Articoli

Basta con le prediche dei “dottorini” sul Web

Articoli

Posso permettermi di dire che mi preoccupa un po’, questa proliferazione di “infermierine” e “dottorini” bacchettoni, immancabilmente glorificati dal giornale unico del virus?

Per carità, ai sanitari, che si sono fatti in quattro, va tutta la nostra gratitudine. E spiace che, dalla riconoscenza, qualcuno sia passato alla diffidenza nei loro confronti: malauguranti come il medico della peste, trattati, insieme alle loro famiglie, da potenziali untori. E, aggiungerei, spremuti fino al midollo, perché di camici bianchi non ce ne sono mai abbastanza, eppure sono sottopagati. Tutto questo è inaccettabile.

Però non riesco a non provare un fastidio istintivo, quando vedo signorini e signorine, quasi sempre giovani, quasi sempre avvenenti, ma con il volto sfatto al punto giusto per dimostrarci che vengono dal turno di notte, dall’occhiale protettivo indossato a oltranza, e per esigere dall’arena del Web la palma del martirio.

Non riesco a non sentire un brivido lungo la schiena, quando vedo l’ultima infermiera da quarto d’ora di celebrità, la quale, ai “negazionisti” (Dio mi perdoni se mi tocca usare questa parola), si rivolge così: “Se ti ammali non venire in ospedale, non perché non ti curerei, ma perché non te lo meriti”. Non voglio fare il pippone sul giuramento d’Ippocrate. Capisco che, nell’era dell’aborto e dell’eutanasia, la medicina come missione possa apparire una polverosa romanticheria.

Però, questo concetto per cui le cure te lo do perché sono costretto, ma te le dovresti meritare, magari a colpi di professioni di fede nella scienza caricaturale dei Burioni e dei Galli, o a furia di retweet a beneficio dell’ego di qualche neolaureato, be’, proprio non mi va giù. Mi pare la deriva uguale e contraria a quella dei “non c’è Coviddi”: da un lato gli allocchi del complotto, dall’altro i fondamentalisti del positivismo d’accatto.

No. Non mi sta bene. I medici veri stanno in corsia, non su Internet e men che meno, 24 ore su 24, in televisione. Anzi, meno stanno nei nosocomi, meno sono bravi. Ne conosco bene qualcuno: l’ho visto lamentarsi, stremato, esasperato, mai desideroso di passerelle, mai vestito da predicatore della Rete, mai ospite di qualche salottino catodico, dal quale pontifica su quanto non gliene freghi una ceppa che la gente sta perdendo il lavoro.

PaginaPrecedente
PaginaSuccessiva