Tra le molte idee che in questo periodo anomalo e tumultuoso stanno prendendo piede, vi è quella, piuttosto stravagante, che una non meglio precisata libertà collettiva sia superiore all’unica libertà possibile, l’unica concepibile (anche quando, certo, si può considerare deleteria!), quella individuale. Potrebbe allora essere cosa buona, come antidoto, o almeno come provocazione attraverso cui riflettere, riscoprire quello che dovrebbe ormai essere un classico del pensiero occidentale La virtù dell’egoismo di Ayn Rand, dirompente scrittrice russa divenuta statunitense, dopo essersene andata disgustata dall’Unione Sovietica degli anni ‘20.
La Rand pone la libertà e la ragione al centro della propria riflessione e vede nel capitalismo l’unico orizzonte materiale in cui l’uomo possa realizzarsi come tale, appunto attraverso il libero e operoso uso della propria ragione. La virtù dell’egoismo è una raccolta di scritti e saggi sull’etica randiana dell’egoismo razionale, che intende la vita dell’uomo come fine e valore in sé, i diritti umani come diritti di proprietà, il capitalismo come l’unica società razionale coerente con la libertà e la prosperità, il governo limitato come garanzia di difesa esterna, ordine interno e risoluzione delle controversie. Un orizzonte in cui lo scambio libero tra uomini liberi (scambio deve qui essere pensato nel senso più ampio del termine) sia il solo principio etico razionale delle relazioni umane: “Chi scambia è un uomo che guadagna ciò che ottiene e che non dà né prende ciò che non è meritato”.
Andando al cuore del libro, secondo la Rand quella che per i mistici era la “volontà di Dio” è stata sostituita con “il bene della società” (di cui la libertà collettiva di cui si diceva prima è certo un esempio). Quindi il bene, in assoluto, diviene ciò che è bene per la società. Secondo quest’ottica, che per la Rand è la più perversa, la società “sta al di sopra di ogni principio di etica, poiché essa è la fonte, la norma e il criterio dell’etica, poiché il ‘bene’ è qualunque cosa essa desideri, qualunque cosa essa di volta in volta consideri come il proprio benessere e piacere. Ciò significa che la ‘società’ può fare tutto ciò che le piace, poiché il ‘bene’ è qualunque cosa essa sceglie di fare proprio perché essa sceglie di farlo.” Ma per la Rand, ovviamente, la società non esiste visto che non è altro che una moltitudine di singoli individui e ciò significa che alcuni uomini (quelli che decidono nella società) si arrogano il diritto addirittura etico di applicare, in nome di ciò che ritengono bene, qualsiasi provvedimento a discapito di altri.
L’essenza dell’etica randiana sta nel fatto che “proprio come la vita è un fine in sé, così ogni essere umano vivente è un fine in sé, non il mezzo per i fini o il benessere degli altri e, quindi, che l’uomo deve vivere per il proprio interesse, senza sacrificare se stesso agli altri né sacrificando gli altri a se stesso. Vivere per il proprio interesse significa che il raggiungimento della propria felicità è il più alto scopo morale dell’uomo.”
E c’è un altro passaggio fondamentale che esplicita in maniera definitiva la forza delle idee di Ayn Rand, un passaggio che ci rende il suo pensiero così attuale: “In termini psicologici, la questione della sopravvivenza dell’uomo non si pone alla sua coscienza come una questione ‘di vita o di morte’, ma come una questione di ‘felicità o sofferenza’.” Ma ciò non significa affatto essere guidati dal capriccio, dalle emozioni come strumenti cognitivi, altrimenti saremmo come “un cieco automa che sbatte la testa vuota contro la realtà che rifiuta di vedere.” Tutto ciò implica il fatto che la norma etica, ciò che guida la nostra azione, non può essere semplicemente il desiderio: altrimenti sarebbe legittimato il desiderio di derubare un altro uomo, di sottometterlo, di schiavizzarlo.
Infatti, la Rand si interroga su cosa sia giusto concedere agli estranei. E la sua risposta è di assoluta chiarezza: “Il generico rispetto e la benevolenza che si dovrebbero concedere a qualsiasi essere umano in nome del potenziale valore che rappresenta, almeno finché non ne perde il diritto. […] Ciò non significa che l’uomo debba essere indifferente ai propri simili, che la vita umana non abbia ai suoi occhi alcun valore e che egli non abbia alcuna ragione di aiutare il prossimo in un’emergenza. Significa invece che l’uomo non dovrebbe subordinare la propria vita al benessere degli altri, che non dovrebbe sacrificare se stesso ai loro bisogni e che lenire le sofferenze non è la sua preoccupazione primaria […] e che l’obiettivo, la preoccupazione primaria e l’impulso della sia vita sono i valori, e non le sventure.”
Il pensiero di Ayn Rand è abissale e solo una lettura del saggio ne può restituire tutta la radicalità. Ciò che è certo è che la sua riflessione è in contrasto profondo con tanta parte di quella che siamo abituati a pensare come “normalità”. Ma proprio per questo ci sfida con la sua implacabile forza e stringente razionalità.