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Basta con la propaganda cinese in salsa italiana

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Eccoci, all’alba del 2020 sappiamo che la dittatura del futuro sarà sanitaria. In nome della salute, abbiamo già imparato, è possibile annullare la libertà, sospendere i diritti più elementari, violare la democrazia, trasformare i DPCM – una forzatura costituzionale – in un normale strumento di governo, imporre il coprifuoco, decomporre la società in atomi, far sognare misure più restrittive, diffondere slogan che tutti ripetono per sentirsi a posto, eliminare il culto: lo stato di paura è da sempre l’ingrediente base per l’affermazione di un sistema totalitario.

Di fronte al terrore della morte, al rischio di contaminarsi, non esiste né opinione né libertà che tenga. E ha ragione Nicola Porro quando dice di “provare orrore nel leggere in prima pagina sul Corriere della Sera: “Questo non è il momento di disquisire di libertà personali”.

“Il mondo nuovo” ci raccontò la distopia basata sulla droga, sulla pace perpetua garantita da un mega-stato globale, dove il contatto umano non esiste più e la realtà è sterilizzata. Huxley scrisse a chiare lettere che tutte le innovazioni del suo romanzo, se gestite con assennatezza, potevano essere auspicabili, se non proprio necessarie. Il Mondo Nuovo è l’Italia di queste ore: spacciata come “civile”, modello di convivenza, è la società vittima dei mezzi di propaganda sottili, invasivi, pervasivi che guarda al comunismo cinese come ad un modello. Quello che fa più male, oltre i bollettini funerei, è la propaganda che questo Paese ha iniziato a montare dal primo giorno, senza scrupoli, senza pietà, stracciando ogni codice deontologico, mortificando l’amor proprio, nell’incapacità di assumersi le responsabilità.

Per primi, proprio da queste pagine, vi avevamo denunciato non solo l’analogia di mistificazioni e menzogne che il regime comunista cinese ha costruito come a Chernobyl per non ammettere di essere fallibile, ma soprattutto l’ideologizzazione perenne di una stampa provinciale, che ha dato eco e forza alla classe politica impegnata a denunciare il pericolo di razzismo, con sorrisetti sornioni e meschini invece di raccontare la verità. Eppure nessuno s’è scusato. Anzi oggi assistiamo alla beatificazione del regime comunista cinese.

Quante volte al giorno sentiamo ripetere che “dovevamo fare come la generosa Cina comunista”?
Quella Cina a cui abbiamo regalato le mascherine e che ce le ha rivendute con eccezionale generosità. Mille ventilatori polmonari e centomila mascherine da parte della Cina sono una fornitura con regolare contratto e quindi è pagato anche il dovuto.
Siamo in piena emergenza e mancano i più essenziali dispositivi di tutela personale, dalle mascherine ai guanti ai medici e infermieri – e non è una leggenda, provate ad intervistarne uno! – e tra le vergognose speculazioni di chi  rivende a peso d’oro, abbiamo il tempo di ringraziare la Cina dimenticando del tutto con quali standard produce.

La Cina, infatti, è uno dei maggiori produttori al mondo di macchine e prodotti sanitari, come appunto mascherine e respiratori. E forse ha ragione chi con sicumera, ignoranza e mancanza di misericordia punta il dito sulle tasse: con il particolare che la colpa non è di chi non le ha pagate, ma di chi ha messo alle calcagna degli italiani un cerbero come esattore, tra i più esigenti al mondo in termini di cuneo fiscale, che ha costretto la delocalizzazione e la chiusura di chi produceva ciò che siamo costretti a pagare elemosinando contratti.

“Insieme a mascherine e respiratori polmonari” – che non sono aiuti – “arriveranno dalla Cina anche medici specializzati che hanno affrontato per primi il picco dell’emergenza Coronavirus“. È la seconda vittoria della propaganda di Pechino, a cui l’Italia s’è piegata. Tutto gira intorno alla finta benevolenza cinese. E gli italiani si sentono rincuorati: la Cina che sorregge l’Italia, insomma un capolavoro aberrante di comunicazione. “Ci ricorderemo di chi ci ha aiutato come ha fatto la Cina. Noi abbiamo dimostrato solidarietà verso il governo cinese colpito da pregiudizio e razzismo e ora loro ricambiano”, dice Giggino Di Maio. Poverino, che ne sa lui sono i cinesi. E non lo sanno gli italiani che plaudono. Non lo sanno i giornalisti servi di partito. Non lo sanno gli italiani che affacciati al balcone intonano l’inno cinese.

