Cambia il vento e mr Zuckerberg, uno dei personaggi più controversi (stavo per dire: ignobili) di questa nostra epoca si mette in scia. Zuckerberg, quello che vende i fatti nostri, di noi che glieli consegniamo gratis, a chiunque. Zuckerberg, quello che tramite Meta, coacervo di social globali, ha distorto, censurato, mentito sui fatti salienti del mondo, per anni, senza nessuna vergogna, originando nefandezze incalcolabili: lui l’ha detto, lui l’ha ammesso: abbiamo nascosto notizie sul Covid, sui vaccini, sulla loro pericolosità perché ce l’ha chiesto l’amministrazione americana Biden–Harris; abbiamo anche fatto sparire le malefatte del figlio del Presidente, per lo stesso motivo, e un sacco di altre cose. E col solito sorriso rettilineo, o rettilario, ha promesso “di non farlo più”. L’amministrazione dei suonati e degli inetti, svanisce, alla Casa Bianca torna Trump, e mr Zuckerberg si riconverte, scaricando per prima cosa i leggendari fact checker cui aveva affidato il lavoro sporco; lo fa secondo il suo stile, con parole di mezza verità (stavo per dire: ignobilmente ipocrite), perfino imitando l’acerrimo nemico, Musk: “Ci libereremo dei fact-checker e li sostituiremo con note della comunità simili a X (ex Twitter), a partire dagli Stati Uniti. Meta cessa il programma di fact-checking. I fact checker sono stati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata. Quello che è iniziato come un movimento per essere più inclusivi è stato sempre più utilizzato per mettere a tacere le opinioni ed escludere le persone con idee diverse, ed è andato troppo oltre”.
Ah, è andato troppo oltre. Chi aveva ragione? Che i fact checker vengano sostituiti dall’intelligenza artificiale è forse uno dei pochi effetti gradevoli e plausibili: non esistono, letteralmente, neanche come apprendisti giornalisti, se mai giornalisti falliti, parassiti dell’informazione che, del tutto improvvisati, si sono arrogati il diritto di decidere cosa fosse vero e cosa no, cosa dovesse passare e cosa venire sotterrato sui social. Pagati, ovviamente, e non solo da mr Zuckerberg: i convegni finanziati, sovvenzionati da altri bei tipi quali Soros, il finanziere, si sprecano e certi signorini di poca capacità ma molta rapacità se ne vantano pure. Sviste, panzane, figuracce di questi fact checker, aka debunker, sono ormai leggendari, oceanici, forse un giorno qualcuno sui loro sfondoni farà, più che un libro, una collana; una enciclopedia. Ma sono solo burattini e mr Zuckerberg lo sa bene: erano i vigliacchi nell’ombra, i sabotatori senza faccia, le spie nascoste, gli esecutori della degenerazione dell’informazione in comunicazione. Con tutti i loro strilli, strepiti e punti esclamativi: FALSO!!! FUORI CONTESTO!!! Nell’osceno semantico, lessicale e grafico dei grillini.
Diciamola come va detta: è andata fin che è andata, fin che ha retto la democrazia negativa delle amministrazioni statunitensi di sinistra; e dicevano il vero i pochissimi come noi che denunciavano, preoccupati, angosciati, il crollo della democrazia, posto che la democrazia si fonda sul pluralismo e dunque da una informazione per lo meno formalmente libera, relativamente libera, non corale, contrappuntistica, consapevole di svolgere la funzione di cerniera tra il sapere degli iniziati e il non sapere della plebe, deputata a rendere accessibile la conoscenza misterica in mano al potere, ove possibile svelandone gli intrighi e i retroscena. Attitudine che a questo punto può dirsi definitivamente seppellita stante la coincidenza del padronato informativo con quello politico, pubblicitario e finanziario.
