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Avvisate Conte che non conta nulla

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Due brutte notizie per Giuseppe Conte. La prima: nonostante il premier pochettato faccia di tutto per far credere il contrario, non è e non sarà lui a fischiare il finale di partita, a decretare punizioni e rigori, a distribuire cartellini gialli e rossi. Non dispiaccia all’avvocato del popolo (ora più che altro avvocato di se stesso), ma un primo ministro senza uno straccio di voto personale, né in Parlamento né nel paese, non è in grado di dettare le condizioni proprio a nessuno: né ai Cinquestelle, né al Pd, né ai renziani.

Dunque, proprio come il proverbiale marito, Conte sarà l’ultimo a sapere. E il suo governo durerà fino a quando (tre mesi? sei mesi? un anno?) agli attuali contraenti converrà restare sotto quell’ombrello. Un minuto dopo, in base alle mutevoli volontà di uno (o di più d’uno di loro), Conte sarà restituito al suo studio legale.

Seconda brutta notizia. Nel weekend, il premier ha fatto una puntata in Umbria, nel tentativo abbastanza avventuroso di derubricare le regionali di domenica prossima a mero test locale: “Parliamo di 800 mila abitanti: come una grande provincia, la provincia di Lecce. Pensare che le sorti del governo siano appese a una competizione territoriale non ha molto senso”.

Sarebbe vero se i partiti nazionali – di maggioranza e di opposizione – si fossero disinteressati all’evento. Ma di tutta evidenza non è così: con due ministri in carica al giorno, e – sempre quotidianamente – una mezza dozzina di esponenti di primissimo piano della sinistra che battono l’Umbria palmo a palmo, per contenderla all’alleanza Lega-Fdi-Fi. In un territorio, badate bene, che per mezzo secolo è stato pressoché incontenibile: un feudo tradizionale del Pci e dei suoi eredi.

Nulla è scontato, ma se domenica prossima maturerà una sconfitta dell’alleanza Pd-M5S, alla sua prima prova elettorale, sarà dura per Conte far finta che non sia successo nulla.

Daniele Capezzone, 21 ottobre 2019