E c’è un altro passaggio fondamentale che esplicita in maniera definitiva la forza delle idee di Ayn Rand, un passaggio che ci rende il suo pensiero così attuale: “In termini psicologici, la questione della sopravvivenza dell’uomo non si pone alla sua coscienza come una questione ‘di vita o di morte’, ma come una questione di ‘felicità o sofferenza’.” Ma ciò non significa affatto essere guidati dal capriccio, dalle emozioni come strumenti cognitivi, altrimenti saremmo come “un cieco automa che sbatte la testa vuota contro la realtà che rifiuta di vedere.” Tutto ciò implica il fatto che la norma etica, ciò che guida la nostra azione, non può essere semplicemente il desiderio: altrimenti sarebbe legittimato il desiderio di derubare un altro uomo, di sottometterlo, di schiavizzarlo.
Infatti, la Rand si interroga su cosa sia giusto concedere agli estranei. E la sua risposta è di assoluta chiarezza: “Il generico rispetto e la benevolenza che si dovrebbero concedere a qualsiasi essere umano in nome del potenziale valore che rappresenta, almeno finché non ne perde il diritto. […] Ciò non significa che l’uomo debba essere indifferente ai propri simili, che la vita umana non abbia ai suoi occhi alcun valore e che egli non abbia alcuna ragione di aiutare il prossimo in un’emergenza. Significa invece che l’uomo non dovrebbe subordinare la propria vita al benessere degli altri, che non dovrebbe sacrificare se stesso ai loro bisogni e che lenire le sofferenze non è la sua preoccupazione primaria […] e che l’obiettivo, la preoccupazione primaria e l’impulso della sia vita sono i valori, e non le sventure.”
Il pensiero di Ayn Rand è abissale e solo una lettura del saggio ne può restituire tutta la radicalità. Ciò che è certo è che la sua riflessione è in contrasto profondo con tanta parte di quella che siamo abituati a pensare come “normalità”. Ma proprio per questo ci sfida con la sua implacabile forza e stringente razionalità.