Le inchieste sono sempre postume, retrospettive, per anni, per decenni ci sentiamo ripetere che una cosa è in un certo modo, che un colosso industriale viaggia a gonfie vele, poi, da una sera alla mattina, il colosso crolla e si scopre che le cose stavano all’esatto contrario. Ma sempre dopo, mai prima. Ad onta del gergo da iniziati, dello spreco di numeri, di dati, di fonti, di statistiche, di algoritmi falsificabili come tutto a questo mondo. Si è persa l’arte di raccontare e quella di dire la verità almeno possibile; mai come in questa era di regimi sanitari e di retorica, di pregiudizi e di interpretazioni a senso unico, le plebi si sono ritrovate a consumare allucinazioni, nel plateale capovolgimento di ogni evidenza. Mistificazioni patenti, allucinanti fatte passare come verità e unica verità: maschi percepiti come donne e quindi donne a tutti gli effetti, navicelle elettriche che avrebbero dovuto salvare il pianeta e ne hanno completato la distruzione, transizioni ecologiche da decine di triliardi di dollari bruciati per niente, intrugli sperimentali di composizione a lungo ignota per curare virus sperimentali di matrice ignota, i cui effetti devastanti ancora oggi vengono taciuti o smentiti dopo 4 anni.
A dire lo sconcio di una informazione abbeverata ai pozzi neri della finanza, della “comunicazione” formato Ferragni. La conseguenza è stata la definitiva scomparsa della percezione dell’individuo, della libertà che gli spetta secondo tutte le Costituzioni della terra, della democrazia che è rispetto del pluralismo e della facoltà di scelta. Ci siamo abituati a obbedire ad una sola lettura della realtà e il regime pandemico globale, la prigionia mondiale, la somministrazione planetaria e sconsiderata di farmaci, il lavaggio del cervello della neolingua e della neomorale per cui un criminale è un virtuoso e un uomo saggio solo uno da rinchiudere, non sarebbero state possibili senza le menzogne che i social hanno diffuso utilizzando i fact checker. E oggi uno dei principali responsabili (l’altro è Jack Dorsey, di Twitter, passato a Musk che per prima cosa ha disinfestato l’apparato composto da decine di funzionari e che ai soliti fact checker avevano affidato l’occultamento di non meno di 600 milioni di messaggi divergenti dalla linea ufficiale), per farla franca scarica i galoppini come fossero delle piattole, dei “bug” capitati chissà come a regolare i suoi social. Ma se li pagava lui!
Non solo. “Il neo-nominato chief of global affairs di Meta Joel Kaplan, uomo vicino ai repubblicani, ha detto a Fox che le partnership di Meta con fact checker di terze parti erano “ben intenzionate all’inizio, ma c’è stato semplicemente troppo pregiudizio politico in ciò che scelgono di verificare e come””. Sì, bravi, chiamatelo “pregiudizio politico”. No, era la rigorosa applicazione del comandamento della finanza globale che recita: “la Narrazione è l’unica verità ed è nostra”. Che c’è di diverso dalla lingua di legno comunista, dalle verità totalitarie di tutte le dittature? C’è una teoria attribuita a Goebbels, che non la pronunciò ma la applicava: ripetete mille volte una bugia e diventa verità. O, come recita un proverbio ebraico: “Con una bugia si può andare molto lontano, ma non si torna indietro”. È precisamente quanto accaduto negli ultimi anni, tramite molte bugie che sono andate molto lontano, troppo lontano, irreversibilmente lontano. Ma Zuckerberg era, resta il paladino della sinistra che odia Musk e lo accusa di totalitarismo tecnologico. Anche se ne copia tutte le mosse: ora va stravolgendo il cda di Meta, rimpolpato di figure della destra più o meno nerboruta tra le quali “Dana White, patron della Ultimate Fighting Championship (Ufc) che organizza eventi di arti marziali miste e storico alleato di Donald Trump”. Così potrà esercitarsi meglio nella famosa sfida a mazzate che i due socialmiliardari si erano promessi, e di cui non si è più saputo niente. Forse perché col tandem Trump-Musk adesso conviene andar d’amore e d’accordo. Play it again, Zuck, you dirty Jezebhel!
Max Del Papa, 8 gennaio 2024
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