Non lo sanno che Pechino ha mentito sul primo caso che risale al 17 novembre, secondo i documenti governativi visionati dal South China Morning Post: quanti mesi di menzogne!  Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, Robert O’Brien, lo aveva detto: “Se avessimo potuto sequenziare il virus e avere la cooperazione necessaria dalla Cina, se i team dell’Oms e il Cdc Usa fossero stati sul campo, avremmo potuto ridurre drasticamente quello che è successo in Cina e accade nel mondo. La Cina non ha gestito nel modo giusto l’epidemia di Coronavirus, mettendo a tacere i medici coinvolti, con una risposta che “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi preziosi”.

Da quando ha assunto l’incarico supremo nel 2012, Xi Jinping ha continuato a rafforzare il suo potere personale e la supervisione della popolazione da parte del Partito Comunista, in un ritorno all’autoritarismo maoista. E chi elogia la Cina finge di non sapere il martirio del dottor Li Wenliang che ha profondamente scioccato i cinesi: un giovane medico dell’ospedale di Wuhan, epicentro dell’epidemia, molestato dalla polizia per aver debitamente messo in guardia i suoi colleghi sul pericolo del nuovo virus, è morto in circostanze che la stampa cinese ha cambiato a più riprese e che nel frattempo aveva anche contratto il virus.  Forse non conoscono la fine misteriosa di Li Zehua  per le sue indagini giornalistiche. E probabilmente non ricordano che la Cina ha anche chiuso il laboratorio del Centro di salute pubblica dove lavoravano i ricercatori coordinati dal professor Zhang Yongzhen, che per primo ha isolato e messo a punto la sequenza del genoma del nuovo coronavirus, il 12 gennaio.

Ren Zhiqiang, magnate a Pechino, ha scritto in un saggio pungente che il leader cinese, Xi Jinping, era un “pagliaccio” assetato di potere, e ha sostenuto che i severi limiti del Partito Comunista al potere sulla libertà di parola hanno esacerbato l’epidemia di Coronavirus: è scomparso pochi giorni fa, improvvisamente. Una scomparsa che arriva in una vasta campagna da parte del partito per reprimere le critiche della sua gente. Se da un lato il governo cinese sta lavorando per rappresentare il signor Xi come un eroe che sta portando il paese alla vittoria in una “guerra popolare” contro il virus con tanto di manuali già in libreria, dall’altro i suoi funzionari sono impegnati nella caccia a chi osa criticare il regime in una nuova polizia di internet, che entra nei device  degli 800 milioni di utenti web cinesi per controllarne pensieri, parole e ricordi. Chi è trovato colpevole di poca lealtà al regime viene trascinato in ore di interrogatorio, e costretto a firmare impegni di devozione alla causa del governo e a ritrattazioni.

Nel frattempo Pechino ha da poco annunciato che sta revocando le credenziali di stampa dei giornalisti americani che lavoravano per il New York Times, il Washington Post e il Wall Street Journal, espellendoli dalla Cina. Quindi la narrazione della storia sarà solo dalla parte del regime cinese. Non bastavano le intimidazioni e le bugie. Il 13 marzo 2020, Zhao Lijian, il nuovo portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, aveva osato addirittura sostenere che “l’esercito americano avrebbe potuto portare l’epidemia a Wuhan“, figuriamoci da oggi cosa potranno sostenere.

Chi dice che dovevamo e dobbiamo fare come la Cina, forse non sa neanche del bracconaggio in Africa, della sperimentazione su esseri umani del vaccino ripresa dalle telecamere in una perversa forma di propaganda o del commercio di organi umani espiantati ai condannati a morte. E forse gli italiani non sanno neppure degli ingegneri aerospaziali cinesi, per esempio, che chiedono di prorogare la loro permanenza in Italia per lavoro per stare il più possibile lontani da casa e dal governo di Pechino.

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