Si è innescato sulla flat tax un dibattito surreale che poggia sul consueto assunto, di matrice politico sindacale, per il quale il lavoro autonomo sia da considerare un lavoro di serie B. E dunque non debba essere «premiato» con un’aliquota più bassa. Tra poco vedremo che il premio alla fine non c’è, ma iniziamo dai due pregiudizi anti-autonomi.
Il primo è che professionisti e artigiani sarebbero la fonte principale dell’evasione: il che non solo è falso, ma anche se fosse vero una tassa più bassa e piatta sarebbe la soluzione. Vediamo perché. Chiunque adotti la flat tax pagherà un’imposta del 15 per cento sul reddito netto prodotto. Il che vuol dire che al fatturato (oggi tutto certificato da fattura elettronica) si dovrà togliere una componente di costi che le Finanze hanno stabilito per tutti e per legge. L’autonomo non avrà alcun incentivo a gonfiare le spese inerenti la sua attività e dunque per questa via diminuire la tassazione sul proprio reddito, semplicemente perché non potrà scaricarsele. Solo per fare qualche esempio: spese per l’ufficio, cancelleria, utenze, ristoranti, auto, materie prime che verranno trasformate in prodotti finiti, o merci che verranno commercializzate, non sono più deducibili dal proprio fatturato.
E qui evidentemente si apre un tema sulla mancanza di conflitti di interesse con il proprio fornitore: cosa che però non porta certo a una possibile evasione da parte del professionista. Resta l’ipotesi che un lavoratore autonomo non fatturi la propria prestazione: ma comprenderete bene che la probabilità diminuisce allo scendere dell’aliquota che gli si applica. L’incentivo a evadere (non fare fattura) è superiore se la tassa che evado è il 43 per cento dell’incasso, e non il 15. Il secondo pregiudizio è che gli imprenditori, per definizione malevoli, preferirebbero sbrigarsela con il pagamento di una fattura più che con l’assunzione a tempo più o meno determinato di un collaboratore. Anche in questo caso si tratta di un vecchio alibi. Oggi i grandi imprenditori lamentano esattamente l’opposto: la mancanza di lavoratori.
Arriviamo così al supposto premio fiscale per coloro che adottano la flat tax. I conti li ha fatti un commercialista che ha un passato politico e una tensione verso questi temi fiscali, Enrico Zanetti.
«A chi soffia sul fuoco della contrapposizione tra lavoratori, dicendo che la flat tax degli autonomi è un ingiustificato regalo, va fatto sommessamente osservare che, data una remunerazione lorda e un reddito lordo di impresa o lavoro autonomo di 60 mila euro, si ha che: il dipendente sconta contributi per 5.400 (9%) e, sul reddito imponibile che residua, un’Irpef progressiva di 16.378 euro, percependo così un reddito netto disponibile di 38.222 euro; l’autonomo con flat tax iscritto alle gestioni separate Inps sconta contributi per 15 mila euro (25%) e, sul reddito imponibile che residua, una flat tax al 15% di 6.750 euro, percependo così un reddito netto disponibile di 38.250 euro. Se si procede ai medesimi calcoli per livelli di reddito lordo più bassi, l’autonomo con flat tax non solo continua a non essere privilegiato, ma anzi rimane penalizzato (meno, per fortuna, di quanto lo sarebbe senza flat tax)».
Insomma, sia dipendente sia autonomo con flat tax (su base 60 mila euro) otterranno netti in busta paga su base annua circa 38.200 euro; con la differenza che il primo avrà un trattamento pensionistico ben più certo del secondo.
Nicola Porro, Il Giornale 26 novembre 2022