Se voglio godere arte nel vero senso della parola non guardo i murales di Banksy ma piuttosto vado alla mostra curata da Camillo Langone, Pittori fantastici della Valle del Po, a Ferrara, fino al 26 settembre. Semmai Banksy sarebbe decoro urbano, arte minore, artigianato, mentre viene chiamata street art, che mi ricorda lo street food: solo che un hot dog è molto meno costoso di un muro imbrattato dall’anonimo imbianchino.
Ed è vero che oggi si chiamano artisti persino Jovanotti e Achille Lauro ma Banksy, come larga parte dell’arte contemporanea, con il concetto occidentale di arte nulla c’entra: trattasi semmai di marketing, o, per dirla in termini marxiani, di supremazia assoluta della merce come valore di scambio a detrimento del valore d’uso. Chi acquista a peso d’oro i murales dei Banksy (e gli tocca pagare pure le spese per staccare il muro) compra esclusivamente una merce che, come un future, tra qualche anno farà aumentare il proprio valore di scambio. Invece, o forse proprio per questo, la forma suprema del capitalismo nell’ambito simbolico viene esaltata proprio dai progressisti e dai neo comunisti che nulla capiscono, soprattutto di marxismo e di capitalismo: per loro Banksy è uno di loro perché sposa le cause dei ribelli nella sua “arte”.
E non solo nella sua arte. Da prodotto di puro marketing, brand di lusso, Banksy ha capito che oggi favorire l’immigrazione clandestina è il modo migliore per alzare il valore della propria merce. Ha investito quindi in uno yacht, il cui equipaggio è tutti di vegani, da notare, anche se meglio vestiti degli sgarrupati e poco igienici della Sea Watch, e si è messo a raccogliere clandestini nel Mediteranno. A siglare l’operazione pubblicitaria alla grande è la dichiarazione con cui l’anonimo finanziere ha spiegato la sia azione: Black Lives Matters, lo slogan più diffuso nel mondo degli affari del momento, quello che in Usa è chiamato woke capitalism.
Non essendo socialisti né comunisti e anzi lodando il capitalismo, che Banksy voglia fare soldi ci piace. Ma non ci piace che ciò avvenga a danno del popolo italiano e in particolare delle classi popolari, quelle che mai potranno permettersi neanche un centimetro di un suo prodotto “artistico”.