruzione.
D’altra parte, gli eredi del Pci, di quello stesso Pci che negli anni si era finanziato illecitamente quanto e più degli altri partiti, attingendo contestualmente ai denari provenienti da Mosca, furono eretti dal circo mediatico manipulitista a ‘uomini nuovi’, a esempio virtuoso di castità e integrità morale. Proprio come chi, anche tra le file di Dc e Psi, decise di piegarsi all’impeto travolgente della slavina giustizialista che avrebbe decapitato i leader della tanto tanto bistrattata Prima Repubblica fondata sull’indipendenza e sul primato della politica, e premiato, come osserva Di Bartolo, quella classe dirigente disposta ad assecondare il perverso disegno manipulitista partorito dal potere finanziario nelle stanze dei bottoni d’oltreoceano.
È infatti proprio da lì, da quella controversa stagione che fu Tangentopoli, che trae origine quella deriva manettara e quel giustizialismo dilagante assoluto protagonista dell’ultimo trentennio. Ed è sempre da lì che discende la subalternità del potere politico a quello giudiziario e la rinuncia interessata al primato della politica in favore di logiche del tutto estranee all’interesse nazionale. La definitiva abdicazione a quella sovranità che Craxi aveva saputo difendere a Sigonella (ma non solo a Sigonella), anche dinanzi alle pressanti ingerenze dell’alleato americano e all’ingombrante sagoma di Ronald Reagan, restituendo all’Italia indipendenza, prestigio e autorevolezza.
Ma l’azione politica di Craxi e dei suoi due governi, si badi bene, non può certamente essere ridotta ai soli fatti di Sigonella. Come spiega Salvatore Di Bartolo nel suo saggio, quella di Craxi era un’Italia che correva veloce sulla via del progresso e del benessere. Erano gli anni del secondo miracolo economico, dello storico ‘sorpasso’ agli inglesi, del livello di rating tripla A, dell’Italia “paese più scattante d’Europa” grazie al “sorprendente vigore” del suo presidente del Consiglio, come ebbe a scrivere un autorevole settimanale statunitense, dedicando a Craxi una copertina dal titolo evocativo “Nuovo miracolo economico italiano”. Un’Italia solida, sovrana, credibile e rispettata, insomma.
Poi sarebbe arrivato il ciclone giudiziario di Mani pulite a mettere una pietra tombale sulla Prima Repubblica, e a spalancare a Craxi le porte dell’esilio tunisino e alla Magistratura quelle del potere politico. Ad inaugurare la stagione dello sconfinamento delle Procure, dell’Europa iper-burocratizzata di Maastricht e degli stringenti vincoli comunitari, delle privatizzazioni selvagge, dell’Italia assente ingiustificato nel Mediterraneo, della dilagante ipocrisia di chi, da tre decenni, continua imperterrito a decantare inveritiere doti di superiorità e purezza, ostinandosi a non voler fare i conti con il proprio passato (e con Craxi).
Il resto è attualità, cronaca dei giorni nostri, che già di per sé basterebbe a fugare ogni ragionevole dubbio su quel pezzo di storia italiana che Salvatore Di Bartolo tratta nel suo lavoro, e a ricordarci che alla fine della fiera aveva proprio ragione Craxi.